Janet Lisle Taylor; trad. di S. Massaron
Salani, 2005, 169 p.
(Gl’istrici)
€ 7,80 - Età: da 11 anni
Apparso di recente nella "mitica"collana degli Istrici Come sono diventato scrittore e mio fratello ha imparato a volare ha le caratteristiche dei migliori libri classici che la identificano. Una infanzia vera, ruzzolante, normalmente quindi seriamente tormentosa è quella dei due piccoli protagonisti: Archie, il narratore, e suo fratello minore Oggie. I due sono alle prese con la tipica pendolarità dei figli di genitori separati e ovviano alla incombente schizofrenia esistenziale tramite strategie di sopravvivenza di vario tipo. Il piccolo Oggie, per esempio, dipendente nei riti propiziatori al sonno dal suo orsacchiotto di peluche, ha potuto usufruire della sicurezza data dalla serialità dei prodotti industriali. Infatti la madre e il fratello maggiore si sono procurati due esemplari dello stesso identico pupazzo, perché il rito del sonno potesse in effetti riproporsi in duplice copia, nelle due diverse case dei genitori, nei due letti del bambino. Questa doppia dimensione un po’alienante viene raccontata, in modo molto significativo, come l’alternarsi della vita su due pianeti diversi; inoltre un vero linguaggio cifrato permette ai due fratelli di ribadire la propria complicità e distanza dal mondo degli adulti, che essi sopportano, assecondandoli a volte bonariamente.
Le difficoltà quotidiane dei due ragazzini comprendono la presenza dei bulli scolastici, la problematica delle scarpe da allacciare per Oggie, le notizie che permeano dal mondo "galattico" degli adulti, tutti presi a roteare nelle loro personali galassie.
Allora Archie scioglie ansie e timori nel racconto, narrando a più riprese l’avvincente storia del grigiume fetente in cui gli uomini talpa trascinano le loro esistenze, in un fantafuturo dalle tinte vagamente profetiche. Cosa bellissima, interrompe il racconto in attesa dei momenti di reale emergenza, avendo ben chiaro dunque il tanto citato valore salvifico delle storie, e la valenza terapeutica del racconto, nonché il desiderio, un giorno, di fare di una necessità esistenziale un mestiere. La trama è ricca di colpi di scena, intensa per atmosfera, delicata per la ricchezza delle sfumature che raccontano la realtà dell’infanzia in modo incantevole, senza mai lacrime ma con un gusto speciale per il talento della sopravvivenza.
M. Terrusi
(da LiBeR 70)