Michaela De Prince, ballerina professionista originaria della Sierra Leone, racconta la sua storia di sofferenza e riscatto sulle punte in questa intervista di Paola Benadusi Marzocca in questa intervista del 2016, pubblicata su LiBeR 109, che riproponiamo all'indomani della sua scomparsa.
La storia di Michaela De Prince è particolare e ha tutti gli elementi per colpire l’attenzione dei giovani e meno giovani. La sua professione di danzatrice è nata dal nulla o dal destino. “Mi sembra ieri – racconta nella sua autobiografia intitolata Ora so volare (Mondadori, 2015) – quando ero un'orfana, una piccola pikin con la faccia sporca, affamata, spaventata e tenacemente aggrappata alla vita e al sogno di diventare ballerina”. Nata in Africa occidentale, nella regione sud-orientale della Sierra Leone, da una famiglia povera, ma che si distingueva dalle altre per l’anticonformismo e l’intelligenza dei suoi genitori che, contrariamente, alle consuetudini del villaggio in cui vivevano, accolgono con gioia la sua nascita. “Una femmina inutile e tutta macchie”, Mabinty Bangura, come era stata chiamata, era nata infatti con la vitiligine, che non è una malattia contagiosa né infetta, ma le sue macchie, simili a quelle di un cucciolo di leopardo, spaventavano adulti e bambini per cui stava sempre sola, seduta sulla veranda della loro capanna
. Il padre, davvero in anticipo sui tempi, le insegna a leggere e a scrivere con la speranza che un giorno la sua bambina avrebbe potuto frequentare una scuola. Tutto ciò avverrà, in un modo completamente diverso da come era previsto. Scoppia infatti la guerra civile e i suoi genitori muoiono lasciandola sola in balia dello zio paterno, personaggio discutibile e odioso, che per liberarsi di quella “figlia del diavolo”, come la chiamava lui, la conduce a spinte in un orfanotrofio. Per una serie fortunata di circostanze Mabinty si salva e viene adottata da due coniugi statunitensi e diventa Michaela De Prince.
La madre Elaine De Prince ha scritto insieme a lei questo romanzo, che non è soltanto la storia di una bambina di quattro anni, tirata fuori dall’inferno, ma anche un inno alla generosità, un segno del legame con il “divino”, che si manifesta, a volte in alcuni individui, senza che neppure se ne accorgano.
Ho chiesto a Michaela De Prince, ormai ventenne, ballerina professionista, affermata nella danza classica, proiettata tra Amsterdam e New York , dove vive con la sua famiglia, che cosa l’ha spinta ad appassionarsi alla danza fin da bambina.
In Africa, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, ognuno balla. Le donne quando vanno a prendere l’acqua al pozzo, quando cucinano, sia in tempo di semina che di raccolto. Da piccola ballavo costantemente in stile africano, ma quando ho scoperto casualmente la fotografia di una ballerina su una vecchia rivista, mi sono innamorata di questa nuova, misteriosa forma di danza, la danza classica. Il ritratto della ballerina era en pointe e dopo ho sempre cercato di ballare sulla punta dei piedi. La mia passione per il balletto, forse, è nata dalla volontà di cambiare, di trasformare la situazione terribile in cui mi trovavo”.
Passione e voglia di riscatto. Più volte nella sua narrazione ritorna il grande compositore russo Pyotr Ilyic Tchaikovsky, e tra le sue opere, in particolare, Il Lago dei Cigni e Lo Schiaccianoci. Quali sono i personaggi in cui si è più immedesimata?
Adoro Tchaikovsky! Il primo balletto cui ho partecipato è stato Lo Schiaccianoci. Tuttavia, a dodici anni, ero molto presa dal ruolo di Aurora ne La bella addormentata. Per una ragazza che era stata orfana, l'idea di rappresentare una principessa bella e amata è speciale. E poi mia madre mi aveva cucito un corpetto con 1000 cristalli luccicanti, un vero lavoro d'amore”.
Se le avessero detto da bambina che sarebbe diventata una ballerina famosa, ci avrebbe creduto o si sarebbe messa a ridere?
Anche quando ero pateticamente povera in Africa occidentale, dentro di me ho sempre sentito che un giorno sarei divenuta una ballerina professionista. Lo sforzo è stato duro, ma io sono sempre stata entusiasta della scelta compiuta.
Leggendo la sua storia si avverte l'esigenza quasi imperiosa di emergere; è attraverso la danza che ha scoperta la sua identità?
Vengo da una famiglia di artisti: mia madre è scrittrice, mia sorella Mia è musicista e cantante. La vicinanza e il dialogo con queste persone sicuramente ha stimolato la mia immaginazione e creatività e mi ha spinto a sopportare anni e anni di lavoro sul corpo imparando a essere meno impulsiva e preparandomi alle sfide con il mondo esterno.