Lavorare con i detenuti sulla parola letteraria può significare per loro riprendersi il tempo negato, superare la retorica del bene o del male, arrivare a un possibile riscatto della propria umanità su LiBeR 124 Benedetta Centovalli propone, in Esercizi di etica della libertà, una riflessione su cosa significhi insegnare letteratura tra le sbarre, in un luogo che "si può intendere anche e soprattutto come un luogo di frontiera, di confine, come soglia mobile che si apre attraverso porte che si chiudono". Ma come riescono ad incontrarsi in uno spazio così ristretto sorveglianza, disciplina, libertà espressiva e legge? risponde Milo De Angelis, nel suo contributo Insegnare nel frammento, dove racconta come la poesia riesca a entrare in una casa di reclusione: in poesia, infatti "nessuno è garantito da niente: ci si trova nudi di fronte alla parola, in una stretta frontale e bruciante. Ora tutto il mio sforzo - ben lungi dal diffondere versi - è quello di arginarli, metterli davanti alla loro essenza e alla loro legge, ricondurli a una necessità espressiva". L'illustrazione è di Peppo Bianchessi per LiBeR 124.