di Goffredo Fofi
Gli adulti tendono sempre a proiettare le proprie influenze e le proprie paure sui bambini. Bisogna però fare attenzione, perché le paure infantili esistono e vanno distinte da quelle dell’età adulta.
Questo è un meccanismo in cui noi tutti tendiamo spesso a cadere. Nel ‘67, insieme ad alcuni ragazzi più giovani di me, fondai una rivista chiamata Ombre Rosse che doveva occuparsi esclusivamente di cinema; con l’occupazione di Palazzo Campana a dicembre e il movimento studentesco, però, il gruppo e l’iniziativa presero una strada un po’ diversa... Preparando il primo numero, si discusse molto se in copertina dovessimo mettere un’immagine rappresentativa di ciò che intendevamo essere. La foto che avevamo scelto e che in seguito, non ricordo per quale ragione, fu scartata era tratta da un film dell’orrore di Terence Fisher e ritraeva una specie di piccolo lupo mannaro. Si vedeva un bambino in camiciola bianca che si aggrappava alle sbarre del consueto quadrato di legno in uso fino a tempi recenti in cui era trattenuto, lo sguardo che non prometteva niente di buono e un dentino da vampiro. Tale immagine per un po’ di tempo ci perseguitò e, curiosamente, qualche mese dopo, questa visione si realizzò davvero, poiché quel bambino (noi, una generazione di giovani), ruppe la gabbia e diede il via a quella storia più o meno bella, più o meno sciagurata che è stato il movimento del ‘68.
Questa immagine suggestiva non era tuttavia legata alla contingenza del periodo storico, aveva un passato. Negli anni ‘20 un commediografo francese, il surrealista Roger Vitrac, scrisse un testo teatrale allora molto rappresentato dove ipotizzava gli effetti dei bambini al potere: Victor ou les enfants au pouvoir. Avrebbero potuto liberare il mondo “i bambini”? Pensava certamente così Elsa Morante quando scrisse Il mondo salvato dai ragazzini, e pensavano così quei teorici del movement statunitense che invitavano i giovani a diffidare di chi avesse più di trent’anni.
Esisteva già, è ovvio, tutta una serie di rappresentazioni di bambini dotati di poteri salvifici, quasi soprannaturali (si veda il saggio di Hillman edito da Adelphi). Di bambini divini. Una figura ricorrente in molte leggende e fiabe e in molti miti di fondazione. Nei vangeli apocrifi arabi, viene addirittura presentato un Gesù bambino dotato di superpoteri, con esiti invero paradossali. In un episodio, per esempio, mentre Gesù gioca con i suoi coetanei, uno di essi finisce sul fondo di una scarpata e muore. I genitori accusano Gesù, il bambino più discolo di tutto il villaggio, di averlo spinto, ma Gesù resuscita il morto solo per farsi discolpare, e quando è chiarito che lui non c’entra lo fa morire di nuovo.
La figura del bambino “con i poteri” è una costante che arriva fino ai giorni nostri, fino a Harry Potter l’eletto. L’ossessione ideologica dei superpoteri è legata ai telefilm americani e ha prodotto, dagli anni ‘40 in poi, personaggi come Superman, Barman, I magnifici 4, ecc.
È di questi giorni la notizia secondo la quale i supereroi stanno crollando nei gusti dei lettori, e che il gruppo Marvel, principale fornitore di queste fantasticherie, ha visto un calo forte nelle vendite: un cambio di tendenza che, se fosse duraturo, sarebbe molto significativo nella storia della cultura statunitense e delle sue immagini dell’infanzia e dell’adolescenza ma non solo, poiché, questo è il punto più inquietante, anche gli adulti leggono con avidità questi prodotti e si identificano e sognano in quei personaggi. Se il tema dei supereroi rimanesse inscritto a un ambito esclusivamente infantile, potrebbe anche essere capito e accettato. I superpoteri di Harry Potter, per esempio, sono la magia con cui non vuole conquistare il mondo, ma difendere se stesso e l’infanzia da chi lo minaccia.
Un personaggio come Gian Burrasca è da alcuni punti di vista sicuramente datato. Soprattutto se si parla di famiglia, perché egli agisce la sua ribellione dentro questa istituzione. I bambini di oggi non possono prenderlo come esempio perché la famiglia intesa come era intesa allora non esiste più. Il tipo di mutamento che ha scosso la società moderna, rende sempre più assurda la condizione degli adulti e di conseguenza dell’infanzia.
Il supereroe è un personaggio che esprime un’ideale di uomo-macchina, che controlla la tecnologia e se ne fa controllare. La macchinizzazione dell’individuo, la robotizzazione dell’infanzia. Tutti devono diventare robot guidati a distanza, come nei romanzi di Philip K Dick. E da chi? Dai superpotenti dotati di superpoteri militari ed economici e scientifici: la finanza che ha al suo servizio la scienza, i modi del controllo, la politica. È ovvio che in un questo contesto i bambini vivano in una situazione schizofrenica. Quelli nostri, ricchi, vengono illusi di avere dei superpoteri – iperprotetti e idealizzati padroncini del mondo – finché non escono dall’università per scoprire che il mondo è assai crudele e che, se non si è figli dei molto potenti o aggressivissimi arrivisti pronti a tutto, si è destinati a un eterno precariato, alle più cocenti delle frustrazioni proprio in ragione delle illusioni in cui sono stati cresciuti.
Nel mondo attuale possiamo distinguere due tipi di infanzia che io chiamo i bambini “consumati” e i bambini “consumatori”. C’è una metà del pianeta in cui i bambini sono oggetti di sfruttamento come mano d’opera, come soldati guerrieri o per il turismo sessuale. Nell’altra metà la loro funzione è invece quella di essere dei consumatori o mediatori di consumo. Il mercato economico legato all’infanzia è enorme e i bambini sono diventati un elemento fondamentale di un meccanismo commerciale vasto e variegato.
Viene da dire che nel mondo esiste una sorta di cospirazione contro i bambini e gli adolescenti ma, essendo essi destinati a diventare gli adulti di domani, questa cospirazione finisce per diventare una paradossale congiura degli adulti di oggi – noi! – contro il futuro stesso dell’umanità.
Nel mondo dei consumatori è dilagato un altro nemico dell’infanzia, la filosofia del “politicamente corretto”. Freud, pur con tutti i limiti della sua collocazione storica, ha bene esplicitato l’esistenza di pulsioni segrete anche all’interno del bambino, smentendo la validità di un’immagine totalmente angelicata. (Ci sono grandi libri della letteratura sull’infanzia che ne hanno tenuto conto, direttamente o indirettamente, per esempio un capolavoro poco conosciuto, Ciclone sulla Giamaica di Richard Hughes, e la sua derivazione Il signore delle mosche dell’abusivo Nobel William Golding). L’ottica attuale del politicamente corretto, falsificante, idealizzante, ipocrita e stupida almeno per quel che riguarda i bambini, porta a negare una visione complessa dell’infanzia, non tenendo in considerazione che noi tutti siamo un po’ animale un po’ uomo, e chi entra da “nuovo” nel mondo non ha i freni che hanno gli adulti “educati”, non rispetta le regole della civiltà – che come sappiamo cambiano di generazione in generazione e a volte di stagione in stagione – a cui è costretto l’adulto che, quindi, ha bisogno di un lento processo d’iniziazione. Dovrebbe crescere in funzione di una propria autonomia, di una propria personalità e di una propria capacità di giudizio, mettendo a frutto i suoi talenti e trovando un suo equilibrio tra autonomia e regole sociali, un equilibrio che la cultura contemporanea gli nega.
In questo contesto è ovvio che bisognerebbe dare ai bambini dei modelli adeguati al nostro tempo e alla direzione che vogliamo dare, nei limiti immensi delle nostre ridottissime possibilità, alla storia, al futuro (ed è un discorso, questo dei modelli da reinventare rispetto alle mutazioni avvenute e ai bisogni contemporanei, che riguarda tutti). Ma essi dovrebbero anche esser capaci di apprendere qualcosa dai grandi eroi del passato come Pinocchio e Alice. O Gian Burrasca.
Non bisogna dimenticare che la letteratura per l’infanzia non è affatto esente alle regole del mercato; e per questa ragione la maggior parte dei libri che oggi vengono pubblicati in funzione dei giovani lettori hanno una valenza di semplice passatempo, e sono per la maggior parte modaioli e conformisti, conformanti rispetto alle mode. D’altronde tutta la cultura contemporanea è caratterizzata dalla ricerca ossessiva da parte del potere e del mercato (la “cospirazione” di cui sopra) di farci pensare il meno possibile. Non dobbiamo mai essere in grado di riflettere su noi stessi e il mondo che ci circonda, e il nostro posto nel mondo. Dobbiamo sempre venir distratti da qualcosa, suono o immagine o “evento”.
I media svolgono una funzione di questo genere. Liberare da questo rumore di fondo che ci rende insensibili all’ascolto di noi stessi e degli altri è qualcosa che riguarda sia noi adulti che i bambini, ed è questo uno dei compiti che dovrebbe spettare alla pedagogia, agli insegnanti, alle famiglie, alle chiese, alla letteratura, al cinema... Tutte queste discipline dovrebbero essere di aiuto al pensiero e non costringerci a non pensare, come di fatto oggi accade.
Bisognerebbe lasciare i bambini un po’ più liberi di esprimere se stessi, di stare da soli o di stare tra loro, senza l’onnipresenza televisiva e affine, liberi perfino di sperimentare quel po’ di sessualità (di curiosità) che è permessa alla loro età. Liberi, dunque, di fare le proprie esperienze e di crescere in comunità insieme protettive e aperte, perfino attraverso la pratica del lavoro.
Un tempo si proteggeva l’infanzia dal lavoro precoce; oggi, paradossalmente, si è persa completamente ogni manualità. Se si dovessero reinventare dei sistemi pedagogici sani, passerebbero anche attraverso la riscoperta del lavoro manuale in laboratori o orti e giardini scolastici... Oggi l’avventura è legata principalmente all’ambito metropolitano e all’indagine criminale. I serial killer sono diventati i nuovi eroi nell’immaginario del nostro tempo. C’è l’avventura giuridica, quella del rischio calcolato, quella del carrierismo, quella della celebrità e quella dei mercenari della guerra. Non esiste un’avventura della conoscenza legata alla scienza e all’esplorazione del mondo come nella letteratura del passato. Le cose che mancano di più ai ragazzi di oggi sono proprio l’avventura e la comunità, quest’ultima ancor più della famiglia, diventata come è ben visibile un nido di isteria e spesso di mera stupidità. Libri come Gian Burrasca continuano ad avere una loro importanza, ma vanno calibrati alla realtà attuale. Il “mio” Gian Burrasca continua a essere, da questo punto di vista, non un romanzo ma un film del ‘32 di Jean Vigo, Zero in condotta.
I bambini d’oggi sono troppo buoni, si lasciano troppo manipolare dalla società di adulti che sono o imbecilli (più o meno) o mascalzoni (senza meno). I bambini, i ragazzi, gli adolescenti dovrebbero ribellarsi un po’ di più!
(da LiBeR 75)