Risale all’agosto del 2006 la costituzione del Gruppo di lavoro sullo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica. Tale iniziativa, la prima di rilievo istituzionale nel nostro Paese, è promossa da più ministeri (Pubblica Istruzione, Università e Ricerca scientifica, Riforme e innovazione nella Pubblica amministrazione e Beni culturali) e si inquadra in un’azione più vasta di rilancio della cultura scientifica.
Anche l’Unione europea infatti ha recentemente istituito una commissione di esperti per incoraggiare l’insegnamento delle scienze nella scuola primaria e secondaria e ha avviato una serie di progetti in questo senso, da “Pollen”, che studia i nuovi modelli dell’educazione scientifica, sino a www.xplora
Il gruppo di lavoro, di cui fanno parte autorevoli personalità del mondo scientifico, si occuperà di “suggerire le linee di una politica di sviluppo che definisca i compiti dei soggetti pubblici e privati” definirà “progetti e azioni di sistema rivolti alla scuola, ai cittadini adulti, alla società nel suo complesso” e, in particolare, suggerirà “azioni e servizi per la formazione dei docenti e per il sostegno alla loro attività professionale nonché soluzioni curricolari in vista di un miglioramento degli ordinamenti formativi”.
Degli obiettivi e delle strategie del Gruppo riferisce in questa breve intervista il presidente, il professor Luigi Berlinguer.
Lei presiede il Gruppo di lavoro per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica. Si tratta di una commissione istituita dal Ministero della Pubblica Istruzione di concerto con il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero per Riforme e Innovazioni nella Pubblica Amministrazione e il Ministero per i Beni Culturali. Tale approccio interministeriale rappresenta una novità. Può illustrare i primi punti della vostra agenda di lavoro?
Innanzitutto dovremo conoscere meglio la situazione, particolarmente nella scuola, nell’università, nel campo della formazione continua degli adulti, nel settore dei musei della scienza e dei science center, fra le iniziative di diffusione della cultura scientifica come i festival della scienza o i gruppi o realtà che svolgono attività di diffusione della cultura scientifica. Stiamo procedendo ad alcune indagini sullo stato e sulla consistenza delle attività, attrezzature, utilizzazione delle strutture, delle iniziative in campo scientifico. E ci proponiamo di avanzare intanto prime proposte iniziali già per l’anno 2007, con un primo documento di lavoro del nostro comitato che dovrà essere portato a una prima verifica in una sede pubblica nella prossima primavera.
Nel contesto odierno della società e dell’economia della conoscenza, avere un’adeguata formazione scientifica significa possedere un requisito culturale indispensabile per la formazione alla cittadinanza. Secondo la rilevazione OCSE PISA sui livelli di apprendimento dei quindicenni (fonte: Learning for Tomorrow’s World, 2003) il nostro Paese si colloca per la matematica, le scienze, il problem solving rispettivamente al 26°, 23°, 26° posto su 29 paesi europei analizzati.
Viene spontaneo domandarsi: dove si fa scienza nella nostra scuola? Chi fa scienza? Che cosa si insegna?
Questo è il nostro primo obiettivo: affermare che non c’è scienza nella scuola senza l’esperimento scientifico, senza il laboratorio, senza un impegno sperimentale dei docenti. Si tratta di una profonda innovazione culturale per il nostro Paese.
Ogni scuola abbia il suo laboratorio, frequentato e utilizzato da discenti e docenti, nelle accezioni diverse a seconda che si tratti di scuola dell’infanzia, di base, secondaria.
La formazione dei docenti – iniziale e in servizio – parte anche da qui, dalla sperimentalità. Si tratta di affermare una cultura sperimentale.
Occorre gradualismo e realismo, un programma anche di stanziamenti e di innovazione ordinamentale, in crescita. Ma il traguardo è quello.
La diffusione della cultura scientifica, essenziale per la crescita collettiva, si realizza nell’interazione tra l’educazione scolastica, che riguarda specificatamente la trasmissione dei contenuti, e quella informale, della comunicazione scientifica, che invece attiene alla diffusione di tendenze, scoperte, problemi della scienza. In questi anni abbiamo assistito a sostanziali cambiamenti nel modo di comunicare la scienza in generale e in particolare verso bambini e ragazzi.
Lo dimostrano la nascita di festival dedicati alla scienza e di science center, gli spettacoli teatrali, i caffè scientifici. Con quali strategie si pone la scuola rispetto a questo universo comunicativo in continua evoluzione? E come dovrebbe porsi?
Il metodo sperimentale deve essere alla base dell’apprendimento scientifico, formale o informale che sia a scuola o nelle iniziative esterne, centri, festival che siano, persino nella progettazione e illustrazione della didattica.
Un continuum deve legare scuola e extra scuola.
In Italia il libro di divulgazione scientifica occupa circa il 10% del mercato editoriale del libro per bambini e ragazzi (fonte LiBeR) e questo divario si ripropone anche sul piano dei comportamenti di lettura, dove si verifica una netta prevalenza di giovani lettori di fiction. Eppure l’editoria per ragazzi è andata avanti anche sul versante della divulgazione scientifica, lo dimostra il lavoro dei pochi ma attivissimi editori specializzati, che costituiscono un fenomeno impensabile fino a poco tempo fa.
Come può la scuola costituire un veicolo fondamentale nella promozione della lettura, anche del libro di divulgazione?
Anche l’editoria, scritta e multimediale, dovrebbe convertirsi alla cultura della sperimentalità, costituire stimolo, sostegno, veicolo. Conclusivamente un cittadino educato e conquistato alla cultura sperimentale è più propenso al problem solving e a una maggiore pienezza partecipativa democratica perché più consapevole delle sue scelte.