Cinque testi di teatro per ragazzi
di Angelo Savelli
Idest, 2001, 164 p.
ISBN 88-87078-21-1 Euro 12.91
Negli ultimi anni nel Teatro/Ragazzi si è tornati a parlare di testo, si è ripreso a scrivere testi: è riemersa la figura del drammaturgo come responsabile della scrittura scenica.
A questa rinnovata e cospicua produzione di copioni (ogni Compagnia ne produce in media uno all'anno) non corrisponde però un'adeguata circolazione degli stessi: una volta esaurita la tournée di uno spettacolo, il testo relativo si conserva solo nei cassetti della Compagnia che lo ha prodotto.
Vi è infatti una ancora troppo scarsa attenzione editoriale nei confronti di un patrimonio di scritture che dovrebbero invece essere conservate e valorizzate, perché rappresentano un contributo importante a un settore non trascurabile del teatro contemporaneo.
Ecco dunque il primo motivo per rallegrarci di questa felice iniziativa:
benvenuta la pubblicazione del Teatrino di Gian Burrasca, per i tipi di Idest, che raccoglie cinque testi teatrali di Angelo Savelli, messi in scena nelle ultime stagioni dalla Compagnia Pupi e Fresedde di Firenze - di cui Savelli è fondatore e regista - dal Teatro dell'Arca di Forlì, dallo Stage per giovani musicisti della Scuola di musica di Bertinoro. Un filo rosso lega fra loro questi testi: vengono tutti da una matrice narrativa, derivano cioè o da classici della letteratura infantile (Il giornalino di Gian Burrasca di Vamba, Le novelle della Nonna di Emma Perodi, Peter Pan di J.M. Barrie) o da opere letterarie tout court, come Decamerone di Boccaccio, Le sottilissime astuzie di Bertoldo e Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino di Giulio Cesare Croce leggendo questi testi di Angelo Savelli, mi è tornata in mente un'osservazione di Natalia Ginzburg a proposito della scrittura teatrale: "una battuta deve rispondere all'altra come una palla in una partita di tennis". Ecco, qui succede proprio così, si segue con l'occhio - e con l'orecchio - questo ritmo felice di gioco.
E ancora, la scrittura narrativa, è una scrittura nella solitudine, la scrittura drammatica ha come prima caratteristica la messa nello spazio (il teatro è volume) e in questo spazio la presenza essenziale è quella della società: nel Teatrino di Gian Burrasca è presente la società infantile, direi che è inscritta nella sua stessa struttura: non solo perché agli spettatori bambini spesso l'autore si rivolge, chiamandoli direttamente in causa, ma perché ogni scena presuppone un ascolto autenticamente infantile: permeato cioè dell'intensità percettiva - di cui solo i bambini sono capaci - nei confronti di un linguaggio che si fa suono e sapore, onomatopea e allitterazione, canto e conta.
In questa partitura verbale, si evidenzia una sensibilità - o meglio un gusto - per l'antica tradizione dell'oralità popolare. Spesso affiora in questi testi un impasto dialettale che spinge la scrittura a contaminarsi con un parlato regionale (preferibilmente toscano). E i testi di partenza sono scelti - mi pare - come serbatoio di rappresentazioni di un immaginario collettivo, contenitori di frammenti di narrazioni popolari dalla natura migratoria, che infatti continuamente trasmigrano da Occidente a Oriente e viceversa, in un intrecciarsi di echi, di rimandi, di suggestioni reciproche. Soprattutto in I viaggi di Calandrino ad Oriente del Decamerone, proprio questo par di avvertire: il brusio sotterraneo di molteplici voci, antiche e pur sempre presenti, che mantengono viva la grande tradizione dell'oralità popolare.
(Dall'introduzione di Mafra Gagliardi al volume)