A cura di Hamelin
Blackvelvet, 2008, 338 p.
Euro 24,00
Raccolta di interventi critici che accompagna la mostra antologica in programma dal 7 marzo al 4 maggio al Museo Civico Archeologico di Bologna nell’ambito del progetto Bilbolbul
Dall’Introduzione a cura di Hamelin Associazione Culturale:
“La scelta di De Luca è giustificata prima di tutto dalla grandezza dell’autore ma anche dal nostro desiderio di far emergere l’opera di artisti fondamentali che non hanno finora avuto un riconoscimento tanto meritato quanto doveroso. Eppure non ci sembra affatto di esagerare nel considerare l’opera di De Luca una delle più originali e innovative del panorama fumettistico internazionale della seconda metà del secolo scorso, in grado di confrontarsi senza timori con i grandi e blasonati maestri a lui coevi, da Pratt ad Eisner, da Crepax a Moebius. Ciò che di lui impressiona, al di là dei risultati artistici, è l’ostinazione della ricerca e l’assoluta consapevolezza teorica che accompagna il suo operare, fondendosi inestricabilmente con esso. Le lunghe interviste con la figlia Laura, una pubblicata sul terzo volume della ristampa de Il commissario Spada edito da BD/Black Velvet e l’altra ancora inedita, ne sono una testimonianza evidente per la profondità della riflessione e la ricchezza degli spunti.
Emerge allora la figura di un autore che esula da una concezione artigianale, anche preziosamente artigianale, del fare fumetto, per porsi invece come intellettuale e artista che ha scelto il linguaggio dei comics come medium specifico e in qualche modo privilegiato per esprimersi e per intervenire sul proprio presente. A dover stilizzare e, inevitabilmente, banalizzare il suo pensiero si devono riconoscere almeno tre grandi nuclei che prendono via via corpo nella pratica artistica. Da una parte c’è la convinzione di un primato culturale dell’immagine, dove per primato non si intende tanto una gerarchia tra linguaggi diversi, ma una sorta di primogenitura, più volte rivendicata e ribadita in un contesto che tuttora – nella nostra società dell’immagine – attribuisce invece alla parola e alla scrittura la massima dignità. E sembra allora sintomatico, e quasi una dichiarazione di poetica, che la sua prima storia apparsa su Il Vittorioso sia proprio 'Il mago da Vinci', in cui si racconta la storia di quel Leonardo che ribadiva l’insostituibilità del disegno per 'la intera figurazione' del mondo. De Luca ha più volte ribadito questo insegnamento: l’occhio e la mano sono i veri strumenti per comprendere il reale.
Ed ecco allora il secondo nucleo: la consapevolezza del ruolo sociale dell’artista, della sua necessità d’intervento sul mondo con un impegno che non va inteso in senso politico, ma pedagogico. E non è forse l’educazione la forma più profonda per incidere sugli altri e sulla realtà? Ecco che allora la scelta del fumetto e dell’illustrazione per ragazzi non è semplice occasione professionale, ma progetto: solo lavorando con gli strumenti delle comunicazioni di massa e con linguaggi essenziali e apparentemente immediati si può tentare di far arrivare il proprio pensiero, o meglio 'disegno pensiero', a favore della riscoperta del visivo come forma di conoscenza, di una pedagogia dello sguardo che è essenziale per vivere, prima ancora che per diventare artisti.
Consequenziale il terzo nucleo: la necessità di studiare e riflettere sulla grammatica delle immagini, sulla linea e la tecnica, sulla composizione e la prospettiva, sulla rappresentazione del movimento e della temporalità. E, soprattutto, sul tentativo di trovare forme, temporanee, per catturare il reale, costantemente mobile e necessariamente caotico, per cercare di com-prenderlo in senso etimologico, di farlo proprio per un attimo, prima dell’ennesima metamorfosi. Ed è su questo sostrato filosofico – mai astratto ma sempre legato al fare – che va letta tutta la sua ricerca formale, tutte le invenzioni grafiche e compositive che l’hanno reso grande. La cellula primaria del “disegno pensiero” sta tutta in due soli elementi essenziali: un foglio bianco e un tratto di matita. ‘Se faccio un segno di matita su un foglio, quel segno assomiglia a un filo. Attorcigliato, aggrovigliato, più o meno teso… Certe volte, di fronte ad un tratto così, casuale, mi viene in mente il funambolo che cammina nel vuoto. Sotto (o meglio dietro, nel bianco del foglio bianco, che coincide più o meno con l’invisibilità), c’è, in teoria, di tutto. Il pubblico che ti applaude oppure il circo vuoto. Il tendone o direttamente il cielo. La gabbia dei leoni o la disperazione di clown. Puoi camminare con la matita fino in fondo a quel vuoto e trovare che cosa per davvero, c’è lì dietro. O lì sotto. Il che equivale a scoprire che circo c’è dentro te stesso. Oppure, viceversa, puoi perderti’.”