Eva Ibbotson, ill.di T. Sdralevich
trad di M. Zannini
Salani, 2007, p. 338
(Gl’istrici)
€ 10,00; Età: 11 – 14 anni
Un libro della Ibbotson suscita sempre curiosità: la scrittrice è molto nota a cominciare dal suo primo libro pubblicato in Italia Fantasmi da asporto, di molto successo. E poi gli altri, tutti divertenti e scritti con un ritmo narrativo vivacissimo. La Ibbotson ci ha abituato a un mondo inglese con tutti i suoi aspetti tradizionali calati, attraverso momenti fantastici, in una realtà in cui i protagonisti non trovano confine nei rapporti con l’immaginario.
Siamo in Austria (paese di origine dell’autrice) agli inizi del 1900. La storia si sviluppa sulla falsariga dei feuilleton di stampo ottocentesco, ma di questo fondamentale genere letterario manca nelle pagine della Ibbotson la cadenza che unisce sorpresa, emozioni, contrattempi, personaggi inattesi, situazioni assurde.
Annida, la protagonista, è una trovatella: cresce brava e buona, altruista e generosa. Diventerà anche amica di una vecchia signora trascurata dai parenti, che prima di morire le lascerà un vecchio sgangherato baule che contiene gioielli di valore inestimabile e che costituirà la base e il mistero del racconto.
Annika verso i quattordici anni viene ritrovata dalla madre, e andrà a vivere in un castello di famiglia in Germania, dove conosce Zed, un ragazzo della sua età di sangue zingaro, appassionato di cavalli che avrà parte determinante nella storia.
Chi mi legge si chiederà perché scrivo la recensione di un libro di cui non sono convinto, la ragione c’è. A un certo punto del racconto Zed porta di nascosto Annika in un campo di zingari e invita i suoi amici a far ascoltare alla ragazza la “vera musica gitana”.
Eva Ibbotson, a questo punto ci offre in poche righe, una sintesi forse incomparabile di cos’è (o almeno di cos’era nel secolo scorso) una musica che soltanto pochi appassionati avevano modo di conoscere: “… A un tratto uno dei violinisti fece un passo avanti e suonò una melodia che si innalzò e turbinò e si avvolse intorno al cuore, una musica triste che pareva riunire in sé tutta l’infelicità dell’universo; poi riattaccarono gli altri musicisti e fu come se lasciassero volar via la tristezza. La musica ora cantava le difficoltà della vita, non la sua malinconia e solitudine ma i suoi aspetti eccitanti e sorprendenti e sublimi”.
Roberto Denti
(da LiBeR 75)