Autore molto apprezzato a livello internazionale per le sue opere che invitano il lettore a esplorare nuovi codici di interazione con il libro, Blexbolex ci parla dei suoi autori di riferimento e del rapporto tra parole e immagini nell’intervista raccolta da Angela Dal Gobbo.
Blexbolex ha realizzato libri per bambini che hanno suscitato notevole interesse da parte di critici e di esperti. In particolare il suo ultimo Ballata è stato inserito tra i dieci libri illustrati migliori dell’anno dal New York Times, eppure anche Immaginario e Stagioni si distinguono per un approccio nuovo al pubblico infantile: sorta di libri-dizionario accompagnati da testi brevissimi, se non semplicemente da una parola, non si rivolgono ai piccolissimi, ma a chi sappia coglierne le allusioni e le particolari associazioni visive e concettuali. Modernissimi per lo stile, ripreso dal fumetto – mondo dal quale Blexbolex proviene – questi testi dimostrano una particolare sensibilità dell’autore per la comunicazione e per la narrazione impostate sull’elemento visivo. In occasione delle mostre che gli sono state dedicate recentemente in Italia, Blexbolex mi ha rilasciato questa intervista.
Le chiedo innanzitutto: da cosa nasce il suo pseudonimo, Blexbolex?
È una parola che avevo inventato da bambino. Mi è tornata in mente quando mi sono trovato nella necessità di pubblicare sotto pseudonimo, parecchio tempo fa. Non ha senso e mi piace per questo, l’ho scelto quasi per scherzo e ancora oggi cerco di conservare quella leggerezzza e quell’ironia che la parola sembra richiamare. È diventato una sorta di bussola per me.
Può raccontarmi qualcosa della sua infanzia? Com’è stato crescere a Douai? Vivere là ha influenzato la sua attività? Le piaceva disegnare, da bambino?
Sono nato a Douai, nel nord della Francia, ma sono cresciuto nell’Auvergne, al centro della Francia. Sono cresciuto in campagna. Non so se questo mi abbia influenzato, ma la campagna è certamente il posto più bello per un bambino, o almeno per come ero io. Mi piaceva disegnare, da piccolo; disegnavo di tutto. Ma a partire dai dieci, undici anni ho cominciato a disegnare con l’idea di produrre qualcosa, e principalmente racconti, storie e ho iniziato a fare brevi fumetti.
All’inizio della sua attività intendeva creare libri per bambini?
No, non pensavo di fare libri per bambini. Avevo anche abbandonato l’idea di fare fumetti. Sono arrivato ai libri per caso, perché non avevo più uno studio e dovevo cambiare spesso casa; un quaderno era più pratico per registrare disegni e idee. All’inizio realizzavo libri d’artista che stampavo io stesso e vendevo ad alcune librerie a Parigi.
Allora pubblicavo cose vicine al fumetto, indubbiamente perché era la forma che mi riusciva meglio. Ho cercato di inserire delle fotografie, ma dal momento che i costi salivano ho preferito ricorrere al collage o al calco, quando volevo integrare le immagini con elementi non disegnati.
Amo il colore, e la serigrafia era lo strumento che mi permetteva di stampare con grandi campiture piatte, il che dava ai testi un aspetto fresco e allegro, che forse ricordava i libri per bambini; i personaggi avevano a volte un’aria divertente; fu un amico a suggerirmi di occuparmi di libri per bambini. Allora facevo un po’ di illustrazioni per la stampa, il che ha influenzato il mio stile, ha reso più evidente il mio disegno.
Si ispira a qualcuno? E a chi?
Parlerei di “bagno culturale”. L’incontro con certi artisti mi ha colpito al punto da farmi cambiare stile. Questo bagno culturale è stato per me il mondo del fumetto francese e belga, di cui mi sono nutrito. La figura più importante, fin da bambino, è stata quella di Hergé (il creatore di Tintin), ma lo sono stati anche Fred (autore della serie di Philémon), Moebius, Hugo Pratt, Jacques Tardi (il creatore di Adèle Blanc-Sec, ndt). Completati gli studi accademici mi sono occupato di graphic novel, affascinato dall’americano Gary Panter e dalle incisioni di autori come David Sandlin, Bruno Richard, Pascal Doury del mondo underground, ma anche dalle opere di un artista fiammingo come Frans Masereel, maestro dell’immagine narrativa. L’incontro con Richard McGuire, di cui ho pubblicato due libri, è stato decisivo: la chiarezza del suo disegno, la brillantezza e il rigore delle sue idee sono stati una rivelazione, un capovolgimento.
Lo stile dei suoi libri per bambini deriva dal fumetto: vi è un motivo particolare? Forse perché parla più direttamente ai bambini?
Dipende dalla mia formazione e dal mio gusto personale. Non credo che parli meglio ai bambini, non più di qualsiasi altro. I bambini sono curiosi e hanno un desiderio feroce di sapere e di capire, di crescere; vogliono anche divertirsi, e che li si diverta. Adatto il mio stile in funzione di quel che desidero comunicare loro, attraverso i miei strumenti.
Si è detto che il suo stile deriva dalla tecnica della serigrafia; è così? Potrebbe spiegare la sua tecnica?
Il fatto di aver stampato serigrafie mi ha portato a prestare attenzione alla composizione di un’immagine al fine di renderla stampabile. Per anni mi sono occupato esclusivamente di stampe. Quando non ho più avuto a disposizione il materiale per stampare, ho cercato un’alternativa, come la fotocopia, ma era poco duttile. Ora invece utilizzo il computer e i software per disegno. Con queste macchine cerco di riprodurre il modo tradizionale di lavorare con le immagini. In pratica il computer è diventato per me, oggi, un avatar dei quaderni di disegno che avevo prima.
Quale titolo preferisce, tra quelli tradotti per il suo Ballata? Romance (spagnolo e francese), Ballad (inglese) o Ein Märchen (tedesco)?
Preferisco l’originale Romance. È questa parola che mi ha guidato nella creazione.
Come è nata la storia? Come ha concepito il ritmo quasi matematico del testo? Infine, come ha collegato le parole alle immagini?
I precedenti imagiers (Immaginario, Stagioni) contengono una quantità di piccole storie e aprono, a modo loro, dei percorsi di immagini connessi al mondo reale o quotidiano. Ciascuno ha una piccola struttura musicale. Poco a poco è affiorata l’idea di fare un imagier di storie, anche se non sapevo ancora come realizzarlo. La chiave e la soluzione mi è sorta con la parola romance, perché è una canzone che racconta una storia e si ripete sviluppando un tema. Romances erano canzoni popolari, cantate a più voci, o interpretate da un cantautore che talvolta inventava e improvvisava. La struttura che cresce e la formula che chiude la frase sono dovute alla felice casualità degli incontri fortuiti. Quest’alleanza ha prodotto la storia, senza che intervenissi ulteriormente, almeno all’inizio. Desideravo percorrere l’universo del meraviglioso e della fantasia. Mi sono basato sul libro di Vladimir Propp, Morfologia della fiaba, per non tralasciare i passaggi obbligati e per cercare di rispettare al massimo la sottigliezza e la forma di questo tipo di racconto, in una dinamica che è tuttavia radicalmente diversa.
Trovo il rapporto tra parole e immagini estremamente misterioso, contraddittorio, talvolta inquietante. Mi incuriosisce molto, non so spiegare perché, se non che è stato sempre così, da quando ero bambino. È diventato una specie di macchina per sognare. Con il tempo ho messo a punto alcune tecniche, ma quel che veramente mi interessa è di trovarne di nuove, o almeno di cercare di migliorarle.
Non voglio dire che questo rapporto non sia altro che un confronto; è piuttosto un’unione e capita che questa unione sia talvolta bizzarra. In effetti ogni parola è scelta in base all’eco che risuona nell’immagine e viceversa. Non è sempre facile trovare un equilibrio; io cerco anche l’armonia, non semplicemente l’effetto o lo choc.
Come struttura le sue storie?
Mi sforzo sempre, nei miei libri, qualsiasi cosa succeda, di fissare le regole e i principi fin dalle prime pagine, il più rapidamente e chiaramente possibile. Cerco di invitare il lettore alla comprensione e alla lettura nel miglior modo possibile, e a partecipare al gioco che propongo.
L’inizio di Immaginario o di Stagioni o di Ballata espongono, almeno credo, questo proposito e danno degli indizi per comprendere quel che ne segue. Invito il lettore a essere attento e anche creativo, in qualche modo, e cerco di accompagnarlo lungo il cammino. Ma questo dipende anche da lui, dal suo volere.
L’editore Orecchio Acerbo ha pubblicato Immaginario e Stagioni; c'è un legame tra questi libri?
Talvolta ho l’impressione che si tratti dello stesso libro, che continuo a fare, anno dopo anno. Ma non so se è vero.
Mi sembra che la caratteristica più stupefacente di Ballata sia il modo del tutto originale in cui lei ha legato parole e immagini; questo permette di aprire nuovi orizzonti alla letteratura per l’infanzia?
So solo che il fatto di fare libri per bambini mi ha spinto a trovare in me la parte migliore, a reinventarmi, che è forse un modo per ritrovarsi, semplicemente.
(da LiBeR 103)