Dalla faccia della mamma ai libri delle facce: la lettura è legata alla comunicazione, che prende avvio già in fase neonatale con la mimica facciale. Da essa e con essa il bambino si apre al mondo.
di Luigi Paladin
Il bambino impara a leggere da solo.
Il suo primo libro è il viso della mamma. La prima lettura consiste nel capire e reagire alle emozioni del “primo libro” che incontra: le espressioni “stampate” sulla faccia della mamma.
Prima ancora di scoprire il libro di carta, contenitore di cose simili ma non uguali a quelle viste nella realtà, prima di appassionarsi al primo libro che gli aprirà le porte di un mondo nuovo, il “mondo che sta sulle pagine”, il bambino apprende le basi della lettura nel gioco faccia a faccia con il partner a lui più vicino.
Fin dalle prime ore di vita, il neonato risponde e avvia relazioni comunicative che contengono gli elementi fondamentali dell’atto del leggere.
Leggere è un atto composto da tre principali azioni: cogliere gli stimoli, dare un senso a quanto percepito, e infine reagire in termini di emozioni, azioni, comportamenti. Il bambino raccoglie le espressioni facciali della mamma, cerca di interpretarle come espressioni legate ad una emozione, quindi reagisce intensificando il contatto.
In questa prospettiva la lettura è qualcosa che nasce naturalmente e si inserisce nei processi evolutivi di tutti i bambini.
Si può dire il bambino nasce lettore.
La lettura del volto della mamma è il ponte che incoraggia il bambino e preannuncia almeno due successive imprese: la prima lo spingerà ad andare oltre quel volto per scoprire tutto ciò che lo circonda (lettura della realtà); la seconda lo porterà a entrare nel “mondo rappresentato” delle illustrazioni dei libri, arricchendo il suo bagaglio conoscitivo di cose nuove, anche non sperimentate nella realtà, attraverso la lettura delle immagini presenti nelle pagine nei libri (lettura dei libri).
E’ chiaro che la lettura decifrativa - il cui insegnamento obbligatorio avviene con l’ingresso nella scuola primaria - è solo una dei tanti tipi di lettura, comunque successiva e che richiede come prerequisito le competenze maturate con le tante altre letture attivate prima dei sei anni.
La lettura incomincia quindi naturalmente come “imparamento” del lattante, come processo legato alla comunicazione, inserita nelle relazioni che il bambino stabilisce fin dalla più tenera età. A sostegno di questa convinzione vanno presi in esame gli ultimi studi e approfondimenti, attingendo in particolare da quelli della teoria della mente ( 1 ), dei neuroni a specchio, della psicologia non verbale, e più in generale dalla psicopedagogia dell’età evolutiva, in modo da affrontare con maggiori conoscenze le tappe che accompagnano il bambino in questo affascinante cammino di lettore.
In questo contributo viene descritto e valorizzato un primo tipo di lettura, la lettura dei volti, che, alla luce dei nuove ricerche, non appare riconducibile solamente al semplice riconoscimento delle emozioni, ma prefigura una più complessa lettura di narrazione. perché comprende le storie che hanno generato le emozioni che i volti raccolgono, conservano e fanno intravedere.
Quindi si andrà ad approfondire il delicato e fondamentale passaggio che permette al bambino di procedere dal volto della mamma alla lettura delle foto di volti presenti nelle pagine dei “libri delle facce” e successivamente delle espressioni dei protagonisti dei libri illustrati.
Il bambino comunicatore competente
Il neonato, fin dalle prime ore di vita, può essere considerato un “comunicatore competente”, dotato di abilità che lo predispongono ad interagire con l’ambiente e con gli altri.
Gli studi in materia ( 2 ) hanno evidenziato l’esistenza di capacità precoci dei neonati per quanto riguarda l’interazione con l’adulto e di competenze che permettono di regolare i comportamenti in funzione del modello comunicativo proposto dall’adulto.
Il bambino e il volto della mamma
Il bambino si mette in contatto con il mondo attraverso vari canali; tra questi le espressioni facciali sono state oggetto di attenzione e di studi significativi, poiché è stato riscontrato che i rapporti che il piccolo lettore intesse con il volto della persona che lo accudisce sono di straordinario rilievo.
Le numerose ricerche ( 3 ) effettuate a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo hanno dimostrato che i neonati a breve distanza dalla nascita:
1. Possiedono i requisiti fondamentali di elaborazione degli stimoli visivi per avviare i primi processi di interazioni con un partner comunicativo. ( 4 )
2. Mostrano una preferenza superiore per uno stimolo simile al volto: sono attratti da configurazioni di media complessità, molto contrastanti, con contorni ben delineati, tutte caratteristiche presenti nel volto umano.
I neonati di 2 mesi di fronte ed una sagoma bianca a forma di testa sono in grado di discriminare se gli elementi interni sono posizionati nel modo corretto o capovolti (per esempio gli occhi al posto della bocca) ( 5 ).
Sull’importanza dei volti e sul ruolo centrale che riveste l’elaborazione cognitiva in questo processo, un recente contributo ci viene dagli studi delle neuroscienze. Semir Zeki sostiene infatti che: “Il riconoscimento degli individui si realizza il più delle volte tramite il volto, e le espressioni facciali sono della massima importanza per i rapporti e la comunicazione tra le persone. Possono indicare piacere o dispiacere, gioia o frustrazione e molto altro ancora”. E questi processi sono così importanti per la vita e lo sviluppo del bambino che non c’è da meravigliarsi se ”… il cervello ha specializzato un’intera regione della corteccia nel riconoscimento dei volti”. ( 6 )
3. Ricercano un volto particolare, quello della persona che si prende cura di loro. Il neonato ricerca in continuazione il volto della mamma e continua a seguirlo anche quando è intento a succhiare al seno. ( 7 )
Questo comportamento favorisce un precoce legame di attaccamento reciproco: il neonato si aggrappa al caregiver dal quale dipende la sua sopravvivenza e ciò rinforza la propensione dell’adulto a prendersi cura di lui.
Ma non solo: a poche ore di vita, il neonato cerca di imitare la contrazione delle labbra, l’apertura e la chiusura della bocca, specie quando l’adulto che compie questi movimenti che sollecitano comportamenti imitativi li compie ad una distanza di 20 cm, compatibile con le capacità percettive possedute a tale età. ( 8 ) Il rapporto con il volto è un rapporto multisensoriale che coinvolge tutti i sensi: “Quando nell’interazione l’adulto tiene il viso stabile e vicino al neonato, aumenta la probabilità che questi lo osservi attentamente; questa probabilità aumenta ulteriormente se interviene l’imitazione (dei movimenti della bocca, o della lingua, o dei vocalizzi), o se l’adulto parla in “madrese”. Se l’imitazione e il linguaggio “madrese” non intervengono, l’osservazione del viso nel corso dei giorni diminuisce; il viso, inviando poca informazione, diventa banale”. ( 9 )
La capacità di imitazione del neonato non dipende solo da meccanismi riflessi sollecitati dall’adulto, ma anche dall’attivazione dei neuroni specchio che sollecitano una corrispondenza tra i movimenti visti nell’altro e quelli del proprio corpo.
Sui meccanismi dei neuroni specchio che permettono al bambino di ‘far proprie le espressioni della faccia’ ( 10 ) stanno emergendo nuove scoperte. Secondo Giacomo Rizzolatti e la sua équipe, ( 11 ) uno stesso gesto attiva pattern neuronali a livello cerebrale nella parte posteriore del giro frontale inferiore. Gli autori ipotizzano che questi circuiti potrebbero costruire un primitivo sistema di comunicazione basato su gesti, soprattutto della mimica del volto, piuttosto che sulle parole, e il sistema di comunicazione umano potrebbe essersi evoluto da circuiti simili. “E’ altamente probabile che il bambino fin dalla nascita riconosca le emozioni di chi lo accudisce attraverso i neuroni a specchio, le riproduca nella sua mente e risuoni quindi con esse. […] I neuroni a specchio chiariscono anche la precocità di alcuni atteggiamenti di empatia in bambini molto piccoli (espressione di tristezza in bambini che vedono piangere la madre, tentativi di consolazione da parte di bambini sotto l’anno, e la curiosa osservazione di bambini di 1 o 2 anni che, vedendo un coetaneo che si è fatto male a un dito, si mettono a succhiare il proprio dito equivalente”. ( 12 )
Questo campo di studi non è semplice e richiede forse ulteriori conferme. In un recente contributo per l’Enciclopedia italiana Treccani, Rizzolatti sostieneche sul “sistema dei neuroni specchio sappiamo molto sulla sua organizzazione anatomica e su come esso funziona. Esistono tuttavia varie lacune, la più importante delle quali riguarda il suo sviluppo”. Si chiede quindi se i sistemi specchio siano innati o frutto di un apprendimento “…il sistema specchio ha la stessa origine per i movimenti della mano, per i quali è facile postulare l’apprendimento, e per i movimenti della bocca e della faccia, per i quali invece un simile assunto appare molto più difficile?” ( 13 )
Dal volto noto il bambino gradatamente passa alla scoperta e al riconoscimento dei volti vicini. Vivace è la rappresentazione di Franco Panizon sul processo di riconoscimento del viso della mamma e del passaggio a quello del papà. Il neonato già a “10 giorni - quasi un miracolo per un mezzo cieco che ancora non sa neanche di essere al mondo - riconosce la sua mamma dal viso, e a 2 settimane riconosce anche il viso del padre, di quel signore (ma cosa sarà mai un signore?) che sta sempre vicino alla madre, che qualche volta lo prende in braccio come lo prende la mamma, senza dargli però il capezzolo, che ha poi tutto un altro odore e, probabilmente, un altro sapore; a 6 settimane sa riconoscere tutti e due, padre e madre, anche emotivamente, come qualcosa di amico, di protettivo, di cui fidarsi, cui sorridere: qualcosa di molto diverso dall’estraneo, che invece lo lascia indifferente, o incerto, o impaurito”. ( 14 )
E così il piccolo inizia a distinguere i volti l'uno dall'altro. E pian piano, con il passare dei giorni, allarga la conoscenza della realtà che lo circonda.
Dal terzo mese si sviluppa la visione binoculare: le immagini provenienti da entrambi gli occhi si integrano in una sola immagine, il bambino può vedere fino ad otto metri di distanza. Comunque le facce restano ancora al centro dei suoi interessi: il piccolo inizia a studiare a imitare le varie espressioni del volto dei genitori, comunica attraverso gli occhi: guarda i genitori e poi sposta lo sguardo sull'oggetto che vorrebbe avere per esprimere la sua volontà.
Una tappa importante si raggiunge verso i 10-12 mesi, quando il bambino matura la visione tridimensionale, legata alla percezione della profondità. Inizia a rendersi conto che non tutte le cose sono piatte, che il viso ha più facce, una per ogni lato, riesce perciò a riconoscere la mamma anche di profilo.
Più o meno nello stesso periodo, è capace di percepire la configurazione del viso, inizia a riconoscere le fotografie della madre ed è in grado di discriminare i visi di due estranei, se osservati a lungo, anche quando questi sono somiglianti. ( 15 )
Il bambino, lo sguardo e le emozioni
Fra tutti gli indicatori emotivi, la mimica facciale è indubbiamente la modalità espressiva più studiata in letteratura: il volto umano sembra essere il veicolo preferenziale per la comunicazione dello stato emotivo. ( 16 ) Il volto è il luogo dove si concentra la maggior parte delle informazioni sensoriali, sia che un soggetto le esibisca come emittente o che le "legga" sul volto dell'altra persona, come ricevente, all'interno di un processo comunicativo.
“Dal punto di vista neurofisiologico, le facce sono stimoli multidimensionali che trasmettono informazioni anatomiche, sociali ed emotive. E’ attraverso il volto che capiamo e riconosciamo immediatamente l’altro e le sue emozioni”. ( 17 )
Durante la crescita si perfeziona l’attenzione ai segnali emotivi, come base della comunicazione e per la sopravvivenza di specie, per poter immediatamente distinguere chi è ostile da chi non lo è. Già a tre mesi i bambini sono in grado di discriminare un volto sorridente da uno imbronciato e poco dopo reagiscono in modo appropriato ad una serie di mimiche facciali, ad esempio dinanzi ad un volto allegro sorridono di più e provano ad avvicinarsi, mentre cercano di evitare un volto accigliato. ( 18 )
Cosa si intende per emozione?
Dopo decenni di ricerche e la formulazione di molte teorie, non esiste ancora una definizione di emozione condivisa. Sia i ricercatori che i teorici comunque convergono sul fatto che le emozioni sono il prodotto sia di stati interni che di stimoli esterni, si manifestano già nella prima infanzia con le espressioni facciali combinate con il pianto, il tono della voce ed i movimenti somatici e forniscono importanti informazioni sullo stato del bambino.
Comunemente le emozioni vengono suddivise in emozioni fondamentali (o primarie o pure) ed emozioni secondarie (o complesse o miste). Quelle primarie sarebbero quelle universalmente identificate, indipendentemente dal contesto individuale e culturale.
Molti sono gli elenchi di emozioni che di volta in volta sono stati proposti con ampie varianti. Comunemente si considerano le seguenti sei emozioni di base:
gioia/felicità
paura
tristezza/dolore
disgusto/repulsione
rabbia
meraviglia/sorpresa
e si riconosce che i bambini abbiano una maggiore dimestichezza nel riconoscerne tre, ovvero rabbia, gioia, paura.
Alcuni studi ( 19 ) hanno evidenziato l’esistenza di precursori delle emozioni, presenti dalla nascita; sarebbero delle reazioni globali aspecifiche che coinvolgono tutto il corpo; solo verso i 9 mesi di vita si assiste all’emergere delle emozioni fondamentali di gioia, rabbia e paura, che costituiscono una risposta specifiche ad un determinato evento.
Come si possono identificare?
La capacità da parte dei genitori di interpretare i segnali espressivi dei loro bambini è estremamente importante. Il senso comune e la letteratura in questo campo sostengono che il caregiver sia naturalmente capace e possieda una buona abilità nelle decodifica delle emozioni, attribuendo ad ogni espressione il giusto significato così da poter rispondere adeguatamente alle richieste del lattante.
Ma è pur vero che le espressioni del volto prodotte dai bambini, specie se molto piccoli, sono spesso rapide, sottili, a volte sfuggenti, così, mentre alcuni genitori sembra abbiano una naturale sensibilità nel leggerle, altri sono più incerti. Gli stessi studiosi non sono ancora riusciti ad abbinare inequivocabilmente specifiche emozioni alle rispettive espressioni, poiché appare molto difficile interpretare ogni singolo segnale, assegnandovi una determinata valenza emotiva. ( 20 )
Un volto umano raramente è neutro, a volte i tratti passano rapidamente da una emozione all’altra ed è difficile capire quale prevalga; in alcuni momenti la faccia di un neonato di due settimane è piena di "emozioni" e questo fatto è alla base, fra l’altro, delle difficoltà che incontrano gli esperti nell’individuazione di sistemi computerizzati di riconoscimento facciale.
Per di più “La percezione personale di un'emozione e la sua espressione sulla faccia sono due cose diverse […] e ciò che percepiamo da una faccia può essere sia una manifestazione involontaria di uno stato emotivo sia il risultato di uno sforzo intenzionale” senza dimenticare che “l’attività del viso è anche un mezzo di regolazione della comunicazione con soggetti esterni, e di influenza e di valutazioni degli altrui comportamenti”. ( 21 )
Zeki analizzando come il nostro cervello colga i volti nelle opere pittoriche dell’arte sottolinea il dato che anche” ..lievi e sottili cambiamenti, specialmente negli occhi, possono portare ed una grande differenza nella percezione che il cervello ha dei volti e nella sua capacità di acquisire informazioni su di essi”. ( 22 )
Ma non c’è solo la difficoltà dei genitori: altri studi hanno evidenziato che anche i bambini hanno difficoltà a riconoscere, attraverso le espressioni facciali, le emozioni degli adulti: “il 48% dei bambini che ha correttamente selezionato la paura, la rabbia, la tristezza e il disgusto, ha successivamente collocato le stesse facce in un'altra categoria di emozioni; e percentuali abbastanza simili sono emerse con gli adulti per le categorie di tristezza e disgusto”. ( 23 )
Altre ricerche hanno confermato che la comprensione dei bambini delle espressioni facciali è scarsa e si trasforma lentamente nel corso dello sviluppo. ( 24 )E ancora: che fino a 8 anni la maggioranza dei bambini studiati crede che il viso di disgusto di norma indichi rabbia. ( 25 )
La capacità di identificare le espressioni facciali di felicità, tristezza, rabbia, sorpresa, paura, disgusto è stata studiata in 48 bambini non disabili e 76 bambini con difficoltà di apprendimento dai 9 a 12 anni. La ricerca ha evidenziato che nel complesso il gruppo non disabile ha avuto maggiore capacità interpretativa e che “La felicità è il più facile da individuare, e le restanti emozioni in ordine crescente di difficoltà erano la rabbia, la sorpresa, la tristezza, la paura e il disgusto”. ( 26 )
Ricche di possibili significati, con risvolti sulla percezione del colore della pelle, sono le indicazioni che emergono dagli studi di Lumer e Zeki. Secondo questi autori, l’area cerebrale del riconoscimento del colore è diversa da quella del riconoscimento delle facce e ritengono che ci siano due meccanismi di azione del nostro cervello.
“Quello che ci interessa notare nella descrizione di questi due meccanismi - quello della percezione cromatica e quello del riconoscimento dei volti – è che le capacità di acquisire conoscenze è un sistema distribuito nel cervello. Detto altrimenti, possediamo aree visive diverse che, dialogando con il resto del sistema nervoso, ci permettono di percepire i diversi attributi della scena visiva” ( 27 ) e questo potrebbe voler dire che il bambino non ha bisogno del colore per identificare e riconoscere un volto; il colore viene aggiunto poi, attraverso processi di integrazione tra varie zone cerebrali.
È interessante notare come ”Inizialmente, i bambini dividono le espressioni facciali in due semplici categorie (“sta bene, sta male”). Queste categorie vengono poi gradualmente a differenziarsi fino a raggiungere un sistema più articolato, e probabilmente questo avviene negli anni dell'adolescenza” ( 28 ).
Per prima cosa il bambino vuole sapere se la faccia che ha di fronte è buona o cattiva, se chi ha di fronte è qualcuno che si sente bene o sta male; in seguito imparerà a raffinare le categorie.
Ma forse l’aspetto più interessante delle ricerche di C. W. Sherri è di aver trovato che i bambini estendono i dati interpretativi effettuando una lettura più completa e articolata delle espressioni dei volti. Sembra che non siano sufficienti le informazioni presenti delle espressioni dei volti, per questo allargano il loro punto di vista cercando di inserire nell’ interpretazione le azioni che hanno generato e seguito l’espressione: ” La comprensione delle emozioni non si basa sulle espressioni facciali ma sulla comprensione degli antecedenti della emozione e delle conseguenze comportamentali” ( 29 ). Le espressioni facciali diventano narrazioni o, meglio, quasi delle illustrazioni di un evento, di una storia che ha un prima e un poi.
Appare sempre più evidente che leggere le facce non sia una cosa così semplice o naturale e che vada sostenuta da acquisizioni e dall’apprendimento di competenze.
Il nostro cervello sembra essere più specializzato di quanto immaginiamo: non tutte le potenzialità nel riconoscimento facciale che usiamo quotidianamente vengono utilizzate. In altre parole, abbiamo una macchina potente che ha specializzato un’intera regione della corteccia nel riconoscimento dei volti ( 30 ) ma viene usata poco e male. Il nostro cervello sa elaborare informazioni di straordinaria complessità che noi non sappiamo sfruttare per il riconoscimento delle emozioni nelle espressioni facciali.
Particolarmente interessanti sono i contributi di Ludovica Lumer e Semir Zeki sulle potenzialità del cervello di elaborare le proprietà immutabili delle cose, fatto che permette al bambino di continuare a riconoscere il viso della mamma anche quando questo assume configurazioni diverse, ad esempio quando sorride o piange: ”Un’espressione allegra la possiamo vedere e riconoscere su facce differenti che mantengono pur sempre le loro singole identità, così come una faccia può assumere un’espressione triste o felice senza impedirci con ciò di riconoscere la persona”. ( 31 )
E’ sempre lo stesso cervello che ci permette di comprendere (e gustare) le espressioni delle facce presenti non solo nella realtà ma anche nelle illustrazioni e nelle opere d’arte: “…si pensi alla disperazione rappresentata sui volti dei personaggi in Guernica di Pablo Picasso: non basterebbero fiumi di parole per descriverla e trasmetterla. È sufficiente invece un solo sguardo per avere una descrizione di quella che è la disperazione umana, e comprendere le emozioni di queste figure”. ( 32 )
E questa competenza “…di cui siamo dotarti fin dalla più tenera infanzia e a cui sono associati circuiti specializzati della via visiva ventrale, che alcuni qualificano come ‘moduli dei volti’ “ si attiva sia quando incontriamo un volto in carne ed ossa sia quando riconosciamo una statua o una fotografia. ( 33 )
Dal viso alle facce nei libri
Se quindi per il bambino è di fondamentale importanza aggrapparsi al viso della mamma per avviare la comunicazione con il mondo, se nei volti sono rappresentate le emozioni e queste si possono cogliere con rapidità in un solo colpo d’occhio, se il nostro cervello ritiene così importanti queste operazioni da specializzare un’intera area, e se per contro la nostra competenza sembra essere limitata e non in grado di sfruttare tutte le potenzialità, ben vengano strumenti, attività educative e conoscenze che possano sviluppare questo tipo di lettura.
Nel presente contesto, si suggeriscono alcune indicazioni e le caratteristiche che i libri delle facce dovrebbero possedere per sostenere il passaggio del bambino dalla viso della mamma al riconoscimento delle facce e delle espressioni rappresentate nei primi libri e in quelli illustrati e quindi avviare il cammino come lettore nel mondo dei libri.
1. Potenziare la presenza di libri delle facce come prima lettura da offrire ai bambini a partire dai 9 mesi.
Si tratta di cartonati fotografici con la rappresentazione su ogni pagina di una espressione evidenziata dal volto di un bambino. Sull’importanza e sulle caratteristiche di questa fondamentale tipologia di libri, si è già parlato, ( 34 ) tuttavia qui si ribadisce quando siano ancora assai carenti le proposte editoriali (le disponibilità in commercio non arrivano a coprire le dita di una mano).
I libri delle facce rappresentano dei libri unici perché permettono al bambino di rivedere e consolidare le diverse espressioni emotive apprese nel rapporto con la madre e al contempo si pongono come i primi libri con cui familiarizzare e incominciare il percorso di lettore.
2. Continuare con i libri delle facce inseriti in contesti narrativi. Si è visto come gli studi di C. W. Sherri abbiano evidenziato che i bambini comprendono e interpretano le emozioni non solo dall’espressione delle facce ma anche dal contesto all’interno del quale le espressioni si sono generate. L’esempio più indovinato a questo proposito si trova in Faccia buffa di Nicola Smee ( 36 ) in cui, in una doppia pagina, a sinistra viene rappresentata l’azione del bambino che sta giocando con la palla e il testo “Adoro giocare con la palla” mentre a destra vi è l’espressione facciale corrispondente con l’immagine di una faccia felice.
3. Proporre immagini con rappresentazioni di tutte le diverse emozioni: non solo facce felici ma anche facce capaci di rappresentare e trasmettere le altre emozioni: il disgusto, la noia, la sorpresa, la rabbia.
È più consueto vedere nelle illustrazioni la cosa che disgusta piuttosto che la faccia di chi è disgustato: un piatto di spinaci, un rospo, un serpente, ma non i tratti del viso schifato.
Rappresentare un bambino che fa strane smorfie non dovrebbe essere interpretato come una manifestazione di mancanza di galateo, tipica di un bambino non educato, da non presentare nemmeno attraverso le immagini per evitare l’imitazione o l’apprendimento di cattive abitudini; queste immagini in realtà colgono le naturali mimiche: il bambino esprime fisicamente le proprie emozioni, dà spazio al corpo ( 37 ).
La rabbia è stato un tabù fino a quando non è stato pubblicato lo straordinario Che rabbia! di Mireille D'Allancé, ( 38 ) che ha dato corpo alla rabbia e contemporaneamente ha raffigurato la faccia del piccolo protagonista. È una storia prevalentemente iconica che ha permesso ai lettori di vedere la rabbia, di effettuare dei confronti con qualcosa di rappresentato, aiutando la costruzione di una immagine personale di questa emozione.
A volte le rappresentazioni dei volti sembrano tratte dalle prime lezioni di disegno: appaiono stereotipate e inespressive, denotano la scarsa attenzione ad approfondire l’ampia gamma delle espressioni dei volti, specie di quelli dei bambini, così vari e originali.
Anche il dolore e il pianto sono poco presenti nelle immagini dei libri, forse perché è ancora vivo il ricordo delle immagini stereotipate e pesantemente lacrimose comuni nei libri fino a qualche decennio fa. Eppure una maestra racconta di quanto sia gradito e preso a prestito nella biblioteca scolastica un semplice cartonato di poco pregio che raffigura facce tristi. La raccolta di una biblioteca dovrebbe comprendere libri rappresentativi delle varie emozioni. Libri con rappresentazioni di diversa profondità emotiva anche per i bambini più piccoli.
Il recente lavoro, senza età, di Antonella Abbatiello ( 39 ) riempie un vuoto sulla rappresentazione dei volti: il tabù del volto, e va in questa direzione, ovvero esplorare e insieme giocare con l’estesa gamma delle emozioni delle facce.
Non meno significativo è il lavoro sugli isomorfismi colti nelle facce dei bambini attraverso boccacce di tutti i tipi: dalla rabbia, alla superbia, alla gioia, alla stizza, alla furbizia, e così via, in un crescendo quasi liberatorio, nelle pagine a fisarmonica del libro di Alessandro Sanna ( 40 ) ABC di boccacce. Presenta una galleria con tutti i toni, da quelli alti e quelli più irriverenti delle emozioni, prendendo a pretesto l’insegnamento dell’alfabeto. Ma come non vederci l’intenzione di recuperare l’espressività delle lettere dell’alfabeto contro una tendenza che le considera solo di stretta pertinenza dell’apprendimento della lettoscrittura?
4. Offrire, quando sono implicate le emozioni, libri con protagonisti sia animali che bambini. Il ruolo di questi due tipi di protagonisti è differente per il lettore. La rabbia rappresentata nel volto di un animale permette l’attivazione di un processo di identificazione più distaccato e una minore implicazione emotiva. Un conto è che venga abbandonato un uccellino e un conto è che l’abbandono lo subisca un bambino. Il più delle volte vicende con forti emozioni interpretate da animali possono venir assorbite e rielaborate meglio dal piccolo lettore.
5. Ruolo della visione frontale delle facce. Il bambino, specie se piccolo, ha bisogno di instaurare un rapporto faccia-a-faccia e diretto con l’interlocutore; preferisce vedere la faccia, che deve essere di fronte, non sfuggente o di profilo, per poter cogliere le espressioni, le intenzioni, l’intensità delle emozioni. Ricordiamo che attraverso lo sguardo diretto passano le emozioni che coinvolgono il rapporto madre-bambino.
Ma come è possibile osservare la faccia e contemporaneamente rappresentare i protagonisti nella dimensione dinamica del movimento?
Questi due aspetti (esigenze percettive del bambino e soluzioni grafico-descrittive) sono state risolte e inserite nella dinamica della narrazione da alcuni illustratori che propongono personaggi posti di profilo e al contempo con la visione frontale di tutti i due gli occhi.
È la rappresentata cubista “alla Picasso”, con i due occhi inseriti nel profilo, della topina Pina di Lucy Cousins ( 41 ) o, più recentemente, della famiglia di Peppa Pig ( 42 ).
6. Un’attenzione particolare andrebbe riservata alle illustrazioni delle fiabe, anche di quelle più semplice e ridotte dove i personaggi vivono profonde implicazioni emotive, sia personalmente che indirettamente in qualità di coprotagonisti. Non sempre la tensione narrativa verbale è sostenuta da convincenti e implicanti espressioni nei tratti dei personaggi rappresentati.
L’illustrazione di un lupo, ad esempio, non va solo pensata affinché il bambino riesca a riconoscere quello specifico animale - un lupo più o meno grande, più o più o meno bello - ma perché rappresenti il lupo che vive nella storia in cui è inserito: un lupo triste o allegro, rabbioso o compiacente; senza questo livello, la lettura rimane piatta e il bambino non arricchirà il flag di quella particolare espressione facciale già interiorizzata nella esperienza con la madre ed evocativa dell’emozione corrispondente.
7. E’ bello, per un bambino che legge le illustrazioni, riconoscere i tratti che per primi ha imparato a leggere, i tratti a lui familiari e di grande intensità emotiva che rimandano al primo rapporto vissuto con la madre ed è bello riconoscersi nelle emozioni delle facce.
Viviamo in una società in cui si usa sempre meno comunicare con lo sguardo e dove si sta dimenticando come guardarsi negli occhi, anche nelle situazioni di imbarazzo. Pensare alla faccia della mamma e alla lettura delle facce, riconoscendo che questo è un percorso di lettura che tutti dovremmo intraprendere e continuare, è forse un modo per vivere relazioni più intense.
( 1 ) Alcuni significativi riferimenti: S. Dehaene. I neuroni della lettura, Raffaello Cortina, 2009.M. Wolf. Proust e il calamaro: storia e scienza del cervello che legge, Vita e Pensiero, 2009.
( 2 ) I principali studi sono riassunti da M. Cecchini… [et al.]. La comunicazione nelle prime ore di vita, Edizioni Psicologia, 2000.
( 4 ) T. B. Brazelton; H. Als. “Four Early Stages in the Development of Mother-Infant Interaction. Psychoanl”. Study of the Child, n. 34(1979), p. 349-369.
( 5 ) C. Turati; F. Simion. “Newborns’ recognition of changing and unchanging aspects of schematic faces”. Journal of Experimental Child Psychology, n.83 (2002), p. 239-261.
( 6 ) S. Zeki. La visione dall'interno: arte e cervello, Bollati Boringhieri, 2003, p. 193.
( 7 ) R. L. Fantz; J.M. Ordy; M. S. Udelf. “Maturation of pattern vision in infants during the first six months”. Journal of Comparative and Physiological Psychology, n. 55 (1962), p. 907-917; D. N. Stern. Le prime relazioni sociali: il bambino e la madre. Sovera multimedia, 1979.
( 8 ) N. Reissland. “ Neonatal imitation in the first hour of life: observation in rural Nepal”. Developmental Psychology, n. 24 (4) (1988), p. 464-469.
( 9 ) M. Cecchini; V. Langer. La comunicazione non verbale nelle prime ore di vita, Edizioni Psicologia, 2002.
( 10 ) G. Rizzolatti; G. Lupino. “The Cortical Motor Sistem”. Neuronal, n. 31 (2001), p. 899-901.
( 11 ) G. Rizzolatti; L. Vozza. Nella mente degli altri: neuroni specchio e comportamento sociale, Zanichelli, 2008.
( 12 ) P. Cervari… [et al.]. IES Intelligenza Empatico Sociale. I neuroni specchio per lo sviluppo delle organizzazioni, F. Angeli, 2010, p.72.
( 13 ) G. Rizzolatti; M. Fabbri-Destro. Neuroni specchio XXI secolo, presente sul sito dell’Enciclopedia Italiana Treccani. http://www.treccani.it/enciclopedia/neuroni-specchio_(XXI-Secolo), consultato il 10/01/2014.
( 14 ) F. Panizon. “Occhi di neonato”, Un Pediatra per amico. n. 4 (2009) e presente sul sito di Uppa.it http://www.uppa.it/rubriche/nascere/neonato/occhi-di-neonato, consultato il 13/01/2014.
( 15 ) D. Maurer; P. Salapatek. “Developmental Changes in the Scanning of Faces by Young Infants”. Child Development, n. 2 (1976), p. 523-527.
( 16 ) P. E. Ricci Bitti. Comunicazione e gestualità, F. Angeli, 1987.
( 17 ) L. Lumer; S. Zeki. La bella e la bestia: arte e neuroscienze, Laterza, 2011, p. 21-22.
( 18 ) J. M. Serrano…[et al.]. “Infants’ responses to adult statie facial expressions”. Infant Behavior and Developement, n.18 (1995), p. 477-482; A. Loeshes Alfonso... [et al.]. “ Neuropsicología de la percepción y la expresión facial de emociones: Estudios con niños y primates no humanos”. Anales de Psicologia, n. 2 (2004), p. 241-259.
( 19 ) L. A. Sroufe. “The coherence of individual development”. American Psychologist, n. 34 (1979), p. 834-841.
( 20 ) Esistono diversi sistemi di analisi delle espressioni facciali che permettono di rilevare ogni movimento con il numero esatto di muscoli che si sono contratti o rilassati, il principale è il F.A.C.S. (Facial Action Coding System), da questo è stato sviluppato il Facial Action Coding System for Infants and Young Children, ovvero il Baby F.A.C.S., maggiormente adeguato alla specificità dell’anatomia muscolare dei bambini.
( 21 ) A. A. Salah… [at al.]. “Communication and automatic interpretation of affect from facial expressions”. Affective Computing and Interaction: Psychological, Cognitive and Neuroscientific Perspectives, D. Gokcay & G. Yildirim (eds), 2011, IGI Global. http://www.cmpe.boun.edu.tr/~salah/salah10affective.pdf, sito consultato il 06/01/2014.
( 22 ) S. Zeki. La visione dall'interno: arte e cervello, Bollati Boringhieri, 2003, p. 202.
( 23 ) S. C. Widen; P. Naab. “Can an anger face also be scared? Malleability of facial expressions”. Emotion, Vol. 12 (5), (2012), p. 919-925.
( 24 ) C. W. Sherri. “Children's Interpretation of Facial Expressions: The Long Path from Valence-Based to Specific Discrete Categories”. Emotion Review, n.5 (2013), p.72-77.
( 25 ) C. W. Sherri; J. Russell. “ A Children's recognition of disgust in others”. Psychological Bulletin, n. 139 (2), (2013), p. 271-299.
( 26 ) L. Dimitrovsky...[et al.]. “Interpretation of facial expressions of affect in children with learning disabilities with verbal or nonverbal deficits”. Journal of Learning Disabilities, n. 31(1998), p. 286-292. http://www.ldonline.org/article/Facial_Expressions_and_NLD?theme=print, sito consultato il 15/01/2014.
( 27 ) L. Lumer; S. Zeki. La bella e la bestia: arte e neuroscienze, Laterza, 2011, p. 19.
( 28 ) C. W. Sherri. “Children's Interpretation of Facial Expressions: The Long Path from Valence-Based to Specific Discrete Categories”. Emotion review, n. 5 (2013), p. 72
( 30 ) S. Zeki. La visione dall'interno: arte e cervello, p.193
( 31 ) L. Lumer; S. Zeki. La bella e la bestia: arte e neuroscienze, p.19
( 32 ) L. Lumer; S. Zeki. La bella e la bestia: arte e neuroscienze, cit.
( 33 ) S. Dehaene. I neuroni della lettura, Raffaello Cortina, 2009, p. 357
( 34 ) R. Valentino Merletti; L. Paladin. Libro fammi grande: leggere nell’infanzia, Idest, 2012.
( 35 ) C. W. Sherri. “Children's Interpretation of Facial Expressions: The Long Path from Valence-Based to Specific Discrete Categories”, p.77
( 36 ) N. Smee. Faccia buffa, Ape junior, 2006.
( 37 ) Per un’età superiore, Bruno Tognolini, con Rime di rabbia, (Salani, 2010) rompe un tabù suggerendo di manifestare la rabbia attraverso le invettive.
( 38 ) M. d' Allancé. Che rabbia!, Babalibri, 2012.
( 39 ) A. Abbatiello. Facce, Topipittori, 2013.
( 40 ) A. Sanna. ABC di boccacce, Kite, 2010.
( 41 ) Es. L. Cousins. Pina va in biblioteca,Mondadori, 2013.
( 42 ) Es. S. D'Achille. Una gita nel bosco, Giunti Kids, 2012.