Michele Rak, teorico e storico della letteratura, docente all’Università di Siena e coordinatore dell’osservatorio europeo sulla lettura, spiega in questa intervista come ci si muove in Mediopolis, in questo mondo mediale e globale, in cui tutto si muove ed è soggetto a mutamento. Un processo che non si può più arrestare e che colpisce soprattutto la scrittura lineare.
Intermedialità, intertestualità, crossover… termini che rimandano a quell’incrocio, a quella miscelazione di generi e linguaggi iconici, a quella trasversalità di valenze testuali che caratterizzano i modi di comunicazione emergenti non solo in letteratura, ma più in generale nell’ambito della società e della cultura contemporanea. Nel suo libro La letteratura di Mediopolis insiste con un’analisi ampia e articolata sul concetto di “cultura mediale”; cosa significa esserne oggi immersi? Quali conseguenze ci sono e ci saranno per le nostre vite?
Mediopolis è la città con le strade formate dai media che veicolano in ogni istante di ogni giorno miliardi di testi. Il lettore che, in un modo o nell’altro, deve percorrere queste strade è esposto a scelte che può realizzare sempre più spinto dai fondamentali sociali – conflitto, religione, sesso, profitto e altro – piuttosto che da competenze acquisite nella cultura d’origine attraverso i graduali processi di formazione della scuola, dell’università e dei luoghi di lavoro.
Il percorso di questo lettore non è graduale e sistematico, è impulsivo, casuale, erratico, ansiogeno. Fa riferimento a insiemi di conoscenze in continua mobilità (della ricerca anche sulla composizione politica del pianeta), a linguaggi e testi continuamente miscelati per raggiungere gruppi sociali marginali (a cominciare dalla pubblicità e dai new media), ad attrezzi che consentono nuove forme di comunicazione (dai cellulari ai tablet) e contatti con soggetti sociali sconosciuti e che rimangono tali anche dopo contatti sui social network, i siti e altri luoghi testuali visibili e tuttavia evanescenti.
La prima conseguenza è che forme elementari di socializzazione rimaste a livello di mentalità tribale, anche all’interno delle città, si contrappongono a forme di socializzazione virtuali richieste dai nuovi abili digitali emergenti e dalle necessità del mercato globale. È un conflitto di mentalità che si combatte strada per strada, dove le culture vedono (ma non se n’accorgono subito) disintegrarsi le loro tradizioni – dai dialetti agli usi, dagli abiti ai modi del divertimento – e comparire all’improvviso nuovi costumi di cui percepiscono l’improvvisa estensione e pressione e di cui devono acquisire, in modo più o meno rozzo, i modi per non correre il rischio di rimanere fuori tempo, cosa che pressoché tutti i gruppi sociali temono. Per questo anche i barboni usano il cellulare.
Nel contesto della cultura mediale la letteratura ha subìto e subisce enormi pressioni. Come in un regime vecchio e decadente, i barbari, che hanno la forma di nuove opere e di nuovi linguaggi provenienti da regioni remote dell’Impero, sono arrivati a compromettere il funzionamento del sistema di potere fin qui vigente. La letteratura deve modificare il proprio ruolo e la propria funzione. A che punto del processo siamo? E dove stiamo andando?
Mi chiedete di uno dei miei lavori preferiti: osservare il mutamento e le sue tendenze. Le opere e i linguaggi dei “barbari” sono arrivate da tempo anche qui e il sistema di potere della letteratura (programmi scolastici? tecniche accademiche? sistemi di classificazione?) si va dissolvendo, come provano le spesso incomprensibili scelte e lamentele degli editori e degli atenei che trovano sempre meno clienti.
La letteratura è in misura crescente uno dei luoghi testuali con i quali configurare la propria identità, captando dati sulla composizione del mondo sociale che ci circonda e delle sue eredità storiche con le sue sceneggiature, castelli e periferie, bar e discariche, brutti ceffi o belle ceffe.
La circolazione di testi provenienti da culture diverse, la loro compresenza sul mercato, come accade per gli eventi della cronaca, sta tuttavia alterando il corpus delle tradizioni e consentendo di formare nuove tradizioni testuali interculturali. Dove i testi di scrittura lineare continuano ad avere una posizione privilegiata nel flusso della comunicazione, ma dove anche altri testi hanno fatto irruzione. Tutti insieme richiedono competenze che le singole culture, con i loro apparati educativi, sempre più difficilmente sono in grado di fornire, adeguandosi a una crescente velocità e vastità di acquisizione dei dati che la ricerca pratica e consente.
Termini come labilità, provvisorietà, indefinitezza, instabilità ricorrono spesso nel suo saggio con riferimento al linguaggio letterario e non solo. In rapporto al flusso testuale “sporco” che caratterizza la comunicazione di questi anni, questi concetti riescono a coniugarsi con quelli di “libertà” e “creatività” che dovrebbero essere elementi fondanti di ogni linguaggio d’arte? Oppure dobbiamo interpretarli come mere tendenze regressive?
È cambiato soltanto il materiale dal quale attingiamo i profili caratteriali, le sceneggiature dei rapporti sociali, le culture che conosciamo attraverso i viaggi, l’oggettistica, persino le dimensioni dello spazio esterno al pianeta. Come è possibile che questo non si rifletta sui testi di scrittura?
Non esistono più mondi così semplici come quelli delle culture antiche e moderne, persino l’industrialismo sta mutando. Ogni scrittore scrive con i materiali del suo tempo e ogni lettore cerca nel testo proprio quei materiali, anche quando sembra cercare il passato remoto o il remoto futuro.
Lavoriamo su nuovi materiali – si pensi ai dati della ricerca scientifica – e su nuovi testi multiculturali – si pensi alle scoperte sulle culture antiche e moderne della ricerca storica. Tutto questo viene trascinato fino alla mia scrivania laccata di rosso e al mio mac bianco, stimolando e incrociando nuovi modi di pensare, caratterizzati non dalla stabilità e fissità delle culture storiche ma dalla mobilità della cultura mediale. Libertà e creatività lavorano su nuovi campi. Tornare indietro sarà difficile, cambiar cassetta degli attrezzi, testi e mestiere sempre più necessario.
A partire dagli anni ’90, tra gli addetti ai lavori del settore editoriale per bambini e ragazzi, il piacere del leggere è stato un tema molto dibattuto, tanto da diventare un leitmotiv della pratica di pedagogia della lettura a scuola e in biblioteca.
È però curioso che la sua presenza nel dibattito si sia pian piano rarefatta con l’avvento, dall’inizio del nuovo millennio, di un nuovo modello di letteratura per ragazzi più improntata all’intrattenimento, modello ormai pienamente in linea con i dettami della cultura mediale. Ci vuole esprimere il suo punto di vista su intrattenimento, piacere e divertimento in letteratura?
Quando, negli anni ’70, ho cominciato a osservare la letteratura d’intrattenimento emersa nella cultura industrialista, mi sono accorto della sua varietà e dei sempre più labili confini che aveva con gli altri insiemi testuali indicati dagli storici come “letteratura”.
Con il passare del tempo, mentre questi confini si sono sempre più volatilizzati, le scelte degli storici hanno tentato di isolare alcuni soggetti e ambienti come propri della letteratura, corredandoli di un suggestivo apparato di commenti critici su riviste, antologie, storie letterarie.
Al contrario, i lettori hanno continuato a scegliere tutt’altri soggetti e ambienti più adatti a rispondere alle domande sui pressanti cantari della vita quotidiana: la tecnologia, la lotta politica, gli scontri etnici, e hanno cominciato a comprare sempre meno riviste, antologie e storie letterarie. Questo è avvenuto anche al livello dell’istruzione universitaria, dove l’accademia non è stata in grado di contrastare l’invasività dei soggetti e delle procedure delle altre fonti d’informazione.
L’accademia non ha governato il mutamento e si è fatta governare dal mercato anche nel campo della soggettistica e dello stile della scrittura lineare, ha chiuso gli occhi davanti all’arrivo dei fumetti (vs graphic novel) e alla loro incidenza nell’alfabetizzazione narrativa degli studenti e, in genere, ha negato la pressione della lettura iconica per non parlare della crescente pressione dell’informazione televisiva.
Quattro secoli fa si scriveva che la vita è teatro o sogno, ora la vita è gioco perché viene vista da remoto e senza rischi, è un carattere della percezione estetica e dei suoi piaceri. I testi che parlano di questa vita – di qualsiasi genere siano – si muovono continuamente tra il realismo crudo della cronaca e la sicurezza dello spettatore sdraiato sul divano davanti al video.
È un confine ansiogeno che avverte continuamente come la cronaca possa arrivare fin sopra quel divano. Quando i vicini dichiarano che non l’avrebbero mai immaginato, sembrava una coppia così tranquilla. È che tutto quanto avviene nei media non sembra poter avvenire intorno a noi perché è già avvenuto altrove. Questo non impedisce alla paura di Mediopolis di insinuarsi anche a casa nostra.
Per questo il lettore percepisce e cerca soprattutto la devianza – il divertimento – segno del nostro tempo e dal continuo inseguimento di questo trova il suo piacere. Anche se esiste un piacere della ripetizione, del serial e dell’ossessione. In fondo tutte le menti hanno il diritto di divertirsi.
Proprio nell’ambito della produzione di intrattenimento si moltiplicano i romanzi rivolti a un pubblico indifferenziato, i crossover, spesso calati nella forma della più spinta serialità e a volte baciati dalla fortuna (accentuata dalla diffusione globale) della vocazione al bestseller. Come si pone il critico della letteratura di fronte a questi fenomeni? E l’analista e teorico della comunicazione?
Il nostro mestiere è cambiato perché sono cambiate la tipologia dei testi che usiamo, le modalità di lettura che pratichiamo, gli apparati tecnologici che usiamo, la rapidità della loro emersione e decadenza, la varietà testuale, la provenienza da culture diverse e, soprattutto, la loro mescolanza nel grande miscelatore di linguaggi, lingue e testi rappresentato dalla cultura mediale, che è global, interculturale, planetaria.
Per questo i tecnici un tempo chiamati “critici letterari” sono chiamati a restauri di patrimoni nazionali che sempre meno lettori frequentano. Come le nostre biblioteche, splendidi apparati materiali che frequentiamo sempre più spesso in forma digitale, perdendo molto del contatto e dei percorsi nei loro depositi ma guadagnando tempo – che è l’unica cosa che abbiamo e non sappiamo mai quanto ne abbiamo davvero – e soprattutto gettandoci nel futuro, perché tutti parlano questa nuova lingua della ricerca e della lettura: rapida, interculturale, senza divieti.
Se la letteratura è ancora di più strumento per rappresentare o mettere in un ordine qualsiasi il mondo e per produrre identità, il lettore che ruolo vi svolge? E, all’orizzonte, che ne sarà dei giovani lettori, nativi digitali?
Il lettore cerca nei testi i caratteri, le azioni, gli oggetti, i percorsi che stabilizzino almeno temporaneamente la loro identità nel flusso della cronaca e del suo aspetto speculare – i romanzi che il mercato propone ogni giorno anche nella discarica, spesso indecifrabile perché di culture ormai remote, che chiamiamo dei “classici”.
È lo stesso percorso che il lettore fa tra le forme dell’oggettistica che si trovano nei mercatini dell’usato o nelle riviste di design, tra i cubetti dell’architettura che si trovano nelle periferie o tra i cibi dei supermarket, tutti prodotti dotati di date di scadenza.
Certo ci sono ancora scuole in cui i bambini devono ossessivamente leggere sempre lo stesso testo, ma nelle loro case circolano anche gli utensili chiamati radio o televisione o cellulare o internet, ancora considerati pericolosi in alcuni paesi. Quei bambini cresceranno. Sappiamo bene cosa accadrà: grandi momenti di conflitti e caos sociale man mano che le culture locali crolleranno sotto la spinta della cultura mediale e poi, fatalmente, nuovi equilibri culturali planetari. E parliamo dal punto di vista dello scambio di testi.
Come fa notare nel suo saggio, serialità, mescidazione, partecipazione emotiva e simulazione, che caratterizzano la fruizione nella cultura mediale, rimandano al gioco. Se il rapporto è con l’opera/gioco testuale, che tipo di lettore dobbiamo aspettarci?
È il lettore post-meccanico, che usa l’automobile e il computer ma non sa nulla dei circuiti che regolano queste macchine, non conosce la differenza tra i software e vive le sue avventure sul video. Procede in un slalom tra i paletti che offrono i produttori di testi. “Pura magia” avrebbero detto un tempo.
Il problema, per i vecchi lettori, è che questi testi non sono più soltanto di scrittura lineare, ma in misura crescente di scrittura iconica e multimediale. Trovo sempre più difficile studiare testi lineari in una cultura che usa quantità crescenti di testi molto divergenti, che hanno sempre meno intenti esemplari e sempre più spesso funzionano da esercizi non conflittuali con i piccoli e grandi quesiti che pone la vita quotidiana.
Per fortuna sono tutti esercizi in gran parte “in assenza”: i delitti avvengono nei telegiornali, le avventure nei film, i viaggi nei documentari. Certo qualche volta l’esercito dei creduloni incappa in varie disavventure perché non ricorda quanto siano pericolosi o sconosciuti i condomini o i drogati o le armi e quanto quelle cronache, film, documentari o romanzi siano proiezioni delle paure e delle difficoltà del mutamento culturale in atto.
(da LiBeR 94)