Ann Halam, pseudonimo della scrittrice Gwyneth Jones, è autrice di Siberia, romanzo fantascientifico edito da Fabbri nel 2006. Nella sua carriera di scrittrice di romanzi di fantascienza ha vinto importanti premi, sia con opere rivolte a lettori adulti che con altre dedicate a giovani lettori. Carla Poesio le ha rivolto qualche domanda sul suo ultimo lavoro, che denuncia lo stato di pericolo del nostro pianeta e riserva le speranze della sua protezione nei giovani di oggi.
Dalle vicende da lei narrate in Siberia (Fabbri, 2005) possiamo desumere che il lungo, penoso viaggio compiuto dalla giovane protagonista per raggiungere il mare e il suo successo sono una metafora dell’apporto che i ragazzi, gli uomini del nostro domani, possono dare e daranno per il salvataggio del nostro pianeta sempre più collassato?
Penso che soltanto questi teenager possano dare risposta ai terribili problemi che il mondo d’oggi si trova a fronteggiare. Gran parte degli adulti, perfino i giovani adulti, credono ancora che il sistema che promette loro una ricchezza in continuo aumento – più fonti di petrolio, più automobili, più strade, più aeroporti, più case, più moderne comodità, più viaggi aerei a buon mercato, più merci di lusso e vantaggi di ogni genere – possano continuare per sempre. Vedono i resoconti di temibili segnali di allarme, di terrificanti statistiche di perdite e si limitano a voltar pagina.
Accade lo stesso in tutto il mondo: quelli che si trovano ancora al di fuori della zona di ricchezza vogliono entrarci, quelli che sono riusciti a entrarci da poco (come i popoli del Sud Asia, della Cina, o della Repubblica Irlandese) sono ben determinati a raggiungere il livello dei paesi dall’economia fiorente, e quelli la cui (relativa) ricchezza risale a vecchia data sono accecati dalla prospettiva di egoistici guadagni a breve termine.
È facile dare la colpa dello stato di collasso del nostro pianeta a governi o a capi di società multinazionali, ma i governi non scelgono di ignorare il pericolo in cui ci troviamo, scelgono piuttosto di restare al potere.
Se chi ha diritto di voto partecipasse al problema e si facesse sentire, i governi delle zone più ricche sarebbero costretti ad ascoltare. Ma oggigiorno le grandi multinazionali sono molto interessate a trovar modi di arricchirsi prolungati nel tempo. Sfortunatamente guadagnare meno denaro è un’opzione che non possono prendere in considerazione. È il consumatore che deve decidere di consumare meno e gli adulti consumatori non sono intenzionati a fare questa scelta: hanno abitudini che non possono cessare se non con la forza.
Il paradosso è che gli interessi dei governi e delle multinazionali si barricano, in ogni situazione, dietro facciate pseudo-ecologiche mentre i media riportano, senza limitazione alcuna la misura dei danni apportati al pianeta.
Bambini e ragazzi sono bombardati da notizie terrificanti sulle perdite di cui soffre il pianeta; questi fatti vengono loro insegnati a scuola ed essi hanno l’innocenza di prenderli seriamente.
Non sanno ancora che il sistema vuole che cambino canale, che voltino pagina, che comprino un’altra automobile bella e sexy, come non sanno che quelle lezioni ecologiche imparate a scuola sono solo fumo negli occhi. Nella loro innocenza vedono che il loro mondo si trova in pericolo serio e immediato e che hanno in mano la possibilità e la capacità di agire.
Rosita, la bambina che da una condizione privilegiata si trova d’improvviso abbandonata in un lager freddo e brutalmente in rovina, è come un bambino del nostro mondo trasportato in quel futuro che ci aspetta. Una volta cresciuta e diventata Sloe, compie un viaggio eroico divenendo uno di quei teenager di oggigiorno che si prende la responsabilità del futuro del proprio mondo. Il viaggio che compie è lungo e arduo perché io non vedo davanti a lei soluzioni immediate o veloci.
Il ritorno a un pianeta sano, al punto in cui siamo oggi, dovrà necessariamente essere difficile e pieno di problemi e i nostri figli dovranno sostenerne il peso. Ma non credo che la situazione sia senza speranze. Non ci sono motivi per disperare, dal momento che tutto quello che dobbiamo fare è non anteporre la disperazione (che magari deriva da una mancata automobile nuova) alla speranza e ai mezzi di trasporto pubblico…
Il mondo ha bisogno di una mentalità nuova.
Per fortuna i bambini e i teenager hanno molta più sensibilità degli adulti e laddove i giovani faranno da guida (come succede in ogni tipo di moda) gli altri li seguiranno.
La Siberia descritta nel libro non è un luogo preciso, lei scrive... Possiamo tuttavia rinvenire nel nome e nelle caratteristiche ambientali del luogo in cui si svolge l’azione, un’allusione di carattere storico-politico? Cioè, che ogni soppressione della libertà, passata, presente o futura, a qualunque latitudine, segna l’arresto del progresso, l’avvilimento della scienza e la distruzione della dignità umana?
Del congelamento dell’Europa dell’Ovest, se la corrente chiamata Gulf Stream venisse a mancare, si è parlato per anni come di una delle conseguenze del riscaldamento globale, “di alto impatto ma di scarsa probabilità”. La scenografia di Siberia, legata a quella probabilità, può quindi essere vista come il prodotto di una fantascienza moderatamente realistica.
È un futuro che potrebbe realizzarsi, non domani o dopodomani ma tra circa 100 anni. E questi 100 anni sono pressappoco il periodo di tempo che ho immaginato intercorresse tra il nostro e quello in cui descrivevo quanto fosse cambiata la società in Europa.
Devo ammettere che avevo altre idee. La parola “Siberia” evoca, sopra ogni altra, una condanna a un esilio interiore, in una prigione senza muri. Pensavo a dei precedenti storici, pensavo a documentari che ho visto sui polacchi e altre vittime delle purghe di Stalin ammassati su camion e trasportati in lande gelate e lasciati là a sopravvivere come meglio potevano…
Ma la gelida parola “Siberia” evoca anche la ibernata vita di qualcuno la cui ribellione alle forze di distruzione à stata totalmente annientata.
Per me la madre di Sloe, la scienziata esiliata e ingiustamente condannata, rappresenta le voci della ragione nel nostro mondo, le voci di quelli che invocano la legge, credono nella giustizia ma si rendono conto che la giustizia non c’è più.
Sono gli uomini di scienza incorruttibili, altamente qualificati, che scrivono dichiarazioni prontamente censurate, sono gli attivisti, i difensori dei diritti dell’uomo, gli ambientalisti: esprimono proteste assolutamente ignorate, organizzano campagne, scrivono lettere, parlano alla tv e non raggiungono alcun risultato.
Essere esiliati nel proprio Paese, parlare senza essere ascoltati, essere ignorati e messi segretamente in silenzio senza essere nemmeno condannati apertamente equivale a essere rinchiusi nel ghiaccio.
(da LiBeR 78)
Interview to Ann Halam
by Carla Poesio
To what extent can the long, angst-ridden, yet successful journey towards the sea undertaken by the protagonist of your novel be seen as a metaphor of how today's teenagers, adults of tomorrow, can and will contribute to saving our collapsing planet?
I believe that only young people CAN respond to the terrible problems that the living world faces. Most adults, even young adults in their twenties and thirties, still believe that the system that promises them ever-increasing wealth —more oilfields, more cars, more roads, more airports, more houses, more modern conveniences; more cheap flights, more cheap and luxurious goods and services of all kinds— can go on forever. They see the fearsome warning signs, appalling statistics of loss, reported, and they just turn the page. I think it’s the same the world over: those who are still outside the wealth zone want to get in, those who have just achieved entry (such as the people of South Asia and China, or the Irish Republic) are determined to catch up with the big spenders, and those whose (relative) wealth is long established are blinded by short term self interest. It’s easy to blame the state of “our collapsing planet” on governments and leaders of big business: but governments don’t choose to ignore the peril we are in, they choose to stay in power. If ordinary voters felt strongly, the governments of the richest regions would have to listen. Meanwhile big business is in fact very interested in finding “sustainable” ways to make money. Unfortunately making LESS money is not an option they can consider: it’s up to the consumer to decide to consume less, and adult consumers just won’t make that choice, they have habits that can’t be broken except by force.
The paradox is that governments and big business interests are building themselves a green façade on every issue, and the media are reporting the scale of the damage done to the planet, without restraint. Children and teenagers are surrounded by terrifying news about the losses the planet is suffering, they are taught the facts at school, and they have the innocence to take these things seriously. They don’t know that they’re supposed to switch the channel, turn the page, and buy another beautiful, sexy motor car; they don’t know that the green lessons they learn in school are just window-dressing. They see their future is in real and urgent danger, and they are likely to act.
Rosita, the privileged child in ‘SIBERIA’ who is suddenly dumped into a cold, brutally impoverished prison camp, is like a child of our world transported to our likely future. When she grows up to be Sloe, and makes that heroic journey, she’s like a teenager of today taking responsibility for the future of her world. The journey she makes is long and arduous, because I don’t see any quick fixes ahead. The way back to a healthy planet, from where we are now, is bound to be difficult and demanding, and our children will have to shoulder the burden. But I don’t believe the position is hopeless. There is no reason for despair, all we need to do is become people who don’t prefer despair (because it comes with a new car), to hope and public transport. . . The world needs a change of heart. Luckily, children and teenagers are much more open-hearted than their seniors, and where the young lead (as is true of all fashion), the rest of us will follow
In the novel, as you write, Siberia does not have any definite connotation. Still is it possible to interpret the choice of the name and of the environmental traits of the described location as possible political/historical references? Is it possible, in other words, to read into such references the notion that any form of suppressed freedom, whether it be past, present or future and at whatever latitude, is synonymous with lack of progress, a constraining blinkered approach to science and humiliation of human dignity?
The freezing of Western Europe, if the current called the Gulf Stream fails, has been known for years as one of the “high impact low probability” consequences of global warming —so the setting for ‘SIBERIA’ can be seen a moderately realistic science fiction: this is a future that could happen, not tomorrow or the day after, but in about a hundred years (and that’s about the interval I imagined, when I was describing how much the society of Europe had changed). But it’s true, I had other ideas. The word ‘SIBERIA’ conjures up, above all others, a sentence of internal exile, in a prison without walls. I was thinking of the historical precedents, I was thinking of newsreel footage I have seen of the Polish and other victims of Stalin’s purges, trucked out into the icy wastes and left there to survive as best they could. . . But the cold world of ‘SIBERIA’ also conjures up the frozen life of someone whose rebellion against forces of destruction has been crushed. To me Sloe’s mother, the exiled and wrongfully condemned scientist, represents the voices of reason in our own world, the people who invoke the law, who believe in justice, but find that the law no longer operates. The highly qualified, incorruptible scientists who write reports that are censored, the activists, human rights defenders, environmentalists, who make protests that are ignored; who campaign, and write letters, and talk on the tv, and get nowhere. To be exiled in your own country, to speak without being heard, to be ignored and secretly silenced, without ever being openly condemned: it’s like being encased in ice.