Nella nota in calce a La mia vita dorata da re Jenny Jägerfeld, Premio Astrid Lindgren ma ancora sconosciuta in Italia, ringrazia così Sara Acedo per la sua copertina: “Non fa nulla se ci hai piazzato una zebra senza che nella storia ce ne fosse una, all’inizio. Così ho avuto il pretesto per infilarcela”. Scomodare Gianni Rodari può apparire scontato o eccessivo, ma trova una giustificazione nel fatto che il filo conduttore del romanzo è l’uso ripetuto del binomio fantastico: basta scorrere l’indice dei capitoli per trovare, fra gli altri, un “gatto siamese con interessi musicali che cerca cavallo dotato di buon senso dell’umorismo” o ancora “due segreti e un coccodrillo volante”. Da questo gioco scaturiscono il Grand Hotel di famiglia che ha come unico ospite un improbabile regista, l’app per animali solitari in cerca di amicizia, il nano da giardino che si racconta su Instagram, il nonno inventore del burrostick e dell’appallaneve, la nonna che veste leggings zebrati, viaggia in Corvette rossa decapottabile e non vuole essere chiamata nonna (e nemmeno mamma) per non essere sminuita come essere umano. In questo contesto Sigge, 12 anni, un occhio strabico e una passione segreta per il pattinaggio artistico, racconta per filo e per segno il piano messo a punto per lasciarsi alle spalle la solitudine e la derisione vissute a Stoccolma: nei 49 giorni che lo separano dall’inizio della scuola nel paesino in cui si è trasferito con la mamma e le sorelline, nascerà un nuovo Sigge, popolare e sicuro di sé, anche grazie all’uso sapiente e generoso di sigarette di cioccolato e di gomme da masticare all’arancia. Fra il vecchio e il nuovo Sigge si mette di mezzo Juno, coetanea dai capelli blu e autrice di uno scatto compromettente che rischia di mandare a monte tutto, ma la scomparsa provvidenziale della tartaruga Carolina sembra rimettere a posto le cose. A dare, però, una nuova direzione al percorso di Sigge ci pensa nonna Charlotte, donna libera e anticonformista che lo aiuta a vedere le cose da una prospettiva diversa: “Però questa storia di piacere agli altri… – riflettè la nonna – Non sarà un po’ sopravvalutata? Se invece sei tu a volerti bene, quello sì che è l’inizio di un amore che dura tutta la vita!”
Serena Marradi (da LiBeR 132)
La mia vita dorata da re
Jenny Jägerfeld;
trad. di L. Cangemi
Iperborea, 2021, 352 p.
(I miniborei)
€ 16,00 ; Età : da 10 anni
L’impavido Joey è innanzi tutto uno scoiattolo felice, ed è questo a fare di lui Lucky Joey.
Ma cosa rende “lucky” (fortunata) un’esistenza? Qualcosa di molto semplice e speciale insieme: la gioia di poter fare quello che piace.
Joey si alza molto presto la mattina, e dopo aver fatto colazione va a lavoro. È contento perché ama il suo lavoro. Attenzione: Joey non fa l’astronauta e nemmeno il cercatore di tesori, il suo è un lavoro normale, che potrebbe dare le vertigini, ma non per il successo.
Joey fa il lavavetri sui grattacieli più alti della città, e mentre sale, strofina, lucida e asciuga gli capita di incorrere anche nelle prepotenze di chi ha denti aguzzi e poco ingegno. La fortuna di Joey non è solo quella di fare un lavoro che gli piace e di amare da sempre Lena, la sua vera fortuna è anche quella di poter trascorrere del tempo con il signor Grizzly, un vecchio amico. Il signor Grizzly è un orso che ribalta, con la sua gentilezza, tutte le maldicenze sugli orsi, per di più vecchi.
Quel che il signor Grizzly raccomanda al piccolo Joey è di non dimenticarsi mai di seguire i propri sogni.
Accade così che a volte si finisca coi piedi per aria, e che i prepotenti vincano una mano. È una storia lieve e coraggiosa insieme, quella del piccolo scoiattolo, e ancora una volta Carl Norac, poeta e narratore belga, ha saputo mettere insieme tutti gli ingredienti per regalarci una storia in cui poesia e avventura si cedono il passo l’un l’altra perché entrambe necessarie a fare di una piccola storia una bella storia. La ricetta segreta che viene consegnata ai lettori è semplice ma di sicuro successo: i sogni non vanno mai fatti ad occhi chiusi, bisogna avere fiducia in se stessi e soprattutto negli amici. Un bel libro, anche nel formato, più grande del solito, che dà spazio alla bellezza delle illustrazioni di Stéphane Poulin, che ha saputo equilibrare perfettamente il piccolo con il grande, l’arroganza dei più forti con la mitezza di chi sa vivere di piccole cose in una città che li sovrasta e che il piccolo Joey e Lena sanno guardare dall’alto senza farsi venire le vertigini, continuando a sognare insieme.
Agata Diakoviez (da LiBeR 132)
Lucky Joey
Carl Norac,
ill. di Stéphane Poulin;
trad. di T. Babled
Babalibri, 2021, 36 p.
€ 18,00 ; Età: da 6 anni
Forse non è un caso, ma il periodo del lockdown, che ci ha costretto a stare chiusi nelle nostre abitazioni, ha coinciso con l’uscita di proposte editoriali dedicate agli spazi architettonici come Il libro delle case straordinarie. La pubblicazione nasce con un intento preciso: “Sono innumerevoli le storie in cui compaiono edifici meravigliosi, dai libri illustrati per l’infanzia ai romanzi” – scrive Seiji Yoshida, che afferma di esserne rimasto affascinato e di averli pensati, immaginati e riprodotti nei minimi dettagli attraverso il disegno. Così propone al lettore di intraprendere il percorso in senso contrario: di partire dalle abitazioni per immaginare una storia. Davanti ai nostri occhi si palesa un ricchissimo album di case uniche, appartenenti a epoche e località geografiche diverse, create appositamente per risvegliare lo stesso stupore che provavamo da bambini di fronte alla casa di Heidi o a quella di Pinocchio. È ricco e vario il repertorio di abitazioni nel quale ci imbattiamo sfogliando le pagine di questo libro difficilmente classificabile, un misto di fiction e non fiction di assoluto godimento estetico. Case che riflettono i loro abitanti. Dal faro del malinconico guardiano, alla torre di pietra con le feritoie abitata dai pastori georgiani, rifugio sicuro in caso di incursioni nemiche, al cottage su un grande lago, buen retiro di un meccanico taciturno e del suo cane. Tutte le case sono raffigurate nei minimi dettagli e proposte anche attraverso semplici planimetrie che suggellano la loro esistenza, rendendole quasi verosimili. Così il “laboratorio del botanico eccentrico”, la “sala macchine del minatore”, la casa laboratorio dell’orologiaio, per citare solo alcune delle abitazioni, sono lì per essere esplorate e per stimolare l’immaginario di chi vi si avvicina. Ma c’è di più: l’autore dedica un terzo del libro alla spiegazione delle tavole illustrando i procedimenti che hanno portato alla realizzazione delle figure. Dai primi schizzi ai bozzetti fino alle colorazioni delle vedute emerge la complessità del processo di lavorazione e di revisione dei disegni, un vero e proprio spaccato del lavoro dell’illustratore. Nel complesso siamo davanti ad un unicum da non lasciarsi sfuggire.
Francesca Brunetti (da LiBeR 132)
Il libro delle case straordinarie
Seiji Yoshida
L’Ippocampo, 2021, 128 p.
€ 15,00 ; Età: da 7 anni
Un avvio letterario incoraggiante per Lisa Lundmark, svedese classe 1988, che in patria si è guadagnato il Premio Slangbellan 2018, conferito dall’Associazione degli scrittori svedesi, e il Premio Nils Holgersson 2018, attribuito dall’Associazione delle biblioteche svedesi. Un romanzo che, dichiaratamente, attinge ai ricordi d’infanzia dell’autrice, spronata da genitori e insegnanti a parlare più forte, farsi valere, alzare la mano, andando contro la sua naturale propensione. “Jenny lo squalo parla dei bambini silenziosi. Quelli timidi e taciturni”, dichiara Lundmark nella prefazione, e a loro esprime solidarietà, sottolineando che vanno bene così e che non devono sentirsi obbligati a diventare più “coraggiosi” o ad “affermarsi”. Jenny si sente a suo agio in fondo all’aula, non è interessata ad alzare la mano per dire la sua, non intende mettersi in mostra. E tutto questo non significa che sia triste o dolce o che abbia dei problemi. Vorrebbe semplicemente essere lasciata in pace, come gli squali, “a cui piace nuotare da soli in mare, e mai nessuno osa attaccar briga con loro”. Adora leggere, andare in biblioteca, osservare e ascoltare, stare da sola o confidarsi con il nonno. E anche se il maestro pensa che non abbia amici, Jenny un’amica ce l’ha: Amina, che vive nel suo palazzo ed è brava a disegnare.
Nonostante ami esprimersi con un sussurro, la voce di Jenny risuona forte in queste pagine ricche di meditazioni e osservazioni personali. Il suo pensiero grida, così come la sua rabbia, portando il lettore a immedesimarsi nelle sue fatiche. Come superare le interrogazioni, l’open day, il colloquio con i genitori e le prove che mettono in agitazione una persona introversa come lei? Jenny un giorno entra nel Mondo marino e incontra per la prima volta uno squalo vero. Da quel momento qualcosa cambia in lei, una nuova consapevolezza prende forma. Non rimane che farlo capire a tutti gli altri e l’occasione potrebbe presentarsi proprio durante una gita al grande acquario. La storia è intervallata dai disegni fantasiosi e dal tocco umoristico di Charlotte Ramel, in cui l’azzurro marino è l’unico colore a emergere. Un accompagnamento perfetto che stempera la serietà dell’argomento e contribuisce ad affrontarlo con la dovuta leggerezza.
Francesca Tamberlani (da LiBeR 132)
Jenny lo squalo
Lisa Lundmark,
ill. di Charlotte Ramel;
trad. di L. Barni
La Nuova Frontiera Junior, 2021, 128 p.
€ 13,90 ; Età: da 7 anni
Scrivendo de La fisica degli abbracci di Anna Vivarelli non si può non partire dall’incipit. “A nove anni sono entrato a Cambridge e a undici mi sono laureato. A dodici anni tenevo un corso al Trinity College sulla teoria dei campi e mi specializzavo in fisica delle particelle. A quattordici anni, sette mesi e sette giorni sono morto”.
L’incipit – e lo stile – sono tutto, come ha magnificamente mostrato Luigi Lo Cascio nel suo Ogni ricordo un fiore, dove ne ha immaginati 230 per uno scrittore sospeso tra occasioni perdute e infiniti sogni, inizi.
Eppure da questo incipit-prologo che introduce in prima persona il protagonista – Will Malvasi, sedicenne dal quoziente intellettivo iperbolico, che per riposarsi conta i numeri primi e ha ereditato dalla propria famiglia e dal mondo tanta ricchezza quanta assoluta deprivazione affettiva e inadeguatezza alla socialità – la narrazione prende vie inaspettate.
“Niente è come sembra” – direbbe lo sguardo incommensurabile di Franco Battiato. Da dove parla allora quella voce? Dal limbo in cui come altre simili è rinchiusa? Risuonano così le note de Il dramma del bambino dotato di Alice Miller e del film Il mio piccolo genio di Jodie Forster, con l’ironia de Il giovane Holden.
E a sorpresa il racconto procede in terza persona, affiancando a quello di Will il personaggio in apparenza diversissimo di Dora, signora rumena cinquantenne in Italia per prendersi cura di un’anziana insopportabile, lavoro per il quale non userò la logora parola. Perché Vivarelli vuole sventare stereotipi. Sarà Dora con la sua intelligenza emotiva, coi suoi ricordi d’infanzia, col suo pianto una volta a settimana per il figlio perso in carcere, col suo amore per il cibo fatto in casa, a tirar fuori maieuticamente dal ragazzo la sua vena più umana, la sua capacità di prendersi cura di lei. A questo si aggiungeranno un professore indiano premio Nobel e una professoressa di vaglia, che osserva: “siamo prodigi importuni”. I cattivi menomale resteranno tali, come i genitori di Will, “la vecchia” di Dora e la di lei figlia.
Unico nello stile, attento a ogni singolo dettaglio dei personaggi, il romanzo di Vivarelli sa anche dirci in filigrana di questi nostri tempi senza abbracci, il pericolo più grande.
Maria Grosso (da LiBeR 132)
La fisica degli abbracci
Anna Vivarelli
Uovonero, 2021, 153 p.
( I geodi)
€ 14,00 ; Età: da 11 anni
Le guerre non si annunciano, non chiedono il permesso di far visita a una città. Nella confederazione della ex Jugoslavia, nello Stato della Bosnia-Erzegovina, nella città di Sarajevo nessuno poteva immaginare che un conflitto avrebbe devastato le vite di una popolazione che viveva insieme pacificamente da secoli, dove l’essere serbi, croati, musulmani non faceva differenza. Poi arrivò la guerra e tutto cambiò. Sarajevo culla di tanti popoli fu assediata per quattro lunghi anni con migliaia di vittime. In questa città arrivò un giorno il giornalista e fotografo Mario Boccia. Con la sua macchina fotografica andò al mercato di Markale dove c’erano pochi banchi, poco cibo e tanti sguardi tristi. E lì incontrò la protagonista della storia che racconta a trent’anni dal conflitto. Lo fa con le sue parole, con i suoi ricordi e con le illustrazioni dolenti di Sonia Maria Luce Possentini in La fioraia di Sarajevo.
La prima volta che Boccia incontra la protagonista di questa storia, le chiede a quale etnia appartenga, ma lei risponde semplicemente “sono nata a Sarajevo”. Allora le chiede il nome, pensando di poter risalire all’etnia. Ma lei risponde – anzi scrive su un foglietto – “fioraia”. In poche parole e qualche sguardo si condensa così il tema dell’identità, uno dei fili conduttori della storia. In una guerra che colpisce l’identità, resistere significa anche difendere la propria essenza, non lasciare che la guerra decida chi e cosa si è. La fioraia di Sarajevo vendeva fiori freschi. Poi la guerra ha mutato il suo commercio, l’ha costretta a smerciare fiori fatti di carta, i cui colori, comunque, regalano bellezza. Ed è ciò che le immagini di questa storia rimandano. I fiori, nelle illustrazioni, sono forti, gioiosi, vividi mentre tutto attorno è velato, ombrato, cupo: gli edifici, i volti delle persone, il grigiore dei capelli della fioraia così simile a quello della foto che la ritrae al mercato di Sarajevo.
Poi un giorno Boccia torna a trovarla, ma lei non c’è più. Chiede in giro. E’ morta – gli dicono – uccisa da un cecchino infastidito forse dalla sua muta resistenza, dal suo restare lì a vendere bellezza. A trent’anni di distanza la sua storia arriva a noi per raccontarci l’insensatezza di quella guerra e di tutte le guerre.
Vichi De Marchi (da LiBeR 132)
La fioraia di Sarajevo
Mario Boccia,
ill. di Sonia Maria Luce Possentini
Orecchio Acerbo, 2021, 40 p.
€ 16,00 ; Età: da 8 anni
Sfogliando Tra foglie e fogli: imio erbario si ritrovano i ricordi dei pomeriggi di sole trascorsi nei prati ad annusare erbe e fiori, a raccogliere foglie, a mettere in tasca rami e frutti per gioco, per curiosità o per quell’indole scientifica che l’infanzia ci mette a disposizione. Un libro che agli adulti evoca momenti di crescita e ai più giovani indica esperienze significative per costruire il loro sapere scientifico. Valore che le autrici Marcucci e Villani hanno compreso profondamente regalando un messaggio per la libertà di ricerca, consapevoli che parlare di erbario, nel contesto attuale, significa aprire un dialogo con più interlocutori sulla biodiversità, in primis, ma anche sull’urgenza di recuperare luoghi dell’anima.
L’incipit del libro già dà un’idea di cosa significhi creare un erbario: “Erbario è una parola che nasconde tantissime storie e informazioni che sono state molto utili in passato e che continuano ad esserlo ancora oggi”. Valentina Gottardi ha accompagnato il percorso storico e scientifico con le illustrazioni – un contributo indispensabile per un erbario – che si distinguono per la scelta cromatica e la nitidezza del tratto. Il libro-erbario racconta la storia di una prassi antica legata alla cura delle persone o all’attività culinaria, della necessità di descrivere e disegnare le piante e le loro proprietà, dei limiti e delle innovazioni che portarono a riconoscere in questa procedura un importante contributo scientifico, storico e culturale. Il libro accenna anche ai protagonisti della botanica e ai luoghi – Orti e Musei – che hanno conservato la memoria delle piante: tra questi l’erbario di Padova. Nella seconda parte del volume si presentano le piante comuni e le loro parti e si invita il lettore a creare un erbario personale; si entra, poi, nella sezione operativa “tra foglie e fogli”, con 18 schede, ovvero doppie pagine di cui quella di sinistra riporta la scheda illustrata della pianta, quella a destra, bianca, servirà a conservare l’esemplare raccolto e posizionato, protetto da un foglio di carta velina. Così, all’aria aperta, sarà divertente cercare i carletti, la cicoria selvatica, il luppolo e le altre piante che questo libro-erbario suggerisce “ai botanici in erba”.
Adolfina De Marco (da LiBeR 132)
Tra foglie e fogli
Rossella Marcucci, Mariacristina Villani,
ill. di Valentina Gottardi
Editoriale scienza, 2021, 63 p.
(I libri dell'orto) (A tutta scienza )
€ 15,90 ; Età: da 8 anni
Nell’avvincente romanzo Tempesta, scritto dall’autore americano Wilbur Smith insieme a Chris Wakling, ci troviamo immersi nella giungla della Repubblica democratica del Congo. È il primo viaggio fuori dall’Inghilterra per il protagonista adolescente, Jack, insieme ai genitori attivisti di una fondazione che si occupa di sviluppo sostenibile e temi legati al clima e ai mutamenti eco-ambientali. A suo fianco ha due formidabili compagni d’avventura: Amelia e Xander, più o meno suoi coetanei, diversi di carattere, ma tutti curiosi di conoscere da vicino una realtà così diversa dal loro paese di provenienza.
Amelia, che tra loro è la più studiosa, ha fatto le sue ricerche e il risultato è allarmante: come la ragazza spiega agli amici, ci sono enormi risorse minerarie nel sottosuolo, ma la popolazione è tra le più povere del mondo; aziende straniere corrompono le forze dell'ordine per acquistare a basso costo quello che viene estratto e realizzare grossi profitti, senza contare i miliziani, che hanno trasformato gran parte del territorio in una zona di guerra, la deforestazione e le minacce alla fauna selvatica ad opera dei bracconieri...
Questo lo scenario e tra i cattivi non poteva mancare il fratello del padre di Jack, razzista e senza scrupoli, ma pronto a offrire agli ospiti la sua faccia migliore. Ha inizio così per i ragazzi un costoso safari organizzato proprio dallo zio con il controllo di una guida sicura che conosce bene la giungla e i pericoli in agguato dietro la sua rigogliosa vegetazione. I ragazzi sono affascinati dallo spettacolo grandioso della foresta pluviale e non vedono l’ora di trovare l’insediamento dei gorilla, minacciato costantemente dalla crudeltà e dalla mancanza di scrupoli dei bracconieri. Dopo il primo entusiasmo resteranno tuttavia sconcertati e stupiti dinanzi a eventi al di là della più sbrigliata immaginazione, molti dei quali davvero scellerati.
Jack si renderà conto suo malgrado che la criminalità è figlia dell’ignoranza, ma anche che la meschinità di tanti esseri umani non ha eguali nel nostro pianeta e sicuramente che tutti vivrebbero meglio se rispettassero le regole della convivenza civile e le misteriose leggi della natura e di tutte le specie viventi.
Paola Benadusi Marzocca (da LiBeR 132)
Tempesta
Wilbur Smith, con Chris Wakling;
trad. di P. M. Bonora
HarperCollins, 2021, 330 p.
€ 16,00 ; Età: da 11 anni
Dulcinea vive con il papà in una casetta al limitare del bosco, un piccolo paradiso di fattoria che produce ortaggi, uova e latte in grande abbondanza. Nel giorno tanto atteso del suo compleanno si prepara la festa, si gonfiano palloncini e sono previste le frittelle con i mirtilli. Ma i mirtilli sono finiti, il mercato è troppo lontano e il padre vede un solo rimedio: inoltrarsi nel cuore del bosco dove crescono rigogliosi, con il rischio di affrontare la terribile strega. Nessuno l’ha mai vista, ma si sa, là in fondo c’è il suo castello, infestato da mostruose creature. Questione di poche pagine ed ecco il papà di Dulcinea imbattersi nella strega – con il classico libro degli incantesimi per streghe smemorate alla mano – che lo trasforma in albero. Per niente sconfortata, Dulcinea segue le tracce del padre e scoprendolo destinato a legname sfodera tutta la sua indomita determinazione, punta spedita alla fonte del problema e raggiunto il castello raggira la strega, un tipetto piuttosto isterico, facendo leva sulla sua superbia. Un breve racconto che ha il ritmo e la grazia compositiva delle fiabe (non “favole”) classiche; risolve con un brillante lieto fine e offre una spassosa variante di genere al protagonista furbo, tradizionalmente maschile. Könnecke sguinzaglia l’inconfondibile repertorio di personaggi secondari: in compagnia dei suoi cagnetti il buon umore è assicurato e nel gran finale c’è l’oca che (magia delle fiabe!) acquista il dono della parola e ne fa uso per raccontare una barzelletta irresistibile. Il testo in stampato maiuscolo e un font ad alta leggibilità facilitano il bambino alle prese con le prime pagine. La decifrazione del magico librone, sottratto con l’inganno alla strega, è elemento centrale e risolutivo della storia, così che si nasconde tra le righe una preziosa dritta, rivolta ai piccoli lettori: leggere realizza meravigliosi incantesimi, per esempio una riuscitissima festa di compleanno da condividere con coloro ai quali si vuole bene; ed altri terribili sortilegi, che la vita prima o poi ci lancia, permette di sciogliere.
Fausto Boccati (da LiBeR 132)
Dulcinea nel bosco stregato
Ole Könnecke;
trad. di C. Belliti
Beisler, 2021, 64 p.
(Leggo già)
€ 14,00 ; Età: da 5 anni
La vicenda è ambientata all’indomani della prima guerra mondiale, quando tutti cercano di ricostruire una nuova esistenza, con la speranza di un nuovo inizio. Speranza che però pare negata ai due protagonisti del romanzo, Ben e Lotti. Ben è orfano, ha perso il padre durante la guerra e la sua prospettiva è quella di finire in orfanotrofio, a meno che non ritrovi il fratello disperso. Lotti, orfana anche lei, vive con gli zii che, interessati soltanto alla sua eredità, la spediscono in un collegio dopo l’altro. I due si incontrano quando Ben trova Lotti all’interno dello Sparviero, la barca in cui Ben vive cercando di sfuggire alla polizia locale e in cui Lotti, espulsa dall’ennesimo istituto, si è nascosta per proteggere il cagnolino che ha sottratto a un perfido proprietario. La loro unica prospettiva, per quanto folle in apparenza, è la fuga: decidono pertanto di mettere in mare l’imbarcazione e di tentare la traversata della Manica. La Francia rappresenta la speranza di ritrovare gli affetti caldi della famiglia: il fratello per Ben, la nonna francese per Lotti. Inizia così un’improbabile navigazione, prima attraverso i canali, poi lungo il Tamigi, infine in mare, durante la quale i due, che non potrebbero essere più diversi, stringono un legame significativo e fanno esperienza di incontri con adulti accoglienti e disinteressati. Cosa c’è al di là del mare ha vinto il Costa Children Book Award nel 2020. Tra le motivazioni del premio, i giurati hanno riconosciuto a questo libro la potenzialità di far nascere l’amore per la lettura anche in lettori non esperti. L’autrice, infatti, è riuscita nell’intento di mantenere un buon equilibrio tra una trama articolata, incentrata sulla successione di azione, tensione e suspense e una buona costruzione dei personaggi, mai banali. Anche la ricostruzione storica della devastazione del dopoguerra è accurata e non un semplice sottofondo, e tra un inseguimento e l’altro i lettori hanno la possibilità di vivere, con i personaggi, una storia di determinazione, di coraggio e di famiglia, intesa come legame di affetti e di empatia, più che di sangue. Per tutti questi aspetti si tratta di un romanzo convincente, che ha l’aura del classico e la vivacità della buona letteratura contemporanea.
Matteo Biagi (da LiBeR 132)
Cosa c’è al di là del mare
Natasha Farrant;
trad. di C. Stringer
Piemme, 2021, 318 p.
(Il battello a vapore)
€ 16,50 ; Età: da 11 anni
Eccola finalmente in Italia Axl Cendres, la scrittrice scomparsa purtroppo giovanissima nel 2019, tanto apprezzata in Francia per la fine ironia e la sensibilità a temi vicini ai giovani adulti. In questo libro, dal titolo originale Coeur battant, i protagonisti sono cinque aspiranti suicidi, accomunati da un fallito suicidio, ma diversi per tutto il resto: ceto sociale, temperamento, motivi e metodi per uccidersi. Tre sono molto giovani, ma con loro c’è un’anziana vedova, sopravvissuta al suicidio di coppia con l’adorato marito, e il ricchissimo e annoiato proprietario di un maniero in Normandia. E questa diventa la meta della loro fuga, perché i cinque, accompagnati dal fedele autista del ricco possidente, fuggono insieme dalla clinica psichiatrica di lusso dove erano ricoverati, diretti alla scogliera vicina al castello dove intendono suicidarsi. Come in ogni road novel che si rispetti, la strada percorsa diventa un vero cammino trasformativo e i cinque “pazzi” sperimentano nuove emozioni, tra amori, alleanze inedite, incontri e vicende surreali. Intanto per il lettore l’improbabile diventa via via credibile, anche grazie all’ironica voce narrante del giovane aspirante suicida Alex e ai dialoghi scoppiettanti, le battute fulminanti e il piacevole ritmo d’insieme. Esilaranti alcune scene nella clinica, tra il politicamente scorretto e la sincerità assoluta, in cui senza ipocrisie si prendono in giro, in modo appena velato, le sedute con lo psichiatra, l’arte terapia e le “passeggiate in piena consapevolezza”, mostrate nel loro candore e inutilità, e gli intrecci, inevitabilmente comici, tra le categorie di ospiti: anoressici, dipendenti del sesso, suicidanti e “suicidari”, alcolisti. La traduzione italiana ha saputo rendere i diversi registri e mantenere l’effetto originario di grande naturalezza. Vinta anche la sfida di tenere insieme i fili della storia, pronti così a essere dipanati dai lettori, per scoprire quanto può ridere e far ridere un gruppo di aspiranti suicidi e quanto il cuore possa riprendere a battere anche nel petto di chi aveva cercato a tutti i costi di fermarlo. Arricchiscono il tutto liberatorie parolacce, lapidari aforismi, versi poetici e la proposta di una lista di canzoni per accompagnare la lettura.
Antonella Lamberti (da LiBeR 132)
La compagnia degli addii
Axl Cendres;
trad. di R. V. Pavone
HotSpot, 2021, 192 p.
€ 15,50 ; Età: da 15 anni
Un sacchetto di frutta secca, coperte sottili, piume di corvo e poco altro: lo zaino per una o forse più notti all’addiaccio è presto fatto. Si parte. Con l’intraprendenza e la voglia di vacanze perenni tipica degli 11 anni, Aïda e Ryo si inoltrano nel giardino che per tutta l’estate ha custodito le loro avventure. È un tempo speciale, il loro, giusto prima del passaggio alla nuova scuola. Tanti interrogativi sul futuro, sulla natura e sul suo possesso, sui sogni e sul diventare grandi, puntellano la loro esplorazione, in un flusso spontaneo che appare leggero e profondissimo. Tra la costruzione di un rifugio che sembra un fico, giochi di nuvole e nodi, una sepoltura indiana, la cattura di lucciole e la perlustrazione di una grotta, i due amici si immergono a pieno in un luogo a tratti magico, dove imparare come scomparire è sì un gioco, ma forse anche una necessità, prima di crescere troppo e scoprire cosa li aspetta oltre l’erba alta del giardino. In questo luogo sospeso, dove un vero e proprio rito di passaggio prende forma, dimensione reale e fantastica hanno confini labili ed è facile per i due ragazzi scivolare con naturalezza dall’una all’altra.
La stessa fluidità caratterizza, d’altronde, anche i dialoghi e la scansione narrativa del libro di Nicolas Robel. Per nulla mediati, i discorsi tra Aïda e Ryo scorrono liberi, ironici e a tratti surreali, intrecciando gli argomenti più disparati con estrema disinvoltura. Proposti al lettore in forma di balloon, su tavole in bianco e nero con guizzi di arancione fluorescente, questi scandiscano l’avanzare della narrazione senza che sulla pagina compaiano riquadri distinti. Le avventure si sviluppano, così, senza soluzione di continuità, alternate a quelle che sembrano le pagine di un manuale di sopravvivenza che si intreccia all’esperienza dei due protagonisti, spaziando dalla botanica all’anatomia, dall’entomologia al pionierismo. Unico nel suo genere – un po’ fumetto, un po’ diario di bordo, un po’ guida da esploratori – Come scomparire riflette con il suo aspetto squisitamente ibrido, inafferrabile e complesso, quei tratti propri di un’età di mezzo, in cui la trasformazione è carattere dominante.
Elena Corniglia (da LiBeR 132)
Come scomparire
Nicolas Robel;
trad. di V. Camilli
Canicola, 2021, 64 p.
€ 16,00 ; Età: da 10 anni
Le Edizioni Primavera hanno creduto in un progetto editoriale ardito, I Gabbiani: una collana di letteratura teatrale pensata per giovani e giovanissimi lettori. Leggere teatro significa porre l'accento sull'esperienza corporea della parola: emissione di fiato, dialogo, tono... Significante e significato sono, sempre più, indissolubili: d’altronde, la vicinanza tra teatro e poesia è così viscerale che un testo come Chisciotte Fenicottero può stare, comodamente, a cavallo tra questi due generi. Si legge di buonumore, tra rime, assonanze e una musicalità di fondo a cui ci ha abituati da sempre Bruno Tognolini, un autore che non ha bisogno di alcuna lode, ma che qui ha il merito di aver costruito una piece in cui è facile sentirsi accolti, anche se si è al primo approccio con il teatro: non a caso il soggetto è stato rappresentato dalla compagnia teatrale Cada die e ha coinvolto centinaia di bambini. L'omaggio a Fahrenheit 451 è dichiarato: c’è un re cattivo, Toto il Grande, che odia i libri perché li ritiene forieri di guai e vuole che vengano inceneriti; al suo servizio il fedele Capitano Beatty e il Milite Montag - che a dire il vero non sembra così convinto della pericolosità della lettura... E poi l’eroe indiscusso, Chisciotte Fenicottero: un brutto anatroccolo, migrante per costituzione, che ha iniziato a leggere per conquistare la sua bella. Al contrario di Cervantes, Tognolini fa sì che i libri non diano alla testa al suo eroe, ma alle gambe: gambe che crescono a dismisura e che lo rendono altissimo. Chisciotte salva i volumi dai roghi, declama la loro bellezza in segreto, rischia la vita per un ideale, ma non è l'unico: perché le città sono piene di coraggiosi bambini-libri che leggono i capisaldi della letteratura per ragazzi in gran segreto. Un omaggio ai libri che è un omaggio alla parola in toto: dalla prosa teatrale al rap, passando dal coro e approdando al poetry-slam, l’autore rifiuta le gerarchie tra generi allo stesso modo in cui rigetta il totalitarismo del sovrano di turno. E per smontare la scivolosissima associazione tra “libri che innalzano” e statura morale, Tognolini gioca sul finale: e chissà che gli adulti imbibiti di retorica libresca, leggendolo, non tornino con i piedi per terra...
Dina Basso (da LiBeR 132)
Chisciotte fenicottero
Bruno Tognolini
Primavera , 2021, 92 p.
(I gabbiani )
€ 10,00 ; Età: da 7 anni
È bello entrare nelle pagine di La capra canta tenendo come bordone e indicazione di lettura la citazione della scrittrice e poetessa americana Anne Sexton che è posta all’inizio del volume: “Uova e parole vanno maneggiate con cura. Una volta rotte non si possono riparare.” Si assume così, a partire da questa considerazione, un leggere accorto, che è in grado di raccogliere, considerare, posare e godere del calore, della forza fragile, della forma. I versi di Giusi Quarenghi hanno in questa nuova raccolta di oltre una settantina di poesie, pubblicata da TopiPittori nella collana Parola magica, l’asperità, il calore e il colore dei belati della capra del titolo. Le parole sono sonore e paiono davvero cantare mentre raccontano le cose dei giorni, del corpo, della natura, di umani e animali, di oggetti, di cielo, boschi e monti, di alberi e radici, di sentimenti e storie, di riferimenti fiabeschi, di affetti, fiducia e paure. Il risultato è un tessuto che celebra il mondo, il mondo bambino, in modo piano e che vede e mostra i nodi fra il cuore e le parole, che rende le parole cuore. La forma dei versi e delle composizioni rende il piacere di un cammino su un terreno vario e accidentato. Ritmi riconoscibili e rime si alternano a versi che tradiscono l’aspettativa di regolarità e portano così di stupore in stupore, di sorpresa in sorpresa. Trovo di solito che sia davvero difficile illustrare la poesia, ma in queste pagine l’illustratore Lucio Schiavon adotta un segno che ha lo stesso sapore scomposto, e tuttavia preciso, dei belati di una capra: colori accesi e saturi, tratti che rifuggono la leggiadria, allegria decisa. Bella risulta anche la composizione delle pagine, in cui gli spazi bianchi lasciano respiro al risuonare del testo e alla lettura delle immagini, lasciando gli occhi liberi di andare e venire fra parole e segni, cercando fili, sensi ulteriori, aggiunta e assenza di dettagli che finiscono per rendere altri e ulteriori significati.
Nicoletta Gramantieri (da LiBeR 132)
La capra canta
Giusi Quarenghi,
ill. di Lucio Schiavon
TopiPittori, 2021, 78 p.
(Parola magica)
€ 16,00 ; Età: da 5 anni
Indelebile nella memoria è quel 26 aprile del 1986 quando il reattore n. 4 della centrale di Chernobyl, in Ucraina, esplose provocando una delle più grandi catastrofi ambientali del ’900, insieme al crollo irreparabile della fiducia nella scelta nucleare. A distanza di 35 anni dall’incidente e contestualmente all’allarme lanciato, nel maggio 2021, dalla comunità scientifica su una possibile ripresa dell’attività nel reattore, sono usciti alcuni romanzi per giovani lettori che ripercorrono quelle tragiche settimane. Tra questi Blackbird, dell’autrice americana Anne Blankman, che si è ispirata alla testimonianza di una compagna di classe sopravvissuta a Chernobyl.
La tessitura della difficile amicizia tra Valentina Kaplan, aspirante ingegnere di origine ebraica, e Oksana Savchenko, cresciuta in una famiglia ucraina con forti sentimenti antisemiti, inizia proprio quella mattina di primavera in cui entrambe si svegliano sotto un cielo rosso cremisi in cui colonne di fumo blu si innalzano dalla centrale nucleare in cui lavorano i rispettivi padri. Il racconto si snoda con ritmo serrato toccando temi complessi: il ritardo nei soccorsi e nella diffusione di una corretta informazione alla popolazione e alla comunità internazionale; le ragioni di Stato anteposte alla salute dei cittadini; le evacuazioni forzate dalle aree prossime alla centrale e l’abbandono della popolazione cacciata dai territori contaminati. Valentina e Oksana, nonostante le ostilità iniziali, condivideranno un percorso verso la salvezza, che le porterà dalla cittadina di Pripyat a Leningrado, ospiti della nonna di Valentina. Qui Valentina avrà modo di conoscere un tassello segreto della sua storia familiare che affonda le radici nel secondo conflitto mondiale, mentre Oksana sperimenterà il calore di un affetto sincero e la possibilità di sottrarsi, non senza dolore, alle menzogne e agli abusi della famiglia d’origine. Una storia di resistenza nei confronti delle violenze sia politiche sia private, in cui le giovani protagoniste lottano con determinazione per non rinunciare alla speranza. Una storia emozionante sulla perdita e sull’indissolubilità dell’amicizia. Un prezioso romanzo per riflettere con i giovani su un frammento di storia ancora attuale.
Gabriela Zucchini (da LiBeR 132)
Blackbird
Anne Blankman;
trad. di R. Ronci
Giunti, 2021, 345 p.
€ 14,00 ; Età: da 13 anni