La storia delle donne è come una gigantesca miniera di gemme sottratte alla memoria comune, in gran parte sepolte, ma ancora infinitamente pulsanti.
E vale ancor più se si indaga il tracciato delle lavoratrici e il sorgere nella seconda metà del secolo scorso di una rinnovata coscienza collettiva, se – dopo decenni di erosione dei diritti – si riporta al centro della narrazione il lavoro come elemento indissolubile dal percorso di liberazione delle donne e della dignità umana in toto.
A donarci, con Il filo della speranza, questa storia novecentesca – anche per la grana stilistica piana e paziente – è Guia Risari, che ha pedinato le memorie di Vita, voce narrante di una donna anziana sempre vissuta in un piccolo paese dell’entroterra siciliano, lì dove gli asini si abbarbicavano ai padroni costretti a emigrare e dove lei ha realizzato il sogno di essere una ricamatrice, prendendo coscienza dei suoi diritti e lottando con le altre lavoratrici per infrangere un sistema di secolare sfruttamento.
E se la materia filata da Risari, con l’originale immagine di copertina di Elisa Talentino, è una storia di lotta realmente combattuta nel 1973 – cui seguì un processo e una legge a tutela del lavoro dipendente a domicilio – l’angolatura di racconto è quella del passato, a cui Vita si rivolge nel tempo infausto attuale della reclusione causa pandemia, un passato che l’attende “come un asino affezionato” ma che propelle nel futuro, rinfrancandoci.
Perché “ricamare […] è scrivere sulla tela una storia lunga e complicata. […]. Nel ricamo tutto torna vivo e si fa sentire”.
E in quest’analogia tra ricamo e scrittura, che vede la speranza come un filo che richiede tenacia, cura pulviscolare e pazienza, nonché un’indispensabile azione corale (elementi cruciali per qualunque lotta, come recita uno dei tanti intarsi di proverbi siciliani Na nuci intra u saccu unni fa scrusciu), Risari intreccia anche una ghirlanda di personaggi rincuoranti. Dall’illuminato marito, alla figlia, alla nipote – cui è rivolta la trasmissione della memoria – fino ai ritratti delle combattenti della Cooperativa La Rosa Rossa, o a quelli delle aparadoras, le cucitrici che oggi in Spagna hanno seguito quello stesso tracciato immane e radiante di lotta femminile collettiva.
Maria Grosso (da LiBeR 134)
Il filo della speranza
Guia Risari
Settenove, 2021, 120 p.
€ 14,00 ; Età: da 13 anni
La Ester più Ester del mondo è un titolo che cattura fino alla fine del libro, che del resto si legge in poche ore. Con un ritmo appassionante, il racconto si svolge in prima persona: è Signe, una delle due protagoniste, a raccontare l’arrivo della nuova compagna Ester, che ha qualcosa di misterioso e molto di intrigante. Ester possiede un cellulare, ha le chiavi di casa, va a scuola da sola e in autonomia cucina e fa la spesa. Sua mamma è un’attrice, o almeno così dice Ester, anche se poi vien fuori che la donna ritratta nel poster affisso vicino al suo cuscino è Greta Garbo. Il papà sembra non esserci quasi mai. Signe invece vive con i genitori e un fratellino. Il sentimento amichevole verso Ester la attraversa con potenza: “Mentre camminiamo verso casa di Ester mi sento le gambe leggere. Faccio un balzo su un sasso e poi salto giù”. Una penna sapiente rende scorrevole questo delizioso racconto di formazione che, se fosse un film, sarebbe degno del suo eccezionale cast: copertina e disegni sono di Emma AdBåge, illustratrice arrivata recentemente, ma con gran successo, in Italia grazie a Camelozampa con il pluripremiato La Buca (2020) e con La natura (2021), mentre in casa Beisler è giunta con Il regalo (2020) e Facciamo che io ero un supereroe! (2021). Dietro al nome maschile di Anton Bergman si cela la scrittrice svedese Maria Skymme che è anche editrice della Hippo Bokförlag, una piccola casa indipendente, che pubblica questo libro in Svezia nel 2016. Samantha K. Milton Knowles, che lo ha traghettato in italiano, è una delle penne più apprezzate nelle traduzioni dallo svedese, dal danese e dall’inglese (sua è anche la versione integrale e definitiva italiana di Pippi Calzelunghe) ed è attivamente impegnata nell’associazione nazionale di traduttori editoriali StradeLab per far conoscere – e riconoscere – il ruolo culturale e commerciale della traduzione.
In Svezia, è già stato pubblicato il sequel Verkligen sant Ester?. Spero che arrivi presto anche qui, perché Ester e Signe sono due bambine eccezionali e questo libro è perfetto per letture ad alta voce, per letture autonome e come manuale di pedagogia per quegli adulti, tantissimi, che erodono le palestre di autonomia, a cui tutte le bambine e i bambini hanno diritto, oggi come ieri.
Francesca Romana Grasso (da LiBeR 134)
La Ester più Ester del mondo
Anton Bergman,
ill. di Emma Adbåge;
trad. di S. K. Milton Knowles
Beisler, 2021, 124 p.
(Il serpente a sonagli)
€ 14,90 ; Età: da 8 anni
Per celebrare l’Equinozio d’Autunno, l’intera città partecipa ogni anno al rituale lancio nel fiume delle lanterne di carta. Su ognuna è disegnata la sagoma di un pesce e tradizione vuole che le acque sospingano la lunga scia di lumi ben oltre i limiti terrestri, allineandola forse a quella stellare della Via Lattea. E ogni anno, per verificare la fondatezza del mito, una banda di ostinati ragazzini sfida in bicicletta la velocità delle correnti costeggiando il fiume fino al ponte, limite oltre il quale è proibito spingersi. Questa volta però i ragazzi, fra i quali Ben, hanno stretto un patto ferreo: finché non scopriranno dove finiscono le lanterne nessuno tornerà indietro! Nonostante il patto, tutti tranne Ben e Nathaniel (il nerd reietto dal gruppo) si ritirano dalla missione, chi per fame chi per paura di una punizione dai genitori. I due, che impareranno solo lentamente a conoscersi e ad accettarsi per quello che sono, si ritrovano così protagonisti di una ricerca la cui meta è un mistero che supera, di gran lunga, la loro capacità di comprensione. Un viaggio disseminato di mappe da decifrare e creature abissali, leggende, pozioni, previsioni astrofisiche e congiunzioni cosmiche. C’è leggerezza e incanto, pensiero razionale e tanta magia nell’avventura di crescere di questi due giovani umani, che del mondo decidono di affrontare tutto senza riserve né ripensamenti, perfino le dimensioni più ignote, perfino se stessi. E c’è anche una magia tutta letteraria in questa originalissima graphic novel, un felice punto di incontro narrativo fra oriente e occidente. Lo ritroviamo nella precisa misura dei dialoghi, che virano a sorpresa dallo humor allo psicologico, e da qui al filosofico; nella coloritura avvolgente e nella dinamica delle inquadrature, che da analitiche e serrate improvvisamente si aprono, riconducendo ogni volta il lettore alla dimensione del mistero. Davvero non ci si può voltare indietro, niente e nessuno sarà mai com’era alla partenza. Il tutto sotto la tutela quasi paterna di un orso schietto e protettivo: un padre saggio che sa qual è il momento giusto per lasciare andare i figli lungo la loro strada.
Fausto Boccati (da LiBeR 134)
Era il nostro patto
Ryan Andrews;
trad. di L. Tenorini
Il Castoro, 2021, 329 p.
€ 16,00 ; Età: da 11 anni
Mette in scena, questo romanzo delizioso, un re stanco e una principessa bambina e lo fa provocando in chi legge un andare immediato al fiabesco. Le fiabe irrompono non solo nell’articolarsi delle vicende – un Re solo, una reggia enorme, una Baronessa che vuole diventare regina – ma anche nella lingua e nei modi del narrare. C’è l’uso di un lessico che rimanda al meraviglioso e all’inusuale, con i termini babbucce, lacchè, lustrare e locuzioni come salute cagionevole che definiscono un ambito non quotidiano, accanto a descrizioni dettagliate di gesti, riti, cibi e desideri. Conosciamo le fiabe che il re racconta alla figlia, riconosciamo i giochi che questa condivide coi lacchè. E camminiamo sul filo teso di un’interpretazione di vicende, sentimenti, moti dell’animo filtrata dalle figure classiche del fiabesco; la pelliccia della Baronessa evoca, in questo balletto di rimandi, nella competenza fiabesca della Principessina, quella del lupo che i Cappuccetti Rossi incontrano nel bosco e detta la necessità di trattenere le lacrime di fronte ai soprusi perché “non si deve mai fare vedere a una strega che si piange”.
Così chi legge, anche il lettore piccolo che è il destinatario evidente della storia, si trova all’interno di una narrazione leggera, chiara, ma ricca di livelli, giocata su uno stile umoristico e su una forma parodica sottile. La soluzione, come avviene spesso nelle fiabe, giunge da lontano, da un paese esotico e misterioso. Al centro della vicenda c’è un desiderio esplicito: l’articolarsi della trama non solo slegherà problemi e conflitti, ma soddisferà il desiderio eccedendolo e deviando sul campo della meraviglia e dell’inaspettato.
Il libro arriva dall’Olanda ed è tradotto, come sempre mirabilmente in una lingua sonora e piena – in alcune frasi risuonano rime e non è raro trovare una scansione ritmica che avvicina alla lingua poetica – da Anna Becchi. Le illustrazioni dell’autrice, leggere, argute come il testo, punteggiano le pagine e amplificano l’umore fiabesco della lettura.
È un libro prezioso anche perché è indirizzato alla fascia d’età di coloro che leggono da poco in modo autonomo e rende loro possibile l’accesso a una lingua ricca, alla vastità del fiabesco e a una trama ben costruita attorno ai topic universali.
Nicoletta Gramantieri (da LiBeR 134)
Un elefante all’ora del tè
Linda Groeneveld;
trad. di A. Patrucco Becchi
La Nuova Frontiera Junior, 2021, 155 p.
€ 14,90 ; Età: da 8 anni
“Fotografa di animali”, la targa sulla porta dello studio. Animali domestici, in posa come persone: si era mai visto? Oppure, allo zoo, forse meno condizionati dall’obiettivo che li inseguiva. Ma a Ylla sarebbe piaciuto andare in Africa, incontrarli là dove vivono, lontano dagli uomini. Coltivava anche un sogno fiabesco: diventare, almeno per un mese, una di loro, “tigre, pesce uccello, insetto…”, per vedere il mondo con i loro occhi, sentire con il loro cuore, sorprendersi della loro intelligenza. E poi tornare umana, per includerli in una più “vera comprensione della vita”.
Si chiamava Camilla Koffler, in arte Ylla, vissuta nella prima metà del secolo scorso, nota al mondo come grande fotografa. Le sue fotografie vanno a comporre meravigliosi volumi, mai speciali come questo, l’unico anche scritto da lei. Immagini accuratamente scelte, messe in sequenza, a comporre “una fiaba”, offerta dalla natura. I “due piccoli orsi” sono fratello e sorella. Eccoli affacciarsi dalla tana nel tepore della loro prima primavera. Sono nati in inverno, con il freddo e la neve. Se hanno il coraggio di uscire dalla loro tana, e ce l’hanno, possono vedere il prato, l’erba, i fiori. La mamma andrà in cerca di miele selvatico: che i piccoli non s’allontanino – li avverte – correrebbero il rischio di perdersi. Obbediranno? Come ogni cucciolo che si rispetti, sono curiosi, giocherelloni. E, senza accorgersene, vanno. Le loro scorribande, nel mondo così nuovo, spalancano pagine di immagini tenere, divertenti, soprattutto vere. Sono fotografie che li ritraggono, non illustrazioni che li corteggiano. Ruzzolano, si rincorrono, s’azzuffano, s’abbracciano, si scontrano. Sono selvatici. Ylla sa arrivare alla loro essenza. Nel bosco, si perdono ancora un po’. Interpellano una mucca mite, un cavallo dispettoso, due pettirossi in attesa della loro mamma, un tasso “dai modi così rudi”, un’antipatica cornacchia sentenziosa. No, nessuno sa dove sia la loro casa. Affranti, stanchi, crollano e s’addormentano. È lì che li troverà la loro mamma, avvinti e disperati. Commoventi. Che Ylla ce l’abbia fatta, magari una volta sola, questa volta, a diventare “una di loro”?
Rosella Picech (da LiBeR 134)
Due piccoli orsi
Ylla
Orecchio acerbo, 2021, 40 p.
€ 15.00 ; Età: da 3 anni
Una pagina bianca è uno spazio complesso: può creare ansia, come succede alla protagonista dell’albo Il punto di Peter Reynolds che deve disegnare, ma non sa cosa fare. Il foglio diventa uno spazio immenso, difficile da gestire, finché un adulto le apre una nuova prospettiva che le dona fiducia in se stessa. Ma lo spazio bianco può essere anche un detonatore di energia che giace dormiente in attesa di essere scoperta, plasmata. Da una pagina bianca ha un incipit dirompente, condensato in una frase che descrive la caratteristica di una pagina “lucente e ammaliante” che trae la sua energia dalle parole distillate tra le più amorevoli e cariche di poesia e dalla forza del lavoro metodico, silenzioso, rigoroso di chi lavora la terra. Sono elementi che intrecciano i fili dell’esistenza di una persona e la aiutano nel cammino verso la consapevolezza di se stessa e la capacità di orientarsi nel mondo con fiducia, in un autentico rapporto con gli altri e con l’ambiente. Tutto questo è racchiuso nel raffinato volume edito dalla bolognese Kira Kira, a opera delle artiste Kyo Maclear e Julie Morstad. L’accostamento della penna al foglio di questo duo creativo è riuscito a raccontare la poliedrica biografia di Gyo Fujikawa, un talento nipponico del quale hanno saputo narrare il valore dell’accoglienza e dell’integrazione, la visione multiculturale dell’infanzia. Percepiamo i conflitti del suo vissuto nei tratti che privilegiano i colori scuri su fondo bianco, a differenza delle tavole nelle quali prevale il colore come chiave di lettura del mondo e asse di rotazione della sua esistenza. Da una pagina bianca propone una lettura a più livelli, degna delle migliori produzioni letterarie, di quelle che lasciano al lettore un tesoro artistico e culturale. Siamo di fronte a una biografia dedicata all’infanzia, con lo sguardo rivolto alle bambine che intendono trovare una collocazione nel mondo che le possa riconoscere come persone, prima di tutto. Un messaggio attuale dettato dal vissuto dell’artista che ha saputo imporsi in un ambiente di lavoro maschile, in un contesto sociale restrittivo per gli immigrati e cieco verso l’orizzonte più vasto dell’umanità: l’infanzia. Per Gyo “un libro può essere tutto quello che siamo in grado di immaginare”.
Adolfina De Marco (da LiBeR 134)
Da una pagina bianca
Kyo Maclear,
ill. di Julie Morstad
Kira Kira, 2021, 48 p.
€ 18,00 ; Età: da 5 anni
Con Così come sono, ultima pubblicazione per Franco Cosimo Panini, Hélène Druvert torna a sorprenderci con la sua maestria nell’intagliare carte, sovrapporre alette e inventare soluzioni cartotecniche, in una vertigine di espedienti visivi che ci fanno procedere nella lettura di un testo breve, ma profondamente mirato. “Femmina o maschio, ho il diritto di sognare, di principesse e di castelli… di battaglie e cavalieri”. Sono semplici parole che ci introducono a un libro che si struttura con naturalezza di toni come un piccolo “manifesto”. “Posso aver voglia di riparare e di costruire, di andare sullo skate, di fare pugilato” – afferma una bambina, tuta da lavoro e trapano in mano. “Ed io di cucire, di cucinare e di danzare” – le fa eco un bambino piroettante con una stella rossa sul petto. Così come sono ci dice, senza scorciatoie o latenze, che l’infanzia deve continuare a essere il tempo delle infinite possibilità. E dunque il tempo della libertà. Quello nel quale poter essere se stessi o nel quale poter vestire i panni di qualcun altro, per semplice curiosità, per divertimento, ma anche e soprattutto per quell’empatia che nel bambino è l’intima capacità di sentire tutte le cose, come legate da un profondo sé. Avere a cuore l’infanzia, rispettarla, è cercare di offrire quanti più mezzi siano a nostra disposizione per permetterle di esprimersi. E, alla base di tutto, oltre a ogni insegnamento che si possa impartire o attitudine che possa possedere o non possedere un bambino, quello che mai bisognerebbe dare per scontata, ovvia, acquisita è la possibilità di essere se stessi. Al di là di ogni condizionamento sociale e culturale. Il bambino dovrebbe mantenere la propria capacità connaturata, fisiologica di contrastare qualsiasi insidia ideologica, conservare quella vocazione all’andare incontro con fiducia alla complessità del reale, perché complessa è l’infanzia stessa, nonostante si pensi il contrario, nonostante spesso prevalga il nostro atteggiamento di nociva e ipertrofica difesa dal mondo e dalla molteplicità delle sue manifestazioni. Perché molte volte – nostro malgrado – non ci rendiamo conto di quanto costituisca invece una importantissima risorsa l’acerba, genuina e amorevole apertura dei bambini alla policromia del reale.
Chiara Sgarro (da LiBeR 134)
Così come sono
Hélène Druvert;
Franco Cosimo Panini, 2021, 32 p.
€ 22,00 ; Età: da 5 anni
Che cosa ha di speciale il romanzo Brutto e cattivo per catturare l’attenzione di ragazzi e adulti e diventare un punto di riferimento nella lotta contro il bullismo? Apparentemente è una storia di sofferenza sia fisica che psicologica raccontata in prima persona dall’autore. Se è vero che ogni creatura ha diritto a un pezzetto di felicità in questo nostro pianeta sempre più fragile e travagliato, nel caso qui descritto dalla nascita all’età adulta, il risultato sembra raggiunto. Ma molti sono stati i periodi difficili per Raffaele e i suoi genitori. Nascere con la rarissima sindrome di Traecher-Collins comporta gravi “malformazioni alle ossa della testa, con inevitabili ricadute sul sistema respiratorio e uditivo.”. Non implica tuttavia danni all’attività celebrale né alla capacità di apprendimento. Il dolore provato dai genitori quando vedono il loro bambino è grande tanto quanto il coraggio che dimostrano nell’affrontare insieme un percorso pieno di ostacoli. Racconta Raffaele citando Pinocchio: “In qualche modo non ero un bambino vero, ma Geppetto e la Fata dai capelli turchini credevano che avrei potuto diventarlo.” Metà del volto deforme, mento e orecchio destro quasi inesistenti: una faccia che non poteva che destare impressione, tanto più nei bambini quando Raffaele comincia a frequentare le scuola. Di contro ha dietro di sé una famiglia unita pronta a sfidare l’impossibile per migliorare le sue condizioni attraverso visite mediche e interventi chirurgici. E soprattutto un fratello maggiore che lo accetta così com’è e che lo ama subito.
Ma l'impatto con la scuola è traumatico, il tema del “diverso” diventa scottante, tanto più che Raffaele è un ragazzino sensibile e intelligente e non può fare a meno di notare il disagio che crea intorno a sé. La sua anomalia cranio facciale è evidente; desta paura, ilarità e la crudeltà di alcuni adolescenti, ma per fortuna ci sono anche ragazzi pronti a offrire aiuto, gentilezza e amicizia. Raffaele riuscirà così a individuare la sua strada in un groviglio di sentimenti contrastanti, con la certezza che in fondo chi può essere considerato normale? Basta mettersi alla prova e avere fiducia in se stessi e la cosiddetta normalità può apparire addirittura limitata e mediocre.
Paola Benadusi Marzocca (da LiBeR 134)
Brutto e cattivo
Raffaele Capperi
DeAgostini, 2021, 208 p.
€ 14,90 ; Età: da 12 anni
Luca Perri, ricercatore all’Istituto nazionale di Astrofisica e divulgatore, Adrian Fartade, prolifico youtuber astronomico, e Leo Ortolani, autore di fumetti padre del celebre Rat-Man, uniscono competenze ed estro narrativo per regalare ai giovani lettori una proposta editoriale che merita di arricchire gli scaffali delle biblioteche: Apollo credici. Al centro della pubblicazione c’è il tema del viaggio di scoperta del sistema solare, caro ai libri di divulgazione astronomica, comunicato attraverso la modalità del libro gioco. Partecipazione, coinvolgimento diretto del lettore, che al termine di ciascun capitolo può scegliere come muoversi e addirittura – utilizzando un dado ritagliabile – stabilire la sorte del protagonista della storia, sono gli elementi di novità e di forza di quest’opera, insieme al ritmo narrativo incalzante e al tono volutamente ironico. Ma torniamo alla storia. Siamo nell’anno 2101 e il protagonista Schwa Niqqud 8, un giovane che appartiene alla famiglia dei Pandalorian, ovvero quel “gruppo di persone che non esce di casa se non indossa una soffice armatura che ricorda un panda, specie ormai estinta”, è in attesa di “imbarcarsi” su un ascensore spaziale per un viaggio della durata di sette giorni. Antitesi dei memorabili e malvagi guerrieri mandaloriani di Star Wars, il giovane pandaloriano dall’animo gentile rischia di non proseguire il viaggio spaziale per la mancanza di mezzi di trasporto appropriati, ma fortunatamente incontra la navicella Apollo, abitata da un gatto stralunato e guidata da un pilota automatico che ricorda molto gli autori del libro, lo suggeriscono la sua denominazione, AL500, con le iniziali dei nomi di Fartade e Perri e le ironiche illustrazioni di Ortolani. L’astronave guiderà il protagonista nell’esplorazione del Sistema solare alla scoperta dei pianeti, del Sole e di altri oggetti celesti le cui descrizioni si alternano alla fiction e all’avventura. Ne emerge un racconto vivace, rigoroso e aggiornato dal punto di vista scientifico, esilarante nella parte narrativa e particolarmente avvincente perché condotto dal lettore che può permettersi di “saltare” a suo piacimento da una pagina all’altra del libro, quindi dell’Universo, e di scoprire l’astronomia attraverso il gioco.
Francesca Brunetti (da LiBeR 134)
Apollo credici
Adrian Fartade, Luca Perri,
ill di Leo Ortolani
DeAgostini, 2021, 235 p.
€ 16,90 ; Età: da 11 anni
Beatrice Alemagna ci ha abituato alla grazia dell’inaspettato. Non solo per l’originalità delle storie, ma per una ricerca di autenticità che, nonostante l’ampia produzione coltivata nel terreno dell’editoria per l’infanzia, le ha permesso di non rimanere confinata in un genere e in un target spingendosi “oltre”. Nato per la pura urgenza di dipingere “come un bambino che si tuffava nel suo io più oscuro”, il libro si presta a molteplici letture: da un lato per la rivisitazione di un classico, dall’altra per l’indagine del processo creativo che queste splendide tavole invitano a fare. Colori a olio, celebrazioni di ombre, contrasti di tono, e poi collage, dinamismo pittorico, richiami a grandi artisti accomunati da un’attrazione per il naif – da Frida Khalo a Bill Traylor, da Musa McKim all’arte popolare americana – sono gli ingredienti di un volume affascinante, stravinskiano, che diventa anche strumento per un approccio alla complessità dell’arte. La storia è tanto spietata quanto travolgente: Biancaneve, ripresa dall’ originale dei fratelli Grimm, narrata dal punto di vista della matrigna. Una fiaba che, al di là di tutte le possibili interpretazioni psicanalitiche fatte negli anni, coinvolgendo Freud e mito di Edipo, si declina qui in alcuni dei temi emozionali più evidenti nella nostra epoca dell’apparenza: gelosia, timore del confronto, paura della perdita della bellezza. Quel che ne risulta è una matrigna dolente, divorata da un tale bisogno di riconoscimento da spingersi all’infanticidio. Eppure, nel vortice emotivo del racconto, chi legge è dalla sua parte. La sofferenza di una donna, forse non amata, forse non capita, mostra la cattiveria per quello che è: una reazione all’angoscia. Il libro, attraverso la sua intensità pittorica e una narrazione essenziale, dove nello spazio tra le parole rivive il silenzio di rancori e solitudini, conduce il lettore a uno sviluppo empatico e all’arretramento di uno scontato giudizio. Non c’è un buono, non c’è un cattivo. Biancaneve e la Matrigna sono parti di noi, creature fragili nella fiaba dell’esistenza.
Elena Baroncini (da LiBeR 134)
Addio Biancaneve
Beatrice Alemagna
Topipittori, 2021, 96 p.
€ 28,00 ; Età: da 8 anni
Dopo la serie Poka e Mine ecco l’ultima opera di Kitty Crowther, tradotta anch’essa da Chandra Candiani. Impossibile non essere rapiti dal tratto esuberante, forte, espressionista e ironico dell’autrice, che in copertina ci mostra la protagonista Millie, o meglio, signorina Millie, circondata da una folla composta da quello che lei desidera di più al mondo: cani, cagnetti, cagnoloni. Apriamo allora l’albo e proseguiamo la sfilata canina nei risguardi e nel frontespizio, con mille razze diverse, ognuna con una storia da raccontare, una personalità ben definita e anche uno stile ricercato: cani con il cappello, in tutù, sullo skate e cani con una perfetta pedicure. Insomma a Millie non importerebbe affatto quale cane avere in sorte, il problema è che sua mamma proprio sembra non volerle comprare nessunissimo amico a quattro zampe. E questo nonostante la signorina sia educata e ricercata come la scuola privata molto esclusiva che frequenta. A nulla valgono i ripetuti tentativi di Millie che ogni mattina pone la stessa domanda alla madre, che se ne sta con il naso tuffato nel giornale e la lunga frangia a coprirle gli occhi e che forse cela un po’ anche il disinteresse verso le esigenze della figlia: NO e, NO! è la risposta. Che pena per la bambina allora recarsi a scuola, dove tutte le altre compagne hanno cani e non fanno che parlarne, addirittura istituiscono il club dei Dogs e si danno appuntamento in compagnia dei loro animali! La signorina Millie viene esclusa e cominciamo a intravedere che non è poi cosi perfettina e capricciosa come l’abbiamo inquadrata dal principio: nel letto la sera piange lacrime di solitudine, la rabbia trasformata ben presto in tristezza. Ma la tenacia non l’abbandona e all’ennesima richiesta la mamma l’accompagna al canile a scegliere il suo cane e finalmente Millie e Principe si conoscono: un amore a prima vista tra due che, sotto sotto, si spacciano per quello che non sono. Lei una signorina con la puzza sotto il naso del club dei Dogs e lui un bastardino bruttino e trascurabile. A questo punto la storia potrebbe quasi terminare, invece qui arriva la svolta, la rottura: non saranno accettati dalle smorfiose compagne e Millie non sarà in grado di proteggersi e proteggere Principe. Ma un finale adatto a loro, inatteso ed eccentrico, li aspetta, un finale proprio come loro.
Giulia Romualdi (da LiBeR 133)
Voglio un cane : non importa quale
Kitty Crowther;
trad. di C. L. Candiani
TopiPittori, 2021, 56 p.
(Albi)
€ 18,00 ; Età: da 3 anni
Quando il britannico Tom Daley, medaglia d’oro nei tuffi sincronizzati ai Giochi di Tokyo 2020, è stato ripreso dalle telecamere di tutto il mondo nel mentre lavorava a maglia, tra una gara e l’altra, Tricot non era ancora approdato nelle librerie italiane, ma già svettava tra gli scaffali del Canada con l’illustrazione di uno dei migliori hockeisti canadesi su ghiaccio di tutti i tempi, Jacques Plante, intento a sferruzzare nei momenti di pausa. Avevamo incontrato l’ironia dell’autore, Jacques Goldstyn, in Bertolt, anch’esso in catalogo Lupoguido, dove ha spolverato a piene mani un bel po’ di pepe in una storia lieve e commovente. In Tricot fa dire alla protagonista che nonna Lea: “non ha mai lavorato. Insomma non ha mai avuto un mestiere vero come nonno Hector. É sempre stata a casa” allevando una masnada di figli “a tempo pieno”: solo alla sera “quando la marmaglia si addormentava, lei si dedicava al suo lavoro a maglia”. L’abilità di nonna Lea nel lavorare con i ferri è frutto di un lungo esercizio, a cui si appassiona da piccola, portando a termine la sua prima sciarpa. Ed è proprio “quella” sciarpa che indossa Madeleine correndo verso scuola e combinando un bel pasticcio. Goldstyn dissemina riferimenti giocosi nella città che attraversiamo al seguito della protagonista: due cavalli bianchi amoreggiano a bordo di una maxi scacchiera, mentre è in corso una partita che vede contrapposti due anziani signori al parco – scena che di questi tempi non può non riportarci alla mente La regina degli scacchi, Golden Globe per la miglior miniserie, tratta dal romanzo di Walter Tevis. Correndo correndo, Madeleine attraversa due volte una piazza in cui le insegne la fanno da padrona: con esse infatti l’autore si è sbizzarrito a giocare con termini yiddish, bretoni, francesi, danesi, tedeschi, svedesi, e non di rado inventati di sana pianta. Un tripudio di colori caratterizza le coperte di questo adorabile albo, che, una volta aperto, avvolge come una sciarpa ogni lettore, anche tra le righe dei risguardi. Una storia accogliente e aperta in cui trovare la propria Heimat, o una Madeleine, o la miscela che la rende così hygge. Sprint la traduzione di Gabriella Tonoli.
Francesca Romana Grasso (da LiBeR 133)
Tricot
Jacques Goldstyn
LupoGuido, 2021, 80 p.
€ 16,00 ; Età: da 6 anni
Hendrick è un ragazzo di 13 anni che si trasferisce con la famiglia in un villaggio delle montagne bavaresi, dove il padre ha trovato lavoro. La famiglia affitta una casa dai tratti sinistri, a basso prezzo ma con la condizione che gli arredi non siano modificati, neppure nei dettagli. Nonostante il meraviglioso paesaggio alpino, la vita per Hendrick non è affatto semplice. La mentalità chiusa del villaggio e la conseguente ostilità verso chi arriva dalla città non aiutano il suo inserimento: il compagno Chris giunge persino a compiere atti di bullismo piuttosto pesanti, come rovinare il materiale scolastico o scaricare del letame nel suo giardino. A casa le cose non vanno meglio: Hendrick è il primo a cogliere e collegare tra di loro una serie di particolari, che si rivelano in un’inquietante escalation: il giardino pullula di lumache, il fratellino Eddi inizia ad avere frequenti episodi di sonnambulismo durante i quali disegna lumache sulle pareti di casa, dietro la carta da parati della sua stanza compare una scritta minacciosa. Fritz e Ida, gli unici amici di Hendrick, lo aiutano a cercare di capire qualcosa di più sulla vicenda. I tre scoprono che la casa era appartenuta alla famiglia Schneckmann, i cui figlioletti sono morti avvelenati. Le indagini porteranno i tre, attraverso ispezioni di cimiteri, porte segrete e dialoghi con vecchiette inquietanti, a scoprire che la minaccia che incombe sul villaggio è tutt’altro che sopita…
Martina Wildner, già nota ai lettori italiani per La regina del trampolino, parte da un topos consolidato, quello della casa stregata, che dimostra di padroneggiare con maestria, anche grazie a elementi di romanticismo gotico che derivano dalla felice scelta dell’ambientazione, e di saperlo arricchire con scelte narrative originali, come la presenza macabra delle lumache. Sonnambuli, maledizioni e lumache però va oltre la storia di genere, raccontando con delicatezza una vicenda di integrazione difficile e di bullismo da una parte, di amicizia e primo amore dall’altra, in un insieme reso armonico anche da una scrittura limpida e scorrevole.
Matteo Biagi (da LiBeR 133)
Martina Wildner,
ill. di Anke Kuhl;
trad. di A. Patrucco Becchi
Pelledoca, 2021, 243 p.
(NeroInchiostro)
€ 16,00 ; Età: da 11 anni
Se siete in cerca di buone storie sui mezzi di trasporto questo è un libro da non perdere. Frutto della collaudata collaborazione tra Alexandra Litvina e Anna Desnitskaya, che abbiamo avuto il piacere di apprezzare in C’era una casa a Mosca, Si parte! Piccola storia illustrata dei trasporti sopra e sottoterra è un viaggio nel tempo alla scoperta dell’evoluzione della mobilità rotabile. Il libro parte dal 3000 A.C, quando nella pianura tra il Tigri e l’Eufrate i Sumeri inventarono la ruota, e si sofferma sulle principali innovazioni tecnologiche che hanno scandito la storia dei mezzi di trasporto: dalla prima rotaia di legno, costruita nel XVI secolo in Germania per trasportare i tesori estratti dalle miniere, alla metropolitana londinese dove i passeggeri erano sistemati su carrozze aperte, fino all’Eurotunnel sotto la Manica, grazie al quale oggi è possibile attraversare lo stretto che divide la Francia dall’Inghilterra in soli 20 minuti. Ma uno degli aspetti più interessanti di questa pubblicazione è il fatto che i mezzi di trasporto sono raccontati con un occhio di riguardo al paese di origine delle due autrici, la Russia, pressoché sconosciuto ai nostri lettori più giovani. Così sappiamo che i vagoni della linea ferroviaria Mosca-San Pietroburgo nell’Ottocento erano denominati scherzosamente “Samovar da tiro”, per lo sbuffo delle locomotive a vapore, o che durante al guerra di Crimea, nel 1856, esistevano veri e propri ospedali su rotaie. Particolare attenzione viene rivolta ai metrò di Mosca e San Pietroburgo, capolavori dell’ingegneria sovietica del secolo scorso. Architetti, ingegneri, meccanici, periti minerari, ma anche pittori e scultori sfilano davanti agli occhi del lettore che ha modo di conoscere l’enorme lavoro collettivo svolto per la costruzione di stazioni, tunnel e sopraelevate, mentre le tavole dettagliate spiegano il funzionamento e mostrano l’imponenza di opere ingegneristiche dalle quali tutt’ora transitano milioni di persone. Brevi note di carattere storico contribuiscono a disegnare un quadro dei tanti aspetti della mobilità su rotaia che nel libro diventa anche un pretesto di gioco. Lo suggeriscono i quiz disseminati tra le pagine del libro che danno brio a una pubblicazione molto godibile da avere a portata di mano.
Francesca Brunetti (da LiBeR 133)
Si parte!
Alexandra Litvina;
ill. di Anna Desnitskaya
Donzelli, 2021, 64 p.
(Album)
€ 25,00 ; Età: da 8 anni
Quella di Ruby Bridges è una storia importante. Chi ha visto le foto di quella bambina nera, nel suo vestitino elegante in onore della scuola, scortata da uomini adulti in giacca e cravatta, non può più dimenticare quell’immagine. Ruby è stata resa iconica anche grazie a un celebre quadro di Norman Rockwell intitolato The Problem We All Live With: una bambina di soli sei anni è diventata suo malgrado un’eroina per essere andata, per prima, in una scuola per alunni bianchi, dando concretezza, e corpo – il suo- alle nuove leggi sull’integrazione. La sua storia merita senz’altro di essere conosciuta da tutti i ragazzi e le ragazze di oggi e un libro a lei dedicato partiva con grandi potenzialità di richiamare l’interesse della scuola per parlare di razzismo, storia delle battaglie per i diritti civili degli afroamericani, diritto all’istruzione. Tuttavia, per gli stessi motivi, rischiava di essere un libro costruito a “tavolino” dove i temi venivano prima delle idee e della scrittura. Ero quindi curiosa di scoprire come Elisa Puricelli Guerra avrebbe affrontato il compito e sono stata felice di sentire autenticità e cura, in queste pagine.
La scelta di partire dalla storia di Billie, una ragazza nera della New Orleans di oggi, è davvero azzeccata ed efficace. Non solo perché, come accade con altri libri che mescolano la narrativa a biografie storiche, questo facilita l’empatia e il coinvolgimento dei giovani lettori ma soprattutto perché attraverso Billie riusciamo a vedere immediatamente una continuità tra fatti storici, personaggi icone di una stagione di battaglie per i diritti degli afroamericani e la disparità di potere e privilegio presenti strutturalmente nella società anche oggi. Billie si trova a fare una ricerca su Ruby insieme a un compagno bianco con cui ha avuto uno scontro. Nella loro scuola una studentessa nera è stata ingiustamente accusata di aver appiccato un incendio e il pregiudizio razzista appare evidente. L’autrice trasmette ai giovani lettori l’idea che quella di Ruby non è “una figurina storica”, una tappa di una battaglia conclusa, lontana nel tempo e nell’esperienza, ma è parte di una storia attualissima su cui abbiamo ancora bisogno di percorrere molti passi.
Le pagine sono anche piene di citazioni e riferimenti musicali e letterari che aprono appassionanti possibilità di esplorazione e conoscenza. Questa storia si colloca bene in un momento in cui l’editoria per ragazzi sembra finalmente in grado di raccontare in modo competente il tema del razzismo che fino al recente passato era stato molto ignorato o banalizzato.