È di carta ma lo puoi ascoltare, lo tieni in mano ma lo puoi “inquadrare”. Sembra un oggetto impossibile, invece è un libro all’apparenza come tanti altri. Ma basta sfogliare qualche pagina e arriva, perentorio, l’avvertimento: “questo libro parla!”. Proprio così. La casa editrice Emons, specializzata in audio libri, nella collana emons!raga sperimenta la formula del libro cartaceo che ha al suo interno un QR Code con cui ascoltare la storia una volta scaricata l’app. Tra gli ultimi titoli con questa doppia veste è da poco approdato in libreria La banda della zuppa di piselli della giovane scrittrice tedesca Rieke Patwardhan. Protagonista della narrazione una banda come le molte che fioriscono in una classe o online o in uno scampolo di vacanza estiva. La nostra banda ha, però, alcune caratteristiche particolari. Innanzitutto è fatta, in termini molto approssimativi, dagli “scartati”; da Nils, ragazzino di terza elementare escluso dalla banda di classe per un eccesso di timidezza scambiata per asocialità, e da Evi, esclusa per ragioni opposte. La banda nasce così per reazione e si ingrandisce con la dolce e impaurita Lina, rifugiata siriana, arrivata a anno scolastico già iniziato. Anche lei un’esclusa. Fatta la banda, serve una missione per il nostro trio mal assortito che si ritrova quasi ogni giorno a casa dei nonni di Nils, due anziani arzilli e comprensivi. Saranno proprio loro, i nonni, a fornire, involontariamente e inaspettatamente, la missione. Tutto inizia con un inusuale acquisto di grandi quantitativi di zuppa di piselli, finché i barattoli invadono ogni spazio della casa. Poi compare una valigia e diventano sempre più bizzarri i comportamenti della nonna. Un bel rompicapo per la banda che riesce comunque a portare a termine con successo la sua missione. La chiave starà nel passato della nonna: anche lei, da bambina, era stata una rifugiata e quel trauma, seppellito, era riemerso per colpa di una notizia di cronaca sui rischi di guerra. La storia recente e i traumi del passato si saldano cosi nella doppia figura della piccola Lina e dell’anziana nonna a ricordarci il dramma attuale ma non per questo nuovo dei milioni di rifugiati il cui bagaglio di sofferenze può essere rimosso ma mai cancellato.
Vichi De Marchi (da LiBeR 135)
La banda della zuppa di piselli
Rieke Patwardhan,
ill. di Regina Kehn;
trad. di V. Freschi
Emons, 2022, 160 p.
(emons!raga)
€ 14,00 ; Età: da 8 anni
Dopo l’esilarante Il muro in mezzo al libro (Il Castoro, 2019), Jon Agee continua a giocare con i punti di vista in maniera ironica e quasi parodistica. Questa volta ci porta direttamente nello spazio e più precisamente su Marte, dove il piccolo astronauta protagonista è assolutamente certo di trovare vita ad attenderlo. Il suo è un viaggio in solitaria e contro l’opinione comune, che lo considera matto a tentare questa impresa: il viaggio su Marte è carico di aspettative e tutti conosciamo quella sensazione di ansia mista a tenacia che ci assale quando crediamo fermamente in qualcosa e cerchiamo disperatamente di dimostrarla agli scettici. Il piccolo astronauta è solo un illuso? In effetti, a una prima perlustrazione, sul pianeta rosso non si vede anima viva. O forse è il protagonista a essere così concentrato sulla missione da non vedere lo strano personaggio che appare al lettore, prima facendo capolino da una roccia, poi in tutta la sua maestosità, già dalle prime pagine: un marziano in carne e ossa, alto come una montagna e sconcertato lui per primo nel vedere questo piccolo estraneo con in mano un pacco regalo, una torta pronta ad essere offerta agli abitanti del pianeta Marte. Il marziano segue il piccoletto pagina dopo pagina, innescando così con il lettore il gioco al quale si accennava all’inizio. Sarà proprio grazie allo strampalato gigante che l’astronauta, che non è proprio una faina e si è perso tra le rocce e la sabbia dopo pochi passi, riuscirà a ritrovare la sua astronave e anche un piccolo fiorellino giallo che sarà la controprova della sua tesi: su Marte c’è vita! Insomma, a volte non si vedono le cose anche quando si hanno davanti (o dietro) a sé, o meglio la realtà non è mai unica ma molteplice, perché è sempre una visione individuale e parziale della storia, a seconda di chi la racconta. La storia di Agee è leggera e divertente e ha un finale a sorpresa, i tratti netti e spessi del disegno e le campiture piatte contribuiscono a creare un’ambientazione semplice e lineare in contrasto con una narrazione visiva giocata su più piani, non lineare.
Giulia Romualdi (da LiBeR 134)
Viaggio su Marte
Jon Agee;
trad. di A. Zontini
Il Castoro, 2021, 32 p.
€ 13,50 ; Età: da 3 anni
Davide Morosinotto sembra candidarsi al titolo di scrittore delle meraviglie. Dal superpremio Andersen del 2017 vinto per Il rinomato catalogo Walker & Down ci ha abituato a ottimi titoli; nel momento in cui scrivo queste righe è fresco di premio Strega per La più grande. Non susciterà dunque meraviglia leggere qui che L’ultimo cacciatore è l’ennesimo romanzo riuscito. L’ultimo cacciatore, però, a mio parere, è un libro superiore anche ai precedenti. Morosinotto ci ha abituato ad ambientazioni storiche in cui si collocano avventure piene di azione, ritmo e colpi di scena. Questa volta ci spiazza portandoci però molto più indietro nel tempo, dove i giovanissimi lettori sono meno abituati a viaggiare tra le pagine. Il giovane protagonista, Roqui, si muove in un Pleistocene in equilibrio tra ricostruzione accurata e invenzione fantastica in attesa di scoprire il proprio talento, affrontare una Grande Caccia ed entrare così a far parte della comunità degli adulti. Proprio nel giorno in cui scopre il suo “talento di uccidere”, un incendio distrugge l’accampamento della tribù. Roqui si ritrova solo con cinque altri ragazzi e ragazze, nessun adulto a guidarli, in un contesto che ricorda e omaggia i tentativi di organizzarsi e sopravvivere dei ragazzi de Il signore delle mosche. Ama ha il “talento delle storie”, Ocho il “talento delle corde”, Cato “della pietra”, Beri “del fuoco”: con loro c’è la piccola Hona, ancora alla ricerca del suo e che va protetta. Le loro risorse di gruppo sono comunque limitate, ai ragazzi serve una tribù e devono provare a raggiungerne una. Ogni scelta da compiere è difficile, a volte spietata. L’ombra di una maledizione grava sul piccolo gruppo e Davide Morosinotto fa la più autentica e coraggiosa delle scelte, dimostrando un enorme rispetto dei suoi lettori: non salva in modo improbabile, non risparmia i suoi personaggi, non consola chi legge. Restituisce intera la crudezza di questa vita primitiva in un ritmo serratissimo, dove non c’è una riga di troppo. Ci si sente trascinati verso l’ultima pagina come da un torrente in piena, nessun appiglio per una sosta, e anche giunti lì, sbattuti contro una dura roccia. Ci si sente stremati e insieme si vorrebbe ringraziare per l’esperienza feroce, pronti a volerne ancora. Che potenza, gli scrittori che sanno farci questo.
Alice Bigli (da LiBeR 134)
L’ultimo cacciatore
Davide Morosinotto,
ill. di Fabio Visintin
Mondadori, 2021, 312 p.
€ 17,00 ; Età: da 12 anni
Esistono riscritture di romanzi e racconti, fiabe e storie, ed esistono riduzioni di “classici”. Le prima portano il sigillo del nuovo autore nella forma e/o nella trama, ad esempio con l’introduzione di personaggi nuovi e addirittura un diverso finale, ad esempio il Barbablù di Masini. Le seconde si limitano a riassumere la storia. Le une e le altre possono essere ottime o dignitose o cosucce alla buona, tirate quattro paghe per il lesso, direbbe Carducci. La nota fiaba di Perrault Il gatto con gli stivali, già presente nelle raccolte di Straparola e Basile, nella rivisitazione di Mariapaola Pesce presenta subito il biglietto da visita con la splendida e riassuntiva copertina di Lorenzo Carlacchiani: il gatto con scarponi, coppola e aria furbetta da mafiosetto e il padrone spaesato che gli chiede solo una minestra di piselli.
Ma l’astuto felino, seguendo la traccia del racconto originale, lo fa diventare Marchese di Carabas (a insaputa dell’interessato ovviamente), lo fa spogliare, immergere nel lago, gridare aiuto e recuperare da due tipi poco raccomandabili, i guardaspalle del boss della città. Il quale, a sua volta, per nobilitare la famiglia lo fa sposare (di malavoglia) con la figlia. Il finale è inatteso, spiazzante. Insomma, Perrault riveduto e corretto con molta ironia, con un senso dell’humour che può essere gustato dai grandi e anche dai piccoli, soprattutto.
In passato taluno ha accusato la fiaba di essere diseducativa perché esalta furbizia, mendacia, fraudolenza, arroganza. Ma Roberto Denti l’aveva difesa perché - diceva - in realtà il bambino si identifica con il gatto, che è piccolo e debole come lui davanti agli adulti, ma prevale sul gigantesco, fortissimo e cattivissimo orco, come dal basso vede i grandi che incombono dall’alto. In più, nel caso della brillante riscrittura di Pesce, che si avvale delle illustrazioni di Carlacchiani, nitide e con un tratto espressionista che si palesa via via che la storia procede, c’è il finale ironico e smitizzante che non lascia dubbi sulle intenzioni degli autori della nuova/vecchia narrazione: non vogliono essere educative e nemmeno trasgressive, ma volte a divertire con intelligenza e disincanto.
Fernando Rotondo (da LiBeR 134)
Tutta colpa di quel gatto
Paola Pesce,
ill. di Lorenzo Carlacchiani
Orecchio Acerbo, 2021, 28 p.
€ 13,00 ; Età: da 6 anni
Tariq è il pazzo. Quello che mette paura agli insegnanti. Quello che impedisce loro di fare lezione. Quello che sceglie di fare così perché non può dialogare né coi compagni né con gli adulti. Manca il presupposto fondamentale: un lessico comune. Così, quando una professoressa gli chiede come passi le giornate, lui che non studia e non è mai preparato, Tariq non risponde. Le giornate di Tariq in realtà sono piene di vita, e noi le scopriamo attraverso la potente voce interiore che Alice Keller gli regala. Tariq vive in una dimensione parallela rispetto a quella della scuola superiore del centro città, tanto distante da apparire inconciliabile: una periferia in cui manca tutto, in cui le famiglie sopravvivono tra difficoltà di ogni tipo. Alice Keller, con sguardo pasoliniano, racconta con voce delicata e credibile queste esistenze ai margini, senza idealizzarle ma anche senza giudicarle. Nel racconto di uno spaccato di vita lungo una settimana, quella che lo separa da un consiglio di classe che deve pronunciarsi sulla sua sospensione, il lettore lo accompagna in lungo e in largo nel quartiere. Dagli interni dei casermoni in cui gli ascensori non funzionano e le famiglie devono sistemarsi sul pianerottolo agli esterni in cui l’erba non viene mai tagliata e le piscine diventano fosse piene di foglie, la vita di Tariq conosce comunque degli squarci di luce: il più potente è Jasmine, una ragazza la cui determinazione non viene meno neppure nei momenti più difficili.
Tariq è una lettura necessaria, per i ragazzi ma forse ancora di più per gli adulti. Per me che lavoro a scuola è stata un’esperienza persino dolorosa: in ogni classe c’è un Tariq e non sempre la scuola ha la capacità di rispettare la lettera della Costituzione, ovvero rimuovere gli ostacoli. Prenderne atto, quando discutiamo di merito e decidiamo la sorte dei nostri alunni, sarebbe già un inizio. La brevità e il font ad alta leggibilità usato come di consueto da Camelozampa lo rendono perfetto per i ragazzi dai tredici anni, anche per i lettori meno allenati.
Matteo Biagi (da LiBeR 134)
Tariq
Alice Keller
Camelozampa, 2021, 81 p.
(Le spore)
€ 10,90 ; Età: da 13 anni
Ha sapore di antico questa Storia di un signore piccolo piccolo, pubblicata in Svezia nel 1979 e che arriva in Italia per Iperborea. La coppia di autrici svedesi è storica e consolidata. Barbro Lindgren, scrittrice premio Astrid Lindgren nel 1973, è un’attenta e originale interprete del mondo dei bambini, e sa raccontare le piccole-grandi vicende quotidiane con ironia e dolcezza, mantenendo lo sguardo interpretativo sempre all’altezza giusta. Pubblicata in Italia da Bohem, AER e Babalibri, con il coraggioso e innovativo Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, scritto e illustrato nel 1971 e edito da LupoGuido, ha meritato il premio Nati per Leggere 2020. Ma questa storia non è per piccolissimi, è una dolce e poetica prima lettura e ha per protagonista un adulto, seppure molto piccolo. Nella cornice di un tranquillo quartiere residenziale, un uomo sperimenta solitudine e vuoto a causa, lui crede, della sua piccola statura. La gente intorno lo evita, lo deride, ma la sua indole è troppo mite per ribellarsi. L’omino cerca altre strade per fare amicizia, scrive un annuncio, conciso ed esplicito, e lo attacca agli alberi vicino a casa: “Piccolo signore solo cerca amico”. Per giorni e notti, in piena solitudine, con cappello, impermeabile e cravatta rossa, aspetta e aspetta nell’indifferenza del mondo intorno. Finché un giorno arriva un grande cagnone randagio: “Il cane lo guardò buono buono e gli mise sulla spalla la testona pesante”. L’animale, come solo i cani fanno, invade il privato del piccolo signore e, giorno per giorno, arriva fino alla tavola e al letto che occupa al posto dell’umano. L’accoglienza è totale e incondizionata. Si crea la relazione tra uomo, esplicitata a gesti e a parole, e animale, mossa dai bisogni e ricolma di affetto fisico. Ma sarà vera amicizia? Per un momento tutto vacilla e lo stesso piccolo uomo si porrà questa domanda. Le illustrazioni affettuose di Eva Eriksson interpretano e aggiungono senza sovrastare, mostrandoci tutti quei gesti che chi convive con un cane conosce. Come quello del muso appoggiato in grembo al piccolo uomo mentre stanno seduti sulla soglia di casa, gesto mantenuto a lungo nella storia, come se fosse l’unico necessario, per l’uno e per l’altro.
Cristina Busani (da LiBeR 134)
Storia di un signore piccolo piccolo
Barbro Lindgren,
ill. di Eva Eriksson;
trad. di L. Cangemi
Iperborea, 2021, 40 p.
(I miniborei)
€ 13,00 ; Età: da 5 anni
La forma del monte è quella di un seno femminile. Il suo profilo morbido è oggetto della variazione sul tema per immagini, in 20 quadri che invitano alla meraviglia, alla contemplazione, all’ascolto e alla scoperta di un luogo in gran parte inesplorato. Alessandro Sanna prosegue il suo lavoro di ricerca artistica, il suo cantiere sul limite della forma, come lo definisce nella bella intervista per l’editore e dopo il cuore, la casa, la pancia in gravidanza, qui dedica un importante quanto inedito omaggio al seno che nutre, il seno che allatta. Lo trasfigura in confine di paesaggio acquatico, ludico, nevoso, crepuscolare, domestico, onirico, abitato, silenzioso, lo esplora poeticamente iscrivendo i testi di Melania Longo, intimi, personali, rivolti ad una “voce piccina” via via più presente nelle pagine, in un orizzonte universale che coinvolge ogni lettore. L’allattamento al seno, fenomeno biologico complesso e misconosciuto, rimosso quasi del tutto dal racconto collettivo (negli albi ad esempio raramente rappresentato) diviene un emblema della costruzione di ogni autentica relazione. Il tema esce, attraverso questo albo, dalla cortina di silenzio e censura collettiva in cui è ancora relegato, ridotto ad aspetto secondario alla gestazione o ad altre fasi della maternità e genitorialità. L’albo offre forma poetica e spazio narrativo all’esperienza e al sapere femminile e materno dell’allattamento al seno, un processo che abita voci e conversazioni di ostetriche, doule, sorelle, madri, amiche, un sapere che è stato storicamente predato, depotenziato, razziato, politicamente conteso e occupato. Un potere spaventoso evidentemente, perché miscela di eros, femminile e infanzia. Questo albo è un manifesto artistico e poetico che celebra il Monte latte come possibile paesaggio dell’esperienza fondativa dell’umano, come patrimonio culturale, affettivo e pedagogico. La curiosità dei bambini nei confronti del seno materno e dell’allattamento si svelerà nel piacere che proveranno nell’attraversare queste pagine. L’intento degli autori di offrire un contributo artistico a un discorso collettivo ampio, universale, politico e inclusivo sull’allattamento al seno ha prodotto, a parere di chi scrive, una piccola e importante rivoluzione.
Marcella Terrusi (da LiBeR 134)
Monte Latte
Melania Longo,
ill. di Alessandro Sanna
Terre di Mezzo, 2021, 48 p.
(Acchiappastorie)
€ 15,00 ; Età: da 6 anni
La letteratura russa per ragazzi, nel nostro Paese, non arriva spesso: ma quando lo fa lascia prospettare si tratti di qualcosa di imperdibile. Il merito di aver portato in Italia La magica Kolyma, va a Valentina Edizioni, che ci stupisce proponendoci una forma libro non usuale per il suo catalogo. Andrej Usačëv, uno degli autori per l’infanzia più apprezzati in Russia, vincitore honoris causa del premio Andersen nel 2012, ha costruito una ventina di fiabe d’autore ambientate nella Kolyma siberiana – una terra famosa perlopiù per gli orrori dei gulag o per l’estrazione dell'oro. Usačëv, dopo averla visitata nel periodo estivo, decide di scriverne proprio per creare un nuovo immaginario legato a questa regione: un luogo che definisce “magico”, perfetto per una cornice narrativa bizzarra e fiabesca. Uno scrittore, durante la notte, riceve una strana telefonata: a chiamarlo è il corvo Jukagiryč, che lo invita a raggiungerlo a Magadan per una battuta di pesca. Imparentato con gli sciamani, dall’alto dei suoi 160 anni, sarà proprio Jukagiryč a raccontare, viaggiando in fuoristrada insieme allo scrittore, le storie che compongono questa raccolta. Sono fiabe in cui gli elementi naturali e la fauna sono i protagonisti, ma non solo: troviamo l’indole predatoria dell’uomo, la difficoltà di assecondare una natura tanto prepotente, i miti sulle abitudini degli animali, sull’origine del mondo e sull’aldilà. Racconti originali che però tengono in considerazione le culture dei popoli autoctoni di quella regione e forse proprio per questo percepiamo vicine al nocciolo autentico della fiaba. La traduzione, curata da Francesco Bigo, ci restituisce un linguaggio non stereotipato: la reverenza con cui lo scrittore si accosta al corvo e la misteriosa saggezza di quest’ultimo contribuiscono a creare la sensazione che ci troviamo in un altrove, esattamente come nelle fiabe. Le illustrazioni, talvolta misteriose ma anche fortemente leggibili, sono anch’esse di un premio Andersen legato al territorio della Kolyma, Igor' Olejnikov, capace di provocare nel lettore sensazioni tangibili: sembrerà quasi di avere la vista annebbiata del nevischio o di sentire il calore di un fuoco acceso... proprio quello attorno a cui, da millenni, ci raccogliamo in ascolto di una storia.
Dina Basso (da LiBeR 134)
La magica Kolyma
Andrej Usačëv,
ill. di Igor' Olejnikov;
trad. di F. Bigo
Valentina Edizioni, 2021, 116 p
€ 18,00 ; Età: da 8 anni
Nasce con La leggenda – primo episodio di un nuovo progetto seriale firmato dall’autore della celebre Trilogia di Bartimeus – una nuova coppia di adolescenti destinata a farsi largo nel pantheon dei personaggi più amati dai ragazzi. Fedele alla migliore tradizione romanzesca, il legame tra i due componenti, messi insieme dal caso, nasce dall’ attrazione degli opposti, da una profonda diversità su cui crescerà nel tempo la forza della loro complementarietà. Lei è Scarlett McCain, vagabonda, solitaria, rapinatrice di banche, all’occorrenza assassina e “ufficialmente” trafficante di reliquie sacre. Lui è Albert Browne, fuggiasco da una prigione-ospedale dove si conducono letali esperimenti su giovani dotati di poteri straordinari. Tanto Scarlett è controllata, scaltra e pericolosa, quanto Albert è maldestro, goffo e indifeso; mentre Scarlett è maestra di efficienza nel gestire le sue scarse risorse, Albert, che può leggere nella mente altrui e può sviluppare un’enorme energia distruttiva, è incapace di esercitare il controllo delle sue doti. Lo scenario distopico in cui si dispiega la storia presenta un’Inghilterra post Cataclisma e Grande Moria, eventi apocalittici che hanno lasciato dietro di sé morte, rovine e ogni genere di mutazione in uomini e animali. A distanza di molti anni dalla catastrofe, gli ex sudditi di Sua Maestà si sono riorganizzati in città-stato, le Città Sopravvissute (Londra non esiste più, sparpagliata in minuscole Isole Libere sul Tamigi), governate dal denaro delle Famiglie Regnanti e dai traffici delle Confraternite criminali, pilastri di un potere che si avvale di violente milizie private per mantenere l’ordine e tener fuori dalle fortificazioni il caos imperante nelle paludi e nelle foreste circostanti, e delle Case della Fede, sorta di supermercati religiosi in prima linea nella repressione di ogni forma di deviazione fisica e mentale. Albert e Scarlett, diversi e devianti, si ritroveranno contro tutti e non potranno che lottare strenuamente e fuggire nella direzione di utopiche società dove si promette tolleranza e libera accoglienza. Il Tamigi, una zattera a motore, un’altra straordinaria coppia di accompagnatori e la storia prenderà il volo, mozzando spesso il fiato al lettore in un crescendo di colpi di scena superbamente narrati.
Riccardo Pontegobbi (da LiBeR 134)
La leggenda di Scarlett & Browne
Jonathan Stroud;
trad. di L. Troisi
Mondadori, 2021, 380 p.
€ 17,00 ; Età: da 13 anni
Un libro illustrato di sole 53 pagine, scritto da Concita De Gregorio, penna conosciuta dal grande pubblico, non specializzata nel rivolgersi all’infanzia, per di più uscito come strenna natalizia: tutte cose che odoravano un po’ di operazione commerciale più che artistica: non mi sarei avvicinata a Lettera a una ragazza del futuro se non fosse stato per il nome di Mariachiara di Giorgio, scritto in piccolo ma pur presente in copertina. Se sei una giovane illustratrice italiana che vince in tutto il mondo (il silent book Coccodrillo a marchio Topipittori ha ottenuto riconoscimenti ovunque) il tuo lavoro merita sempre, quantomeno, il beneficio del dubbio. Ed è stato un bene averlo fatto. Questo lavoro a quattro mani è un concentrato di messaggi importanti che una donna adulta rivolge a una più giovane, alternando consapevolmente la modalità del racconto illustrato, in cui le immagini ripetono ciò che già ci dicono le parole, a quella dell’albo illustrato, in cui testo, grafica e iconografia vanno necessariamente letti insieme per comprendere il senso del libro. In questo testo brevissimo ma, davvero, mai banale, trova uno spazio di rilievo la gentilezza, cui era stato dedicato LiBeR 132. L’autrice esordisce con queste parole: “Sii gentile, ragazza del futuro. Appassionata e gentile” e, consapevole che i consigli di chi è più grande di noi non si ascoltano mai, insiste ancora: “Sii gentile, ti dico e mi dico. Se una sola cosa dovessi scegliere sarebbe questa” perchè “la gentilezza non ha sesso, è la qualità fondamentale degli umani”. Sono tanti i ferri del mestiere contenuti in questa cassetta degli attrezzi per affrontare la vita, dal diritto di essere ciò che si è, senza condizionamenti, anche a patto di scontarne in solitudine, all’invito a rifuggire ogni sorta di tornaconto personale e di pettegolezzo; un inno alla difesa della propria diversità e della propria libertà con la rassicurazione che avere paura è normale, è da tutti, tanto quanto essere gentili distingue alcuni di noi.
Serena Marradi (da LiBeR 134)
E allora, alla fine di tutto, “Sii gentile, e poi fai quello che vuoi”.
Lettera a una ragazza del futuro
Concita De Gregorio,
ill. di Mariachiara Di Giorgio
Feltrinelli, 2021, 53 p.
€ 14,00 ; Età: da 9 anni
Parola d’ordine: asciugare! Dal formato alle figure, dai colori ai testi, tutto in Hippu fa della sobrietà compositiva il suo felice ed efficace mantra. Nasce così un libro a misura di piccoli lettori, scovato e ora portato in Italia da LupoGuido a oltre cinquant’anni dalla prima edizione finlandese. Protagonista è il topo Hippu, la cui sagoma essenziale – corpo a uovo, orecchie tonde, baffi, occhi e lunga coda – spicca netta in copertina. Hippu ha inequivocabili fattezze da topo ma riconoscibili abitudini umane: vive in un palazzo, va al mercato, si lava in una vasca e guarda persino la tv. Lo seguiamo mentre fa tutte queste cose dopo aver incontrato il cane Heppu (a sua volta protagonista di un altro volume da poco importato e intitolato Heppu e la casa). Heppu una dimora non ce l’ha e così Hippu, senza tanti complimenti, lo invita a stare da lui. Ne nasce un sodalizio sorridente in cui i due condividono una quotidianità spicciola e un rapporto che ricorda da vicino quello di un bambino con il suo animale domestico. Un topo e un cane, coppia non scontata. Ma non è un caso, Hippu è fatto proprio così: rassicura il lettore con fare ordinario e poi gli strizza l’occhio con piccoli guizzi e trovate. Così i brevi testi si infilano talvolta dentro a quadri e palloncini che fanno parte dell’illustrazione, mentre sagome irregolari realizzate in carta strappata si innestano a collage su forme più precise e colori uniformi. E poi quei nomi buffi – Hippu ed Heppu – che letti vicini ad alta voce creano praticamente uno scioglilingua. Con rigore e leggerezza, Hippu inserisce oggetti e azioni familiari per il lettore in una cornice narrativa minima ma compiuta, mostrando bene come si possa dare corpo a una storia lineare ma tutt’altro che piatta. La sua forza sta in una palette di tre soli colori (bianco, rosso e nero) pieni e contrastati, in parole contate e scelte con schiettezza e in illustrazioni eloquenti e insieme capaci di ridurre gli oggetti ai loro tratti salienti. Il tutto, racchiuso in un libro dal formato quadrato, maneggevole e sottile, ideale perché piccole mani possano appropriarsene e magari portarlo a zonzo, come un agile e affezionato compagno.
Elena Corniglia (da LiBeR 134)
Hippu
Oili Tanninen;
trad. di I. Sorrentino
LupoGuido, 2022, 24 p.
€ 10,00 ; Età: da 1 anno
Capita raramente di ritrovarsi tra le mani un libro come La guerra delle farfalle di Hilary McKay, autrice anglosassone che già conoscevamo per la coinvolgente saga delle sorelle Conroy, edita da Feltrinelli. Un libro che profuma di classico e che affronta, in modo magistrale, la complessa sfaccettatura dell’animo umano. E lo fa in modo reale, con personaggi veri che palpitano e prendono vita tra le pagine, e che tracciano, con le loro scelte, percorsi di vita travagliati e non sempre lineari. La trama è perfettamente costruita, non scontata nella sua apparente semplicità: l’assenza di affetti familiari, la solitudine della crescita, la difficoltà di scegliere liberamente (soprattutto se sei una ragazza o una donna), l’irrompere della Prima Guerra Mondiale con i suoi effetti devastanti sul futuro delle nuove generazioni.
Ma, al di là dell’intreccio narrativo, la potenza della storia risiede nell’abilità dell’autrice a dar vita a personaggi indimenticabili: Peter, col suo animo ombroso e complementare alla solarità ed energia vitale del cugino Rupert; Vanessa e Simon, emblema di un’amicizia che affonda le radici nella condivisione delle esperienze e nelle affinità d’animo; l’esuberante Violet, capace di cogliere l’occasione che si nasconde nella quotidianità; la saggia signora Morgan, espressione di una istintiva rivendicazione dei diritti femminili. E, soprattutto, la giovane Clarry, protagonista assoluta della storia, determinata a combattere per costruirsi un futuro di indipendenza e che trova l’anelata libertà nei libri e nella scuola, unici rifugi contro la freddezza e brutalità che la circonda. E che, grazie a una profonda sensibilità, semina positività attorno a sé, riuscendo a lenire il dolore del fratello Peter, ferito nell’animo dall’indifferenza del padre, e del carismatico cugino Rupert, insostituibile compagno di avventura nelle ventose e soleggiate estati passate dai nonni in Cornovaglia, e che rischia ora di perdersi sui campi di battaglia.
In chiusura, un finale perfetto: il ritorno delle farfalle, con i loro colori e il loro volo leggero, metafora del recupero di una sofferta speranza. Un libro imperdibile, in attesa del seguito, già edito in Gran Bretagna e che speriamo arrivi presto in Italia.
Gabriela Zucchini (da LiBeR 134)
La guerra delle farfalle
Hilary McKay;
trad. di R. Serrai
Giunti, 2021, 300 p.
(Le strenne)
€ 16,00 ; Età: da 12 anni
Ci sono dei libri che andrebbero lasciati ai bambini senza aggiungere commenti, parafrasi, spiegazioni. Andrebbero posati lì dove loro possano prenderli, per poi sfogliarli e goderli senza l’intervento di chi, aggiungendo parole, sottrae il tempo alla meraviglia e alla scoperta. Sono pochissimi i libri che possono avere questo privilegio, che riescono a dirsi senza essere detti. Sono libri che conservano intatto il diritto all’incanto della scoperta silenziosa e personale. Sono libri in cui si avverte da subito che quella che viene raccontata non è soltanto una storia. L’egregio, coraggioso e raffinato lavoro delle editrici di Camelozampa ha portato in Italia un classico della letteratura per l’infanzia statunitense scritto da Ruth Krauss e illustrato da Marc Simont, che valse a quest’ultimo la Caldecott Honor.
Pubblicato nel 1949, Il giorno felice non ha mai smesso di essere ristampato e di piacere ai bambini.
Ma che cosa accade tra le pagine? Gli animali del bosco si svegliano e annusano l’aria attorno a loro, poi corrono, si fermano, ridono e danzano perché è accaduto qualcosa di meraviglioso. Nulla di straordinario, ma il ripetersi dei prodigi della natura: lo spuntare dei fiori.
È la scoperta dell’inaspettato a rendere possibile l’esercizio della meraviglia, che può compiersi solo se si osserva e nel caso degli amici animali, che qui sono protagonisti, se si annusa. La bellezza della natura ha sempre una sorpresa per chi è capace di guardare. Il cromatismo scelto per illustrare questa semplice ed efficace storia aiuta il lettore a sentire davvero con i sensi, oltre che con lo sguardo. Ci vuole molto coraggio, oltre che una straordinaria fiducia nella capacità immaginativa dei bambini, per pensare e realizzare libri che restano per sempre. Brava Sara Saorin che ha tradotto senza riscrivere.
Agata Diakoviez (da LiBeR 134)
Il giorno felice
Ruth Krauss,
ill. di Marc Simont;
trad. di S. Saorin
Camelozampa, 2022, 36 p.
€ 15,20 : Età: da 3 anni
La graphic novel sta conoscendo un momento d’oro e anche scrittrici di solito impegnate nel “romanzo tradizionale” si misurano, con successo, con il “romanzo illustrato”. È il caso di Daniela Palumbo che, in coppia con l’illustratrice Francesca Carabelli, dà voce alle avventure di Adele e Alfio, una famiglia abitudinaria che ogni agosto, da dieci anni, fa sempre le stesse cose. Partenza il 30 luglio, ritorno il 30 agosto, destinazione la montagna a bordo di un treno. Nulla cambia in questa coppia che ha trasformato la ripetitività e l’immobilismo progettuale in un perno della propria vita. Ma la vita stessa, uno scarto o un accidente si incaricano di mettere a soqquadro l’esistente: sarà la scomparsa di una scarpa di Adele a far franare la sequenza di giorni ripetitivi. Senza quella scarpa Adele non vuole partire. La ricerca si mostra più complicata del previsto. Il treno è perso mentre i due sono disperatamente alla caccia di quella calzatura vecchiotta e un po’ sformata. Un po’ come la loro vita. Perdita e ricerca innescano un susseguirsi di situazioni divertenti e surreali. Ma gli imprevisti e le sorprese, si sa, non arrivano mai dai soli. Alfio e Adele scoprono che ogni anno, quando se ne vanno in vacanza, a casa loro arriva il figlio della donna delle pulizie. Il ragazzo non intende cambiare i propri piani e ai due non resta che accettare, un po’ perplessi, la sua presenza. Ma quella che sembrava una scocciatura si rivelerà un toccasana. Aristide sconvolgerà positivamente la vita dei due, coinvolgendoli in una sarabanda di feste, persone, musica. La coppia abitudinaria scopre così il valore e il gusto di avere amici, di mescolarsi alla gente, di lasciare spazio al caso. Al punto che in agosto, in montagna, non ci vogliono più andare. Anche la scarpa, alla fine, verrà ritrovata, anzi a casa torneranno ben due scarpe, e pazienza che una sia spaiata. Morale della storia: il cambiamento è benefico. A volte anche un imprevisto si può tramutare in opportunità. Il tutto è raccontato con grazia e divertimento, merito anche delle bellissime illustrazioni che puntano su un bianco e nero spruzzato di giallo, su personaggi un po’ surreali, dove non solo i protagonisti ma la stessa città con i suoi oggetti e luoghi dell’abitare sembra vivere di vita propria.
Vichi De Marchi (da LiBeR 134)
Fuga in punta di piedi
Daniela Palumbo,
ill. di Francesca Carabelli
Sinnos, 2021, 64 p.
(Prima graphic)
€ 11,00 ; Età: da 7 anni
Insieme a quello di Miss Ellian con le sue 12 tigri del Bengala, quello di Fram, l’orso polare, è il numero più atteso del Circo Strutzki. Il più sorprendente e divertente. Perché Fram non ha bisogno di domatore, frusta, segnali; entra nell’arena su due zampe, saluta, va in bicicletta, fa il doppio salto mortale, sa essere comico e serio come un consumato attore. Adorato dai bambini per la sua giocosità, è il beniamino anche degli adulti, che ne apprezzano la straordinaria intelligenza, agilità ed empatia. Una sera, però, qualcosa si spezza dentro di lui e, di punto in bianco, le acrobazie, i complicati esercizi e gli equilibrismi che avevano fatto innamorare grandi e piccoli, sembrano dimenticati. Fram sprofonda in uno stato di tristezza e apatia causato da un moto di nostalgia verso la sua vita precedente, di cui conserva solo un vago e lontanissimo ricordo. Era infatti appena un cucciolo quando sua madre venne uccisa da cacciatori eschimesi, e lui fu catturato, comprato da un marinaio e infine venduto al circo. Qui ben presto si era dimostrato un esemplare unico e speciale, amichevole con gli uomini, capace di comprenderne i sentimenti e provare persino pietà. Ora però, dopo tanti anni, Fram non vuole più esibirsi, sogna le distese delle regioni artiche e ripensa con malinconia al calore della pelliccia materna. La sua natura selvaggia e libera si è risvegliata e lo chiama con forza a sé. Cullati da una lingua poetica e ricca, seguiamo così il viaggio di ritorno di Fram verso il Polo Nord, alla ricerca dei suoi simili e del suo posto nel mondo. Niente però è come si aspetta: la vita in quei luoghi remoti è spesso crudele e gli altri orsi sono ostili e diversi da lui. Fram si sente ancora una volta sbagliato e il suo animo sensibile è tormentato… Chi è veramente? Cos’è per lui la felicità? E dove può trovarla?
Il romanzo dello scrittore rumeno Cezar Petrescu è un classico della letteratura per ragazzi che ha accompagnato in patria generazioni di lettori e che in Italia è arrivato per la prima volta negli anni '60. La casa editrice pugliese Besa Muci lo ripubblica affidandolo alla traduzione elegante ed evocativa di Giuseppe Stabile, che ci regala descrizioni meravigliose dei paesaggi artici e un’assoluta e piena vicinanza emotiva con il protagonista.
Francesca Tamberlani (da LiBeR 134)
Fram l’orso polare
Cesar Petrescu;
trad. di G. Stabile
(Rendez-vous)
Besa Muci, 2021, 283 p.
€ 16,00 ; Età: da 10 anni