Bonomia University Press, 2007, 310 p.
(Biblioteca)
€ 24,00
Oltre l’orizzonte del mondo conosciuto esistono terre inesplorate che promettono meraviglie e incanti: sono i mondi fantastici della narrativa avventurosa e fantasy per ragazzi. In questa lande estese oltre i confini del quotidiano i giovani lettori ritrovano storie che offrono ristoro alla loro sete di meraviglia. Del resto, bambini e adolescenti da sempre si immergono con piacere in tali racconti, perché capaci di soddisfare in modo autentico il bisogno di sogno e la ricerca di senso rintracciabili nell’età evolutiva: la narrazione e la metafora contribuiscono, infatti, a dare un significato all’avventura esistenziale, specialmente per chi si è appena affacciato sul mondo.
A partire da queste considerazioni il volume analizza le ragioni e le funzioni pedagogiche che i generi dell’avventura e del fantasy incarnano.
Il libro si avvale di numerosi approcci (da quello letterario a quello pedagogico e storico-antropologico) per analizzare le dimensioni narrativa, che stano incidendo con forza sull’immaginario collettivo in epoca di globalizzazione dei consumi culturali. Letteratura, cinema e fumetto rappresentano pertanto i campi di indagine della ricerca: ripercorrendo le opere di scrittori quali Kipling, Tolkien, C.S. Lewis, offrendo chiavi di lettura inedite sul caso Harry Potter, si traccia un percorso nelle affascinanti strade dei mondi al di là del mondo, per cogliere la relazione tra sogno, realtà, infanzia.
L’autore
William Grandi è studioso di narrativa per ragazzi e collabora con la cattedra di letteratura per l’infanzia dell’Università di Bologna. Ha scritto numerosi articoli e saggi sui romanzi fantasy e d’avventura. Conduce laboratori sui temi della narrativa giovanile, si occupa di aggiornamento e di formazione per docenti, bibliotecari, operatori editoriali e culturali.
La recensione
di Carla Poesio
Preceduto da una prefazione di Emy Beseghi che sottolinea alcune delle componenti essenziali dei generi avventura e fantasy, lo scambio intenso tra immaginario e realtà e “l’anatomia del successo” della saga di Harry Potter, presi in esame da Grandi, il saggio si articola su due assi portanti: l’avventura come dimensione primaria dell’immaginario collettivo e il fantasy. Dei due generi è il primo il punto forte di tutto il percorso critico, come perno non solo del fantasy, ma anche di altri generi: dall’horror alla fantascienza. Il saggista ne esamina l’ambientazione: l’isola avanti tutto e le sue molte versioni, da quella di Robinson a quella di Peter Pan, le motivazioni di propulsione: in primis la necessità di andare, il viaggio, come passaggio verso l’imprevisto e anche transito verso la conoscenza della propria identità. Interessante è il rapporto messo qui in rilievo tra avventura e memoria, supportato da citazioni di autori sia classici che moderni. L’avventura “ allunga le sue radici nel passato” e senza la memoria “non si dà avventura ma solo istinto o ribalderia”.
È da questi esami settoriali, ma strettamente connessi l’uno all’altro che Grandi perviene al primo tentativo di definizione dell’avventura come genere che mette in scena un mondo lontano dall’esistenza comune, pur rimanendo legato all’universo del possibile e prospettando un percorso effettuabile con forze umane. Evidente la differenza con il fantasy e l’horror giacché questi, pur attraverso gli elementi propri dell’avventura, fanno ricorso al magico, al soprannaturale, al trascendentale. Nella panoramica offerta dagli scrittori di avventura si parte da classici come Defoe, Verne, Salgari (di cui il saggio offre le connotazioni essenziali) per includere validi interpreti dell’avventura nel mondo d’oggi come Jan Mark.
Siccome “l’avventura nasce bambina ‘e cresce conservando in sé frammenti di fanciullezza’”, Grandi afferma che questa tendenza, implicita nell’essere umano fin dall’infanzia e dall’adolescenza, si fa segno di maturità quando si è disposti a vivere una continua avventura esistenziale. La contiguità col puer è presente in grandi eroi dell’avventura: da Tarzan a Tintin e a Corto Maltese che vengono qui acutamente analizzati.
Strettamente connesso con l’identikit dell’avventura è l’ampio capitolo dedicato al Fantasy. Tra le notazioni più interessanti ci sono la constatazione del nuovo interesse della critica che in passato aveva marginalizzato il genere e alcune calzanti risposte alla domanda frequentemente espressa “perché il Fantasy appare oggi così vicino alle esigenze dell’immaginario collettivo?” e cioè: perché il fantasy è lettura trasversale che accomuna adulti e ragazzi lettori; perché il meraviglioso aiuta a infrangere i limiti della realtà in cui si vive; perché l’epoca medievale frequentissima nelle trame offre pregnanti riferimenti storici e anche simbolici; perché lo scenario di un “altrove” si presenta come “zona franca” non sottoposta a regole consuete; perché gli scrittori validi collocano la magia in opportuni spazi narrativi del quotidiano così da farne efficacemente risaltare gli effetti (talvolta anche con tonalità umoristiche) e fornire occasioni di frattura e cambiamento a una quotidianità immobile; perché il modo di vivere le epoche passate suggerisce una malcelata, gradevole nostalgia di età considerate felici; perché la presenza della Natura nei suoi vari elementi è confortante, rigenerante e travalica di parecchio l’ambito di una estetica narrativa.
Queste e altre considerazioni hanno in queste pagine il supporto di una efficace panoramica che a maestri come Tolkien e Lewis affianca diacronicamente White, Ende, Le Guin, Gaiman, Pullman, De Mari. Uno spazio particolare è dedicato a Stroud e a Clarke.
Grandi accompagna con una interessante notazione le varie tappe creative di questi autori nel tempo: gli anni ‘30 per Lo Hobbit e La spada nella roccia, anni che precedettero la difficilissima situazione della Gran Bretagna nella seconda guerra mondiale col pericolo di una imminente invasione; gli anni della guerra fredda per Il signore degli anelli e Le cronache di Narnia, gli anni ‘90 (quando il fantasy ebbe una enorme diffusione) che videro l’aperto manifestarsi del terrorismo. Queste concomitanze storiche fanno ipotizzare al saggista che si abbia una scoperta o riscoperta o rivalutazione del fantasy ogni volta che si manifestano i sintomi di una grave lotta imminente.
A questo punto l’analisi già esauriente del fantasy imbocca tre percorsi basati su un denso esame critico di Tolkien, Lewis e Rowling studiati nel rapporto che intercorre tra la loro biografia e le loro opere, nelle motivazioni, scelte contenutistiche e stile che li caratterizzano e nel contesto storico-politico-culturale in cui hanno operato.
Di Tolkien vengono messi in evidenza, tra molte altre componenti, i valori etici a lui propri che si riflettono nell’immaginare nuovi mondi conformemente a una disposizione divina, “giacché l’uomo è sub creatore laddove Dio è creatore”. Grandi sottolinea come le avventure dei personaggi, per lo più paciosi e casalinghi, appaiano intraprese più o meno a malavoglia, ma perseguite sempre con coraggio, tenacia e impegno d’onore, come l’andamento narrativo e il linguaggio siano quelli tipici della fiaba popolare, come un’etica di paganesimo nordico, severa e aristocratica, si innesti in concetti cristiani, come la tonalità cromatica più presente nel Signore degli anelli sia il grigio e il suo significato, come la componente epica dell’avventura sia una delle ragioni del successo di Tolkien, come amore, sesso e passione siano scarsamente presenti o addirittura assenti, come la “ eucatastrofe” sia la condizione finale, dopo un drammatico momento di suspense.
Il saggista mostra, sottesa alle vicende, una opposizione tra Occidente e Oriente e il suo contesto politico, parallela alla tensione Nord-Sud presente nelle Cronache di Lewis. Merita infine un cenno, espressa da Bloch e ripresa da Zipes, la considerazione dell’elemento fantastico come espressione di protesta contro la reclusione imposta dalla quotidianità moderna.
Complesso appare il rapporto di Tolkien con l’illustrazione della sua opera ed è approfondita la figura della sua illustratrice, Pauline Baynes.
Per quanto concerne Lewis, Grandi identifica come componente essenziale delle Cronache “la profonda rielaborazione fantastica in chiave fiabesca, mitica e fantascientifica di storie e di valori cristiani”. Accanto ai protagonisti, illustra la presenza attiva degli animali mettendo in risalto la naturale contiguità tra infanzia e natura rilevata da scrittori e psicologi di ogni tempo. Numerosi i momenti ironici e umoristici – osserva Grandi – tipicamente britannici, e significativo è il modo in cui il tempo scorre a Narnia, confrontato con il tempo del mondo reale a cui i ragazzi appartengono.
Grandi si sofferma acutamente sulla pedagogia di Lewis, sottolineando il valore formativo delle sue avventure e su un’educazione rivolta al conseguimento della gioia di vivere. Prende inoltre le difese delle vicende dall’accusa di “escapismo” e di irrazionalità, scatenatesi soprattutto da parte di esponenti della religione protestante. Anche il tema della morte è analizzato, soprattutto in vista finale delle Cronache (con la morte dei ragazzi nell’incidente ferroviario e la loro sopravvivenza a Narnia).
Come per Tolkien e altri autori, il saggista dà sempre risalto e valutazione critica alle trasposizioni cinematografiche dei vari testi.
Il capitolo di chiusura è dedicato a una sottile anatomia del successo della saga di Harry Potter, riprendendo considerazioni già proposte nei capitoli precedenti sull’avventura e sul fantasy, ma aggiornandoli ai contenuti e al nuovo andamento narrativo proposti dalla Rowling.
Sulla base dell’enorme successo editoriale dei libri di Harry Potter finora usciti, Grandi fa ancora notare come il tema del sorprendente incontri a tutt’oggi l’appetito vorace dell’immaginario collettivo, dando vita a filoni diversi, come quello del realismo magico (vedi Jorge Amado) o del costante incrocio tra quotidianità e meraviglioso. Una rivalutazione odierna di elementi appartenenti a un recente passato (gli universi paralleli, la storia alternativa, i saperi dimenticati) sono assurti nel Fantasy odierno a ruoli di metafore del reale e rispondono al desiderio di percepire “ciò che sta dietro le quinte del palcoscenico della storia visibile”. I libri di Harry Potter sono perciò un “fenomeno-spia”, un segnale culturale e sociale prezioso per lo studio dell’immaginario.
Stimolante è la ricerca sulle diversità esistenti nel fantasy di Tolkien, Lewis e altri con il fantasy di Harry Potter; in particolare l’abbandono della piega epica, ma soprattutto la trattazione del tema del dolore che nei libri della Rowling non è più dolore collettivo, bensì vissuto da ciascun personaggio nel proprio intimo, senza condividerlo con gli altri, quasi coperto da un velo di pudore.
Interessante anche la differenza rilevata tra gli eroi dei serial fantasy che restano uguali libro dopo libro e Harry Potter, definito eroe “a spirale” che tende, cioè, ad arricchirsi conoscendo sempre qualcosa di nuovo nel suo mondo e anche su se stesso.
Una carenza rilevata dal saggista nella Rowling è la mancanza di uno spessore psicologico dei personaggi (connotazione peraltro tipica più o meno dei romanzi fantasy). Infine tra le particolarità da tener presenti c’è il sincretismo della Rowling e cioè molteplici incontri con i derivati di fiabe, con i mistery books, con le pellicole disneyane, con le sit com, i libri gialli e la graduale detection, col tema della condizione di orfano, con le school stories, col mito e la leggenda. Questo sincretismo permette a Grandi di ipotizzare per il genere fantasy un futuro di consistente sopravvivenza, dovuta proprio alla forza e all’originalità delle contaminazioni.
(da LiBeR 76)