Antonio Faeti
Introduzione di Giorgia Grilli
Il Ponte Vecchio, c2005, p. 156 p.
€ 15,00 - ISBN 88-8312-512-6
Il volume raccoglie articoli e saggi di Antonio Faeti, comparsi prevalentemente sulla rivista Hamelin e in vari cataloghi di mostre dal 1990 al 2005, aventi come filo conduttore l’analisi tecnico-stilistica delle illustrazioni, accompagnata dall’esigenza di decifrarne tutta la valenza narrativa e di significato. Insomma, la tipica modalità faetiana di “guardare le figure” (dipinti, illustrazioni, copertine di libri, tavole di fumetto…), attraverso un’"ermeneutica dell’immaginario” orientata ad aprire ampi orizzonti di senso e fondata su molteplici chiavi interpretative che attingono alla filosofia, alla storia, alla sociologia, alla pedagogia, al costume…
Il libro, ampiamente illustrato, attraversa a tutto campo il mondo dell’immagine, soprattutto contemporanea.
Antonio Faeti, già docente di Storia della Letteratura per l’infanzia presso l’Università di Bologna, è attualmente professore di Grammatiche della Fantasia all’Accademia di Belle Arti della medesima città. Scrive su vari periodici e ha pubblicato, a partire dalla metà degli anni ’60, numerosi saggi sulla letteratura per ragazzi e sull’illustrazione, oltre ad essere anche autore di narrativa per adulti e per l’infanzia.
La recensione di Carla Poesio sul numero 75 di LiBeR
Nell’ introduzione al volume Giorgia Grilli, che ha raccolto articoli e saggi di Faeti sul versante dell’illustrazione, della pittura e del fumetto, sottolinea una delle componenti essenziali di questi scritti. L’autore non si limita a presentare vari illustratori e a esaminarne le opere, ma propone un’analisi critica di autori e testi che motiva le interpretazioni a essi date da ogni artista preso in esame. Esopo, Andersen, Hoffman, Wilde e altri “vengono scandagliati e come riscoperti nella loro specificità precisamente attraverso quello che a un artista hanno implicitamente, e diversamente, suggerito”. Gli scritti sono raggruppati in capitoli di cui il primo “Guardare le figure” contiene vari articoli apparsi sulla rivista Hamelin. Sono scritti che ci fanno apprezzare alcune delle componenti delle analisi faetiane, come la sorprendente varietà di versanti, il fascino di esperienze apparentemente lontane l’una dall’altra ma con significativi allacciamenti, la scelta di topoi da spazi inattesi.
Il capitolo “Illustrare, dipingere, raccontare” presenta sei saggi dei quali il più vasto è “Sussurri acquerellati” dedicato a Lisbeth Zwerger e al particolare tipo di dialogo che l’artista intreccia con gli autori di cui illustra le opere. Fra questi Esopo, un favolista che – sottolinea Faeti – si avvale dei modelli metaforici su cui si fonda il fiabesco. Di qui l’intenzione di Lisbeth Zwerger di valorizzarli e di crearvi attorno atmosfere sorridenti e gioiose. Per la fiaba romantica Faeti presuppone un dialogo tra autori e illustratrice in cui si avverte la piena adesione di lei al loro mondo di finzioni narrative. Nelle tavole, perciò, ecco una grande penombra complessiva, una penombra esistenziale e una componente tanatologica lungo un percorso preferenziale che va dal focolare al bosco. Le varie tipologie dell’immaginario romantico presenti in Hoffman sono esposte da Faeti in modo da far cogliere pienamente il valore delle scelte espressive della Zwerger. Lo stesso per quanto concerne la raffigurazione dell’infanzia che l’artista ricava dalle pagine dei Grimm. Tra le più interessanti notazioni interpretative di Faeti, nell’esame delle tavole della Zwerger per le fiabe di Andersen, c’è l’avvicinamento dello scrittore danese più a Hoffman che ai Grimm, basato in gran parte sulla “diversità” e l’asserzione che proprio nei confronti di Andersen la Zwerger si pose sempre l’esigenza di un intenso approccio ermeneutico, tanto che, suggerisce ancora Faeti, l’artista ha trovato in lui un livello di immedesimazione superiore a quello di altri autori da lei amati e più volte rivisitati. Faeti ci parla di una speciale ascendenza Biedermeier riscontrabile nelle tavole dell’artista austriaca, così come di una “adesione affettuosa all’istanza complessiva del giapponismo”. Per quanto riguarda poi le illustrazioni dei testi di Wilde, ecco la giusta e diffusa menzione del simbolismo e, su un versante di analisi prevalentemente letteraria, la portata metaforica di quella raffinata e dolorosa solitudine che appare nel Fantasma di Canterville e nel Gigante egoista. Per il Natale hoffmaniano dello Schiaccianoci e per quello dickensiano del Christmas Carol la Zwerger attua una lettura diversa, insolita – nota Faeti – soprattutto nella tavola finale dello Schiaccianoci con la grande recita orrifica solo provvisoriamente terminata e, in area dickensiana, nel colloquio tra Scrooge e il fantasma di Marley. Il saggio termina con la menzione di una tavola in cui Lisbeth Zwerger accetta la sfida di illustrare Pinocchio. Siamo nell’ ambito della foresta con la Quercia Grande fatta per appendere gli impiccati. È un altro dei sussurri acquerellati dell’artista, “sussurri in cui le grida sono già contenute”.
Nel saggio su Roberto Innocenti “L’insidia dello stile”, Faeti formula la più bella definizione dell’atteggiamento critico dell’artista: “l’occhio archeologico”. In ogni tavola vediamo lo svolgimento di una minuziosa operazione di ricerca e di scavo, a cominciare dalla memorabile immagine della scalinata di Odessa in 1905: Bagliori ad Oriente (Quadragono libri, 1979). Qui si riscontra un’altra delle componenti essenziali chiamata da Faeti “rapporto tra minuziosità e aggregazione”. Ricerca archeologica anche in Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino (C’era una volta..., 1991), e ancora nell’interpretazione della Londra di Dickens e degli interni dello Schiaccianoci di Hoffman.
Il terzo saggio è dedicato alle proposte di illustrare Andersen di un gruppo di illustratori contemporanei, quasi tutti creatori di fumetti. Offrono chiavi di lettura a cui, osserva Faeti, nessuno aveva pensato. È da sottolineare come si svolge l’incontro tra Andersen e Mattotti, che ha prescelto la fiaba Il folletto del droghiere con la splendida tavola-icona del folletto appollaiato su un tetto che guarda l’incendio e si tiene ben stretto il libro.
Il quarto saggio concerne un gruppo di illustratori contemporanei fiamminghi con un risalto dedicato a Carll Cneut. In Italia la Adelphi ha pubblicato alcuni dei suoi albi: Greta la matta, La meravigliosa storia d’amore di Mr. Morf, Cuore di carta e Mostro non mangiarmi. Qui Faeti ci dà uno scenario del nord fiammingo rifacendosi al famosissimo testo di Johan Huizinga L’autunno del Medio Evo (1953), al romanzo di Hugo Claus La grande sofferenza del Belgio (1999), all’opera pittorica di James Ensor e al Borinage di Van Gogh. Soprattutto in Cneut le tonalità autunnali si fondono col clima di perpetua tenzone tra Carnevale e Quaresima che permette di capire al meglio la sua dimensione illustrativa, la sua deformazione dei personaggi in un ingrandimento paradossale e in rimpicciolimenti raffinati e le sue ricerche del bizzarro, del grottesco. Interessante l’inclusione, in quinta posizione di questo capitolo, di un articolo apparso nel 1991, concernente Etienne Delessert, un grande maestro svizzero che sembra attrarre meno l’attenzione odierna (si veda, però, l’interesse riscosso, alla Fiera di Bologna 2007, dal suo albo Odio leggere pubblicato da Motta Junior). L’articolo, intitolato “Il topo”, ci riporta alla creazione di un’opera famosa di Delessert: Come un topo prese un sasso in testa e scoprì il mondo (1971), con prefazione di Piaget, la cui ascendenza fu molto forte sull’artista. Il personaggio topo è visto da Faeti come emblema dell’uomo solitario che medita e osserva.
Il sesto saggio, “Il mondo rappresentato”, è dedicato a Saliola, un artista assai caro a Faeti: qui scrive addirittura un dialogo tra Saliola e il signor Biedermeier. Quest’ultimo signore certo non era, ma, in questa pagina, da stile diventa personaggio e intrattiene una lunga conversazione col pittore. In seguito Saliola dipinge due quadri che risentono dell’evoluzione di quell’incontro. Uno, qui riprodotto, s’intitola Per giocare a nascondino bisogna avere occhi, esser furbi ed è un vero e proprio trionfo del legno, materia privilegiata nel dibattito tra i due.
Nel capitolo finale “Vedere. (Punti e altri appunti)” la Grilli ha raccolto impressioni e osservazioni di Faeti dense di significati. Fra le più interessanti quella relativa al saper vedere, capacità che si dimostra solo con le parole, perché “ogni opera di interpretazione si compie unicamente quando le parole si stringono alle immagini che solo allora esistono in quanto solo allora sono viste”. Ma, quanto allo stringersi delle parole alle figure, Faeti tiene a far conoscere la sua triennale esperienza con i compagni ciechi ospiti dell’Istituto Cavazza, che accompagnava al cinema: fungeva da perfetto mediatore tra la visione realista delle sequenze filmiche e la visione interiore dei suoi compagni.
Dopo alcune pagine intitolate “Di fumetto, in tarda estate” relative al fumetto visto come “il grande mare delle storie”, il libro si chiude con uno scritto autobiografico dal titolo “Tentativo di realizzare un sommario per l’autobiografia di un voyeur”. Faeti presenta alcune tappe della sua “educazione allo sguardo”, dai quattro anni in poi, con maestri singolari come l’arciprete di Savigno, o tramite strumenti egregi come la collana La scala d’oro, o sotto il fascino dei fumetti a quell’epoca messi all’indice dalle autorità costituite, fino alle tappe guidate dal fratello Benny su grandi periodici come Il Mondo. Significativa la stagione della Pop art, alla pari dello sguardo dei bambini, sperimentato durante 16 anni di insegnamento, “quel loro sguardo non catturabile, quella loro ottica che li induce a guardare in un altro modo”. Dal 1968 al 1972 c’è la grande tappa del lavoro di creazione del libro Guardare le figure, una immersione tra i figurinai italiani. Tappe con portata e significato diversi ma che rimettono ugualmente sul tappeto il problema di come si guardano le figure e – aggiunge Giorgia Grilli – di come si può farle parlare.
Carla Poesio