Nonni
Chema Heras, ill. di Rosa Osuna; trad. di E. Rolla
Kalandraka, 2010, p. 40
(Libri per sognare)
€ 14,00 ; Età: da 4 anni
Se ogni picturebook possiede una sua musica latente, una partitura segreta di note e di silenzi che, variamente, a seconda del lettore, risuona tra parole e immagini, a tuffarsi tra le pagine di Nonni, testo di Chema Heras e tessitura visiva di Rosa Osuna, può capitare di sentirsi trascinare da una melodia dolce e confortante che ricorda un po’ quella di Up, magnifico film del 2009, tra l’altro Oscar per la colonna sonora (Michael Giacchino).
Un mood nostalgico e commovente che abbraccia per intero la vita di una coppia col suo sogno d’amore e d’avventura. Nonni, però, ha una storia più antica che già dal 2002 ha raccolto premi per il mondo, prima di diventare, grazie alla traduzione di Elena Rolla e alla squisita intuizione di Kalandraka Italia, fruibile nella nostra lingua.
L’annuncio di un ballo, la promessa di una festa: questo lo spunto che spinge Mario (un uomo anziano, “nonno” solo agli occhi dell’infanzia), a invitare la sua compagna per la sera. Ma per Maria (“la nonna”), non è facile: tornare a danzare è come incontrare la se stessa che era e forse non è più, sentire il senso struggente di una leggerezza perduta, il ricordo insopportabile della bambina che ha lasciato indietro, dei suoi giochi, delle sue fattezze. Così all’inizio preferisce dire di no, pur di non confrontarsi con ciò che il tempo si è apparentemente portato via. Il suo compagno però la incoraggia… Comincia così una ballata dal sapore agrodolce. La nonna vorrebbe truccarsi, tingersi i capelli, nascondere dietro una lunga gonna la sua pelle stanca e avvizzita, ma il nonno la rincuora che no, che non c’è bisogno: così com’è “è bella come il sole”, le dice, inventando per lei una collana di tenerissime similitudini poetiche prese in prestito dalla natura.
A questa incantevole linea di invenzione testuale risponde splendidamente la trama visuale imbastita da Rosa Osuna. Tavole patchwork di tecniche e tocchi da gustare in ogni minimo dettaglio: la cera, la matita, la china, l’acquarello, a improntare uno stile evocativo e geniale, capace di racchiudere l’intera evoluzione di Maria in una microteoria di schizzi dove è bambina e anziana senza soluzione di continuità, mentre fili, gomitoli e ferri da calza si incrociano a spirali che alludono alla ciclicità dell’esistenza. Allora il corpo, con le sue rughe tanto care a Anna Magnani, diventa scrigno di una storia da custodire e preservare dalle oggi sempre più pervasive tentazioni di cancellazione chirurgica, e l’amore, rispetto e accettazione della musica interiore dell’altra, dell’altro.
Maria Grosso
(da LiBeR 88)