Uffa, che rottura!
Emanuela Nava
Giunti Junior, 2010, p. 160
(Gru)
€ 7,90 ; Età: dai 10 anni
La storia intrecciata che ci racconta Emanuela Nava con il suo Uffa, che rottura! prende le mosse proprio dal signor Bado, un uomo fatto ma incapace di badare a se stesso (figuriamoci a chi gli sta vicino!). E che dunque continua ad andare, letteralmente, in pezzi.
A poco serve il tentativo del figlio Francesco, aiutato dall’amica Emma, di rimetterlo in sesto con il gesso a presa rapida. Scopriamo infatti che la sua fragilità ha un’origine lontana: risale all’infanzia, quando la madre, pur tentando di soddisfare il suo continuo bisogno di storie narrate, lo costringeva a ascoltare storie che lui non voleva sentire. Serve dunque una storia che lo faccia star bene, una storia che Bado non dovrà chiedere agli altri e cercherà da sé: la biblioteca avuta in regalo gli offrirà la possibilità di trovare il racconto che lo guarisca, nelle articolazioni e nell’anima.
La scrittrice annoda con il filo della scrittura molte e diverse vicende che vanno a costituire un unico destino e ci offre una divertente rosa di personaggi tra cui nessuno, o quasi, è come sembra.
La signorina Mattia, il motore dell’azione, non è la veggente imbrogliona che le prime pagine del racconto ci paiono presentare. La signora Ottavia non è la moglie di Bado bensì la madre dalla quale lui non riesce a rendersi autonomo. E non è nemmeno l’amante del signor Rolando, impresario di pompe funebri destinato a scoprire che i defunti si possono accompagnare anche con colori, con suoni e canti.
Molti sono dunque i personaggi, che il lettore avrà il piacere di scoprire, e differenti sono le fragilità, le paure che li attanagliano, così come variegate sono le potenzialità che permetteranno a molti di loro di aprirsi a uno stile di vita del tutto rinnovato.
La scrittrice pone nel romanzo alcune delle tematiche a lei care, che ritroviamo dunque negli altri suoi libri: dalla morte affrontata con coraggio e speranza, alla narrazione come medicina e risorsa del vivere, all’amore come possibilità di completamento di sé, alla stima per le donne che sanno continuare la loro vita pur senza sottrarsi alla responsabilità dell’essere madre. E ancora non manca il rispetto per l’infanzia portatrice di saggezza e di cambiamento: capace di “giocare a Monopoli anche al Polo Sud, a testa in giù”.
Francesca Califano
(da LiBeR 87)