La Bambina nel Castello dentro il Museo
Kate Bernheimer, ill. di Nicoletta Ceccoli
trad. di B. Pagotto
Arka, 2009, p. 40
(Collana di perle)
€ 15,00. Età: da 4 anni
Che ci fa una bambina in una boccia di vetro, all’interno di un castello giocattolo? Forse è una principessa e un malvagio incantesimo l’ha imprigionata lì per sempre. Il testo di Kate Bernheimer è così breve da risultare quasi scarno, ma nella sua estrema sintesi ha offerto a Nicoletta Ceccoli lo spazio e il modo di dipanare la propria fantasia figurativa e di attribuirgli quell’atmosfera onirica che è la vera chiave di lettura.
In una città, probabilmente reale, alcuni bambini visitano un museo del giocattolo e, al suo interno, scoprono numerosi fantastici oggetti. Tra gli altri, campeggia un castello racchiuso in una sfera di cristallo, simile a quelle bocce tanto amate dai piccoli. Lì dentro vive una bambina, “da sempre, si dice”. Ma quando i visitatori lasciano il museo, lei si sente sola.
A nulla vale la bellezza del castello, né la compagnia della musica o della poesia, né i sogni che nella notte la raggiungono. Il punto di vista si sposta dal narratore al personaggio, la bambina: ne conosciamo i sogni, i pensieri, i desideri. La soluzione alla sua solitudine coinvolge a questo punto il lettore, in una interazione tra i ruoli che lo rende parte integrante del racconto: “A volte la bambina nel castello sogna persino te”. Ed ecco, “vuole una tua foto da appendere a fianco del suo letto, lassù nell’alta torre”. Sebbene lineare, il testo implica un rapporto lettore-autore sufficientemente complesso per consentire al bambino di familiarizzare con strategie di lettura non banali. Alle parole sempre essenziali si accompagna lo stile figurativo di Nicoletta Ceccoli che si avvale di dettagli e figure tratti da un repertorio visivo tutto personale, alimentato anche dalla paziente ricerca e dalla raccolta di immagini di giocattoli antichi. Infatti i veri protagonisti paiono essere, alla fine, proprio i giocattoli: figure polimorfe, ibridi di bambole, birilli, dadi, insetti o automi di settecentesca memoria. Ricordano le figure di Bosch, ma, rivestiti dell’aspetto fragile e innocente dell’infanzia, trasmettono una sensazione vagamente inquietante che alimenta la dimensione fantastica e che ben si addice a un racconto rarefatto e surreale qual è questo.
Apparso nel 2006 negli Stati Uniti per i tipi della casa editrice bostoniana Houghton Mifflin, questo albo mostra la maturità raggiunta dall’illustratrice, che ormai lavora quasi esclusivamente per il mercato editoriale non italiano. Auspichiamo di vedere riconosciuto anche da noi il suo talento.
Angela Dal Gobbo
(da LiBeR 85)