La scuola siamo noi
Emiliano Sbaraglia
Fanucci, 2009, p. 176
(Teens)
€ 13,00 ; Età: da 13 anni
Non propriamente un romanzo ma neppure un reportage, La scuola siamo noi ha il passo del diario scritto da un insegnante alle prese con continui cambi di scuola, di supplenze frutto di una decennale vita da precario, ma soprattutto impegnato in un rapporto mai scontato con i suoi studenti. Sono giovanissimi di scuole di periferia che arrancano nel chiuso di aule scolastiche ammuffite per il troppo disinteresse dei molti, ma a cui basta la scintilla che sa accendere un giovane insegnante per farne emergere mille potenzialità.
Non ci sono giovani bulli da salvare (l’insegnante-scrittore ne ha incontrati solo due nella sua lunga vita di precario e neppure nelle sue classi) ma ragazzi normali da trainare fuori dalle secche di una vita scolastica costruita sul voto, sulla disciplina, sui ruoli (da una parte gli studenti, dall’altra parte della barricata i ragazzi).
Nella scuola del Professor Sbaraglia, le lezioni si fanno a porte aperte, chi vuole ascolta, chi non è interessato può uscire. Le interrogazioni sono concordate, le discussioni di gruppo sempre possibili anche se il programma ministeriale imporrebbe Platone o Seneca. Ci sono anche le cene in pizzeria, le serate in discoteca, le gita al mare per festeggiare la fine di un anno scolastico o la conclusione di una supplenza. E c’è l’attualità: si parla di Obama, delle manifestazioni studentesche, di droga e di procreazione assistita, di immigrati. Una scuola da sogno? No, una scuola possibile.
Scritto per i teenager, il libro di Emiliano Sbaraglia parla in realtà agli adulti e riscatta una professione svalutata da chi giorno dopo giorno ne sta minando le fondamenta.
Il romanzo-reportage contraddice la sua citazione iniziale (“la scuola italiana è morta di rimpianto, nella disillusione dei sogni di chi, almeno per un giorno, ci aveva creduto”, di Lea Reverberi, docente delle scuole medie della provincia di Napoli). Sbaraglia mostra che un’altra scuola è possibile e soprattutto che insegnare è un bel “mestiere”, non per lo stipendio, né per i tempi che comunque sono fitti di impegni, ma perché consente una relazione viva con i giovani. Non c’è solo l’insegnante che dà, ma ci sono loro, gli studenti, che ricambiano con doni insperati.
Vichi De Marchi
(da LiBeR 84)
