“Ammazzano la gente, dove abito io. Ti sparano così, senza motivo. Non ti scansi e sei morto. È successo a mio fratello Jason. Aveva sette anni.” Inizia così il romanzo scelto con felice intuizione dalla Giannino Stoppani per esordire nella narrativa. È un romanzo americano, il primo tradotto in Italia di un’autrice che negli Stati Uniti ne ha già pubblicati cinque, premiata nel 1998 con il Coretta Scott King Award. La vicenda si ambienta in una cittadina degli Stati Uniti, in un qualunque ghetto nero, ed é narrata in prima persona da un ragazzo che aveva 11 anni quando gli uccisero, per caso, il fratello: da quel giorno la sua famiglia felice si è trovata a fare i conti con una ferita inguaribile. La vicenda ci cattura con le piccole cose quotidiane, la vita del quartiere. Assistiamo ad altre morti, vediamo il padre alla ricerca di una strategia per salvare il figlio che gli è rimasto, sentiamo come i suoi pensieri prendano strade diverse da quelli di sua moglie. Finché la mamma si lascia convincere a prendere una vacanza e il padre porta il figlio e il suo più caro amico al campeggio, per insegnare loro a vivere. I due hanno 13 anni. Poi, dopo qualche giorno, il padre sparisce: é il suo piano segreto, è convinto che soltanto così i ragazzi impareranno a cavarsela, si faranno la pelle dura per sopravvivere in un mondo violento e infame. I due incapperanno in varie disavventure: la fame, le aggressioni, le malattie... Non troveranno più una casa ad attenderli. Il padre si rende conto di aver sbagliato. In un drammatico chiarimento finale dice al figlio “volevo che diventassi un duro”, “volevo che diventassi come loro”. Ma il figlio non voleva diventare come quelli che gli hanno ammazzato il fratello. Il suo sogno era un altro. E ora lo ha dipinto in un grande affresco, mettendo a frutto un talento che gli dà da vivere. È un’Ultima Cena: sotto il melo davanti alla loro casa, è in corso una grande festa del quartiere; suo padre ha ancora il fratellino sulle ginocchia, ci sono i parenti, gli amici, i ragazzi uccisi. E i ragazzi lasciano cadere a terra coltelli e pistole, pallottole e mazze da baseball: “Le loro labbra sorridono perché hanno capito che uccidere non è il solo modo di vivere.” È il figlio a trovare la risposta che i genitori hanno cercato invano: c’è un modo, per salvare il mondo. Basta saperlo riconoscere.
T. Buongiorno (da LiBeR 71)