Viola non è rossa
Lorenza Farina; ill. di M. Marcolin
Kite, 2008, p. 32
€ 15,00; Età: da 8 anni
Un tema apparentemente lontano dalla nostra contemporaneità, un albo dall’aspetto stratificato e cangiante come l’anima infantile: “timidezza” come fossile alieno di un mondo altro, dove i bambini non sono OGM da crescere a velocità massima e dove è ancora dato loro di vivere incertezze, inibizioni e paure.
Viola non è rossa, il picturebook da poco edito da Kite, testa (testo) di Lorenza Farina e corpo (illustrazioni) di Marina Marcolin è un omaggio esplicito “ai piccoli e ai grandi timidi” e a quegli stati d’animo che tante, tanti di noi hanno probabilmente conosciuto e superato (o rimosso), ma che è certamente salutare ricordare insieme a lettori e lettrici più piccoli. Tutto questo in una storia semplice, narrazione lineare in cui lo spunto della timidezza è tramite per agganciare la trama pulsante e spesso insostenibile delle emozioni che è possibile provare a sei anni. È questa, infatti, l’età di Viola, soggettività implume che cerca vie d’accesso a se stessa e al mondo. Un io che si definisce per attrito. Far uscire il suono del proprio nome davanti alla classe, alzare la mano per rispondere a una domanda dell’insegnante, tornare al banco senza inciampare negli zaini dei compagni: sono tutte imprese smisurate per Viola, impossibili da affrontare senza che il rosso si impossessi impietosamente delle sue guance e senza che qualcosa di lei “la tradisca”. Ecco i delicati scenari emotivi che il testo sa ben condensare, grazie anche a una sapiente teoria di similitudini straordinariamente potenziate dalle creazioni visionarie di Marina Marcolin. E dove l’associazione tra l’essere timidi e l’arrossire su cui gioca il titolo non è certo nuova, Farina sa però cogliere, con una intuizione basica, ciò che Montague avrebbe definito lo straordinario mistero della pelle e il suo linguaggio. Se infine ci chiediamo il perché della timidezza di Viola, infinite potrebbero essere le risposte, specialistiche e non. Come recitava un frammento della notissima poesia di Dorothy Law Nolte, “se i bambini vivono con il ridicolo imparano a essere timidi”. Qui il testo allude solo brevemente a una mamma che, “come al solito” non ha tempo (non sarà il caso di aiutarci un po’ a ritrovarlo visto che tutto, specialmente in Italia, congiura contro di noi?), nonché ai compagni, splendidi schizzi a matita sospesi tra realtà e percezione interiore, non sempre attenti a chi non appare uguale. Soltanto l’arrivo di Nerina, una nuova compagna che viene da un paese lontano e che, per continuare il gioco pelle-nome, invece di arrossire impallidisce, porterà a Viola il senso di una affinità e di una solidarietà condivisa. Insieme, Viola e Nerina, piccole camaleontiche Zelig, a mo’ del bellissimo animale che emerge dal raffinato croquelet di copertina, potranno sperimentare l’enorme ricchezza di questa innominabile malattia chiamata un tempo “timidezza”. Quella paura di essere visti, che è anche capacità di osservare, quella solitudine “nell’allegro frastuono” della classe, che è anche sapere stare dentro di sé prima di uscire fuori.
Maria Grosso
(da LiBeR 81)