Nicola Cinquetti, docente e scrittore, nel 1999 si laurea in pedagogia a Verona con una tesi dal titolo Motivi pedagogici nella narrativa di Donatella Ziliotto: identità personale e diversità. E' l’incontro di due grandi firme, materia troppo ghiotta per non approfondire: Paola Vassalli ha rivolto a Cinquetti alcune domande.
Nicola Cinquetti insegna storia e filosofia in un liceo di Verona e vive in un paesino sulla riva dell’Adige. Sarà per questo che la sua scrittura, in prosa e poesia, profuma sempre come una brezza d’autunno, leggera ma pungente. Una scrittura alta e accurata: ricca di immagini poetiche, non rinuncia ai toni minimali, quasi quotidiani, e cattura il lettore con una intensità lieve. Il primo libro, Eroi, re, regine a altre rime esce nel 1997 per le Nuove edizioni romane. Da allora pubblica oltre cinquanta titoli con diverse case editrici, da segnalare per Bompiani del 2020 il giro del ’44. Riceve i più importanti premi e riconoscimenti: due volte finalista al premio Strega Ragazzi e Ragazzi, vince fa gli altri il premio Cento e il premio Campiello Junior. Nel 2020 riceve il premio Andersen come miglior scrittore italiano. Il suo ultimo romanzo, L’estate balena del 2023 per i tipi di Bompiani, è nominato libro dell’anno dalla rivista Liber.
Professore, perché agli esordi di una brillante attività di scrittura dedica la sua tesi di laurea all’autrice triestina?
Quella in pedagogia è stata la mia seconda laurea. In precedenza mi ero laureato in filosofia, a Padova. Ma in quegli anni avevo anche cominciato a coltivare la passione per la letteratura per ragazzi, prima come lettore e poi come scrittore, e avevo letto diversi libri di Donatella Ziliotto, autrice che amavo per molte ragioni: la libertà di pensiero, la sensibilità per il mondo infantile, l’ironia, l’intelligenza, la cura linguistica, lo spessore culturale… Il mio desiderio, insomma, era quello di dedicare la tesi di laurea a un’autrice a me cara, sapendo che in questo modo avrei condotto il lavoro con lo slancio di chi è mosso da un interesse profondo. Non solo: avendo già cominciato a scrivere i miei primi libri per ragazzi, sapevo che l’immersione nella narrativa di Donatella sarebbe stata un’occasione preziosa, per me, per riflettere sulla scrittura e trarne insegnamento. Come in effetti è avvenuto.
La sua ricerca vede protagonista una scrittrice che è stata una bambina libera e autonoma. Quale ritratto traccerebbe oggi di questa grande intellettuale, vero spartiacque dell’editoria per l’infanzia nell’Italia del secondo dopoguerra?
Certamente, il lavoro di Donatella Ziliotto è di fondamentale importanza per la storia dell’editoria italiana. Basti pensare alle maggiori collane che ha diretto: il “Martin Pescatore” di Vallecchi, alla fine degli anni Cinquanta, dove sono state pubblicate per la prima volta in Italia scrittrici del valore di Astrid Lindgren e Tove Jansson; e gli “Istrici” di Salani, trent’anni più tardi, insuperata collana che si apriva, tanto per gradire, con il GGG e Le streghe di Roald Dahl. Sul piano editoriale, come tutti ormai riconoscono, il contributo di Donatella è stato rivoluzionario, nel senso che ha rovesciato antichi schemi, ormai logori e sterili, di natura letteraria e pedagogica. E il bello è che all’origine di questa sua azione non c’è stata nessuna particolare propensione polemica o ribellistica. Semplicemente, Donatella si è fidata della propria capacità di osservare l’infanzia con uno sguardo libero e attento, che le ha permesso di scegliere storie cariche di verità, senza curarsi delle istanze ideologiche del mondo adulto.
Lei indaga il processo di costruzione dell’identità personale nei libri di Donatella, mettendo al centro la relazione tra il testo e il lettore. Come riesce in questa impresa?
Donatella è una scrittrice limpida, asciutta e perfino disincantata, nella rappresentazione dell’infanzia, allergica ai sentimentalismi e alla retorica delle emozioni tanto rimestata ai nostri giorni. Eppure, la lucidità e la precisione con cui delinea i protagonisti delle sue storie si accompagnano sempre con una profonda benevolenza, che l’autrice nutre nei confronti dei suoi personaggi. Ne derivano ritratti di bambine e bambini autentici, e nello stesso tempo amabili, nei quali i giovani lettori si possono immedesimare anche quando non esibiscono nulla di eroico o di speciale. E questo rispecchiamento non può che essere benefico, per chi sta cercando la propria identità.
L’attenzione di Donatella - lei dice - si posa su quelle bambine e quei bambini di carta che, nel cercare la propria identità, si sono scontrati con le aspettative, le pressioni, le proiezioni di un mondo adulto spesso invadente e irrispettoso. Pensa che oggi a distanza di oltre venti anni le cose siano cambiate, nel “mondo di carta” e nella realtà.
La domanda è tanto urgente quanto difficile, almeno per me. Da una parte ho la certezza che le cose sono cambiate, e me ne accorgo anche nella mia esperienza di insegnante, d’altra parte non ho le idee chiare sulla natura e sulla portata di questo cambiamento.
La mia impressione è che le aspettative e le pressioni sul mondo dell’infanzia siano diventate ancora più pesanti e invasive, e che il sacrificio più deleterio imposto ai bambini in questi anni sia stato quello della libertà, intesa come possibilità di esistere e di sperimentarsi al di fuori dello sguardo degli adulti.
Per quanto riguarda “il mondo di carta”, noto per esempio il fiorire di libri che ripetono al piccolo lettore il mantra così di moda: “Tu sei speciale!”. Un’affermazione che a ben vedere sottende un imperativo (“Tu devi essere speciale!”), e carica di nuovo di aspettative il povero lettore, che magari sperava semplicemente che dentro quel libro qualcuno gli raccontasse una storia.
La qualità e l’originalità del linguaggio di Donatella sono costanti della sua scrittura. La sua cifra è la libertà e l’ironia. In particolare la libertà di non “adattare”. Può chiarirci questo concetto?
Dice Donatella in un’intervista che i suoi libri possono forse risultare troppo difficili per i bambini, proprio perché lei non si preoccupa di adattare il linguaggio ai lettori. In questa sua scelta io colgo una profonda fiducia nell’intelligenza dei bambini e nella loro curiosità, così come colgo uno stimolo alla crescita. Del resto, se guardiamo agli adulti presenti nei libri di Donatella come educatori e insegnanti fecondi (penso al padre, che durante i bombardamenti porta la bambina al cimitero e le illustra l’estetica degli angeli scolpiti, o alla professoressa Rita, che ai suoi alunni di scuola media legge solo Dante e Leopardi, e di Dante “solo i diavoli”), possiamo ben dire che nessuno di loro si preoccupa di abbassare il livello del discorso per renderlo adatto ai bambini. La richiesta, piuttosto, va nel senso contrario: che siano i bambini a farsi alti.
«Alcuni artisti - dice Donatella - sanno che la situazione bambina è preziosa, insostituibile, magica… e non di rado accade che per questo diventano scrittori per bambini». Cosa pensa lei a riguardo?
Penso che Donatella sia un’artista della parola e della narrazione. E che il segreto di tanta felicità di invenzione e di immaginazione sia da ricercare anzitutto nella sua infanzia di piume e di piombo, così ricca di esperienze, di relazioni e di cultura. E penso anche che scrivere per bambini sia un modo per vendicarsi contro quella legge del tempo che d’un tratto mette fine all’infanzia: chi scrive per bambini, grazie alle storie e ai personaggi che si inventa, ha il privilegio di tornare a vivere l’infanzia, anche se può farlo solo in modo immaginario, che è come dire per finta
Paola Vassalli - Saggista e curatrice, si occupa di visivo e letteratura per ragazzi dagli anni Ottanta. Pubblicazioni recenti: ABC delle figure nei libri per ragazzi (Donzelli 2023) e Illustrare il tempo. Roberto Innocenti (Sillabe 2024).