Alice Bigli e Matteo Biagi hanno intervistato Antonia Murgo, autrice del romanzo Miss Dicembre e il clan di Luna (Bompiani) vincitore del Premio LiBeR come miglior libro del 2022 secondo la giuria degli esperti. Antonia Murgo ha raccontato come nasce il gioco della sua scrittura e quali sono i suoi autori più amati.
Quello che colpisce, nella tua storia, oltre alla qualità della scrittura, è l’immaginario: molto spesso nel fantastico si ricorre a dei clichés: qui invece c’è una solida conoscenza del canone della letteratura per l’infanzia, che ha lasciato radici nel tuo immaginario e che tu utilizzi, sovvertendolo un po’, per creare qualcosa di nuovo.
Sì, sono stata consapevole dei miei punti di riferimento, che senz’altro hanno avuto a che fare con i miei gusti di lettrice e fruitrice di letteratura per ragazzi. Io da bambina non leggevo tanto, perché non avevo trovato i libri giusti, che mi appassionassero; guardavo tanti cartoni animati e tanti film di animazione, soprattutto di genere fantastico. Quando poi ho iniziato a leggere, a undici-dodici anni, ho trovato la mia “comfort zone” nei libri fantastici e nei libri storici, che per me sono vicini ai primi perché il passato è qualcosa di magico, di intangibile.
Inoltre c’è un libro che consigliano sempre a chi inizia a cimentarsi con il disegno, che è Disegnare con la parte destra del cervello, che è la parte creativa, mentre invece la scrittura viene sempre associata alla parte sinistra, quella razionale, legata al linguaggio. Invece a me, almeno all’inizio, piace scrivere con la parte destra del cervello. Per me è una sorta di gioco, scrivo come si disegna: faccio prima gli sketch, cioè scrivo delle frasi anche brutte, anche sgrammaticate, concentrandomi magari solo su alcune parole, o sui personaggi, o sugli ambienti; poi, come nel disegno si calcherebbe con una mina più spessa, vado a cercare un senso a quelle frasi, a quella storia. A quel punto davvero subentra la parte razionale, perché la storia deve andare da qualche parte; questo l’ho imparato sui banchi di scuola, non attraverso l’imposizione di regole di scrittura, ma attraverso delle tecniche che mi sono state messe a disposizione come strumenti.
Qual è stata la prima immagine di questo libro?
La prima immagine di questo libro è stata un’allucinazione. Io vengo da Manfredonia, in Puglia, dove i tetti sono squadrati, non si vedono i comignoli, e siccome non fa mai molto freddo non si vede mai nemmeno troppo fumo. Quando mi sono trasferita a Torino, sono rimasta davvero colpita dai tetti spioventi, che lasciano intravedere le tegole macchiate dal fumo, e il fumo spesso intorno ai comignoli. Un giorno, camminando, mi è davvero sembrato, per un attimo, di vedere una testa scompigliata di bambino uscire da un comignolo. Quei pochi secondi di “visione” mi hanno incuriosita, e mi hanno spinto a chiedermi chi fosse quel bambino.
A partire da quell’immagine come si è sviluppato il lavoro di scrittura?
In questo caso c’è da dire che i personaggi sono pochi, e che la storia è stata scritta quasi completamente durante i lockdown. La mia idea era quella di scrivere una storia che fosse tutta circoscritta in un unico luogo, quindi ho immaginato una casa intorno a cui ruotasse tutto. I profili dei personaggi che ho creato sono poi finiti nella parte finale del libro. Per quanto riguarda la scrittura, io ancora sto cercando il mio metodo. Quindi l’approccio all’inizio è stato un po’ spontaneo: ho indossato il cappello di Dicembre - perché la storia, anche se scritta in terza persona, è dal suo punto di vista - e sono entrata in casa dell’Uomo Nero, per non uscirne più. I primi capitoli, che sono quelli legati all’esplorazione della casa, sono stati per me anche quelli dell’esplorazione della storia: attraverso la protagonista ho cominciato davvero a conoscere gli altri personaggi e gli ambienti, ad attraversarli per capire poi come muovere le pedine nella parte successiva. Dopodiché mi sono fermata e, in corrispondenza della notte decisiva per il rovesciamento degli eventi, ho fatto una vera e propria scaletta. Le scene che poi ogni giorno scrivevo però non erano in sequenza, ma erano più legate all’umore del giorno: un giorno ero più da scena di azione, un altro più da dialogo divertente… così ne è uscita una sorta di scrittura a puzzle. Di fatto per me la scrittura è sempre una sorta di gioco.
Tantissimi elementi del libro rivelano una grande consapevolezza, pensiamo all’incipit così potente.
L’incipit è sempre stato molto importante per me; ricordo che quando scrivevo i temi, a scuola, vedevo gli altri che iniziavano subito a scrivere, mentre io mi ritrovavo a fissare il foglio per molto tempo. Quindi, anche in Miss Dicembre, volevo che avesse il tono giusto, che consentisse di entrare da subito in empatia con la protagonista. Ho avuto bisogno del giusto tempo, ma è stato quello fin da subito; l’unico elemento che è cambiato, nel corso della storia, è l’elenco dei luoghi in cui Dicembre ricorda di aver visto dei bambini: all’inizio erano luoghi più convenzionali, poi, con l’evolversi della storia, sono diventati più folli.
Miss Dicembre esiste anche in audiolibro, letto proprio da te. Questo non stupisce, perché già dalla prima lettura si percepisce come un libro molto sonoro, adatto alla lettura ad alta voce
Io mi sono sempre percepita come una lettrice strana, punk: lascio i libri a metà, li rileggo tantissime volte, qualche volta vado direttamente al finale. Un altro mio “difetto” è che leggo ad alta voce: per entrare profondamente dentro la storia e scacciare definitivamente tutti i pensieri devo leggere ad alta voce, bisbigliando. Quando ero piccola, i miei genitori entravano in camera incuriositi da ciò che sentivano e mi sorprendevano a raccontarmi le favole da sola. Mi piace raccontarmi le storie in questo modo, perché bisbigliando io posso assaporare meglio la musica della lettura. Ad esempio, io impazzisco per le allitterazioni e sono una grande fan di Lemony Snicket. Il fatto di essere una “lettrice bisbigliante” fa sì che da scrittrice, quando scrivo una frase, la rilegga sempre in quel modo, per vedere se funziona. Possiamo dire che anche questa storia io me la sia raccontata ad alta voce.
Realizzare in prima persona l’audiolibro è stata una sfida che ho accettato perché sono una fan del doppiaggio; non riesco a riascoltarmi, però, e ho scoperto che ci sono moltissime parole difficili da leggere. Se scriverò un altro libro, ad esempio, bandirò la parola “tintinnare”!
La terza persona non è la scelta più frequente nella letteratura per ragazzi, perché si ritiene di solito che la prima persona consenta di più l'immedesimazione, ma spesso è più connessa con la lettura ad alta voce. Trovi anche tu che ci sia questa connessione?
Come ho già detto, Lemony Snicket è uno dei miei autori preferiti. Anche in questo è stato un modello, per la sua capacità di ergersi a narratore esterno, che non dà giudizi, non partecipa alla storia ma tu lo senti che c’è, che si sta divertendo a osservare quello che accade, anche in maniera un po’ sadica. Come lui, ho cercato di essere un po’ un narratore in disparte.
I personaggi della tua storia hanno nomi molto particolari. Come nascono i nomi per te? Sono arrivati insieme al personaggio o c’è stato un lavoro di ricerca?
Per me i nomi sono importantissimi, perché io faccio parte della generazione Harry Potter. Dopo il 1990 è impossibile non dare importanza ai nomi. Ora, non è che io abbia voluto fare come J.K. Rowling, con il meccanismo del nomen omen, ma mi piaceva l’idea di dare originalità e coerenza interna alla storia. I nomi sono particolari perché lo è la storia, e volevo che il lettore ricevesse un po’ questo messaggio, di spingersi un po’ oltre la realtà, in un mondo un po’ fantastico. Solo Dicembre è nata con il suo nome ed è rimasta tale. Mi sono anche opposta alla richiesta di cambiarle il nome, perché il personaggio apparirà come lo desideri solo se lo chiami con il nome giusto, un po’ come Scrooge nel film che racconta la vita di Dickens. Per tutti gli altri ci ho messo un po’. Quando l’ho scritta di getto, ad esempio, Mr. Moonro si chiamava Mr. Sullivan. I nomi alludono un po’ al mondo anglosassone perché volevo che la storia, anche se non collocata in un luogo preciso, evocasse l’Europa del Nord. In generale, comunque, la scelta dei nomi dei personaggi è legata al tema del buio e della notte. I cattivi hanno nomi che ricordano il giorno perché sono accecati dal loro ideale sbagliato; l’unico nome estraneo a questo gioco è Miss Malhoney, ma l’”honey” del suo nome è destinato a legarsi a “Moon” in “honeymoon”, perché i personaggi si ameranno.
Hai già nominato Lemony Snicket e Dickens; quali sono gli autori del “canone” di Antonia Murgo, oltre a loro?
Una scrittrice che amo è Diana Wynne Jones, l’autrice de “Il castello errante di Howl”. Amo quella trilogia ma ancora di più quella dei Chrestomanci, il cui protagonista è Christopher, un mago molto alto ed elegante, a cui forse Mr. Moonro deve qualcosa. Di lei amo l’immaginazione sovversiva: nel suo immaginario ci sono gli elementi del folklore, che lei però rende personali, riuscendo ad armonizzare tutto in un modo che è solo suo. Per lo stesso motivo amo Neil Gaiman, per il pensiero fuori dagli schemi che mi affascina molto. Entrambi attingono al folklore per creare altro folklore. Un’altra autrice che apprezzo molto è Catherynne M. Valente, molto apprezzata all’estero: la sua saga Fairyland si è fermata al secondo volume, in Italia. E chissà quante e quanti me ne sto dimenticando.
Cosa possiamo aspettarci, in futuro, da Antonia Murgo?
Avventure fantastiche, questo posso promettere, perché di queste non mi stancherò mai. Dopo il primo libro legato al lockdown, adesso che possiamo di nuovo viaggiare lo farò anche con le mie storie, in altri mondi.