Guido Sgardoli
Giunti, 2008, p. 448
(Extra)
€ 13,90 ; Età: 11-14
Sgardoli, veterinario di San Donà di Piave, malgrado i suoi 44 anni è un nome nuovo della letteratura per ragazzi da tenere d’occhio, un autore con idee e storie nuove in testa, non banali o corrive, con una intensità e cura di scrittura non comuni. Come ha già mostrato in opere fantastico-grottesco-comiche (Il grande libro degli Sgnuk) o in altre civilmente ed eticamente più impegnate (Il soldato Kaspar).
Adesso inventa un lungo racconto su basi saldamente storiche, ma con le necessarie licenze narrative che fanno un buon romanzo, soprattutto quando, come in questo caso, le convenzioni del feuilleton (bambino abbandonato in orfanotrofio perché frutto di peccato d’amore, fanciulla peccatrice cacciata da casa, il principe azzurro, agnizione e ricongiungimento madre-figlio, ecc.) si incontrano con i topoi della letteratura per l’infanzia (l’orfanello debole con una gamba un po’ deforme, ma simpatico e indomito come Pinocchio, il ladruncolo Lestamano novello generoso Lucignolo ma non Franti, la banda dei barboni dal cuore d’oro con finale da “arrivano i nostri”, i cattivi sfruttatori di bambini alla Dickens, suore che vegliano come angeli custodi, ecc.).
Il tutto a partire dall’istituzione nel 1807 della “Ruota per il ricevimento degli esposti” (neonati abbandonati) nello Spedale di Santa Maria della Pietà sorto nel 1346 a Venezia. Nel 1891 – e qui scatta l’invenzione, ma sempre sulla base di ricerche d’archivio dell’autore – nella Ruota viene lasciato un fanciullo, Eligio S., con una mezza medaglietta per favorire l’eventuale, possibile riunione con la madre legittima in possesso dell’altra metà (il cosiddetto “segnale”). La storia terminerà – felicemente, è bene dirlo – nel 1951, con la chiusura dello Spedale della Pietà, che tanto bene aveva operato, ma con l’apertura di un nuovo casale in terraferma destinato a bambini senza casa, grazie a Eligio, che ora ha un cognome completo, una famiglia, mezzi economici e che chiamerà accanto a sé per aiutarlo nell’impresa la vecchia orfanella Rosapineta che per lui era stata una sorella maggiore, quasi una madre. Fra l’inizio e la fine della vicenda più che mai avventurosa e coinvolgente il lettore viene a contatto con una Venezia di fine Ottocento-metà Novecento: la miseria, lo sfruttamento dei minori nelle fabbriche, i primi tentativi di sindacalismo femminile, l’opera veramente pia di istituzioni e persone religiose.
Fernando Rotondo
(da LiBeR 80)