Io sono Papà Schnapp e queste sono le controstorie che preferisco
Tomi Ungerer;
trad. di F. Peltenburg-Brechneff
Clichy, 2018, 30 p.
(Carrousel)
€ 17,00 ; Età: da 5 anni
Controstorie. Questa parola, che compare già nel titolo del libro di Tomi Ungerer, è la chiave della magnifica parabola di questo grandissimo artista.
Io sono Papà Schnapp e queste sono le controstorie che preferisco è un libro che era già stato uscito in Italia, da due editori e con due diverse traduzioni, e con questa pubblicazione siamo alla terza. La prima vide la luce nel 1973, poi dovettero passare altri 25 anni, siamo al 2008, per un ritorno sugli scaffali delle librerie, che vide però sparire dal titolo le “controstrorie” e apparire le “stranestorie”. Fortunatamente abbiamo dovuto attendere solo dieci anni, per il ritorno delle controstorie. Una scelta felice, sia la ripubblicazione che la collocazione tra le storie contro, perché in realtà tutti i lavori di Tomi Ungerer non sono che questo. Forse è più rassicurante per noi adulti etichettare qualcosa con la parola strano, mentre qualcosa che è contro richiede un ragionamento, presuppone una presa di posizione, è un’assunzione di responsabilità senza deleghe. Il piccolo Arturo Tropper, uno dei protagonisti di queste controstorie, dopo una lite furibonda con i genitori, non sta mica lì a perder tempo, se ne va di casa, portandosi dietro la vasca da bagno, e quel che combinerà dopo è una controstoria per eccellenza che ricorda la fionda di un piccolo Davide. Le storie di Papà Schnapp sono brevi ma divertiranno i piccoli lettori che sapranno cogliere l’ironia nei ritratti dei protagonisti e nelle loro felici e inconcludenti disavventure. Tomi Ungerer ha da sempre utilizzato la satira per leggere e ritrarre la realtà, una satira robusta di riferimenti classici, di omaggi ai grandi autori che hanno ritratto questa nostra fragile umanità mettendo in mostra difetti e storture, non per il gusto della derisione, ma piuttosto per mostrarne i limiti, perché solo una frequentazione dei propri limiti aiuta a riconoscere e comprendere anche quelli degli altri. “In generale la presa in giro è una forma di cattiveria... Tuttavia per amore di equilibrio mi piace anche prendere in giro me stesso, quello che sono e quello che faccio. In fin dei conti siamo tutti la caricatura di noi stessi”, così scriveva Ungerer, che da sempre ci insegna a ridere per saper innanzi tutto ridere di sé.
Agata Diakoviez
(da LiBeR 122)