Randa Abdel-Fattah, trad. di A. Orcese
Mondadori Junior, 2008, p. 368
(Gaia junior)
€ 9,00 ; Età: da 13 anni
Sono musulmana è il romanzo di Randa Abdel-Fattah, scrittrice esordiente dal sorriso ironico, lunghi capelli neri e un mix di identità. Mamma palestinese, papà egiziano, una vita passata in Australia, un lavoro da avvocato e una voglia di raccontare, vestendo i panni di un’adolescente, il lungo percorso verso la conquista di un’identità capace di integrare mondi diversi nel segno della libertà. Ma quale libertà?
Il racconto si apre sulla giovanissima protagonista Amal che sgambetta su un tapis roulant piazzato nel salotto di casa, giusto di fronte alla tele accesa sui volti di “Friends”.
Amal, come moltissime adolescenti, indossa pantaloncini Adidas e maglietta con Winnie the Pooh, sorta di divisa generazionale capace di unire continenti, travalicare oceani, cancellare individualità. Ad Amal basta però uno sguardo al piccolo schermo invaso dal buffo vestito della protagonista di Friends per essere “folgorata”. Decide che d’ora in poi vestirà il hijab, il velo islamico che copre la testa. Non ci sono famiglie oppressive a imporlo, codici sociali a suggerirlo, uomini in attesa a richiederlo. Vi è, invece, una scelta libera, quasi una ribellione adolescenziale, fatta persino forzando la mano a genitori titubanti e ben integrati, professionisti affermati in terra australiana.
Parte da qui il lungo racconto di un’adolescenza che non rinuncia ai codici e ai comportamenti della propria età ma che affronta con coraggio il faticoso cammino della ricerca di sé.
Nella vita di Amal ci sono le amiche, le cotte, le feste, i messaggini virtuali con parole zeppe di KKK e faccine sorridenti, ma anche le preghiere mattutine, i lunghi giorni di digiuno del Ramadam, la paura dell’isolamento per quel copricapo che denuncia una provenienza e un’appartenenza talvolta scomode.
E tuttavia la giovane autrice non cade nella trappola di descrivere un modo idilliaco dove la conciliazione di mondi e codici diversi è facile e indolore.
La storia di Amal si intreccia, volutamente, a quella dell’amica Laila, comuni radici musulmane ma famiglie contrapposte e destini diversi. Se la prima vive il hijab come una scelta, la seconda lo subisce.
Un discorso sulla libertà al femminile che travalica i simboli esteriori, ma anche uno sguardo complice sull’energia creatrice dell’adolescenza, capace di tradurre la triplice identità australiana-palestinese-musulmana nell’affermazione senza aggettivi “io sono”.
Vichi De Marchi
(da LiBeR 80)