Quando si parla di disabilità è importante parlare ai ragazzi di crudeltà e di conformismo, ma anche condividere ironia e risate: a raccontarlo è Sharon M. Draper, autrice del romanzo Melody, vincitore del premio LiBeR per il miglior romanzo del 2015, in questa intervista raccolta da Federica Velonà.
Scritto in prima persona, Melody di Sharon M. Draper (Feltrinelli, 2016) racconta cosa vuol dire avere undici anni, essere affetti da tetrapalgia spastica, poter usare solo i pollici e avere un disperato bisogno di comunicare. Fino a quando Melody non scopre, attraverso un computer, che può dimostrare a tutti non solo la sua proprietà di linguaggio, ma anche l’enorme massa di nozioni che si affollano nella sua testa, la ragazzina è costretta a subire di volta in volta sguardi compassionevoli o parole malevole di dottori, compagni di classe e insegnanti, convinti che lei non capisca niente. Per fortuna ci sono i suoi genitori che credono in lei, le parlano, le fanno ascoltare musica, e per fortuna c’è la vicina di casa, Mrs V, infermiera come sua madre e decisa ad aiutare Melody a uscire dall’isolamento a cui sembra condannata. Sharon M. Draper riversa la sua esperienza di madre di una figlia disabile in un libro pieno di suspense e umorismo: il lettore è con Melody, con la sua battaglia per accedere all’istruzione e avere delle amiche; trema di fronte ai colpi che le vengono inferti e sorride per la scelta delle sue similitudini (“scivolo a terra come uno spaghetto scotto”). Dopo essere riuscita a entrare nella squadra di Whiz Kids, che sfiderà in tv gli alunni di un’altra scuola, Melody scopre che la visibilità mediatica da lei ottenuta ha indisposto i suoi compagni di classe; la sua sorellina esce di casa di soppiatto e lei non ha modo di avvertire la madre del pericolo: una vita durissima la sua, ma affrontata con enorme coraggio e voglia di farcela. A Sharon M. Draper abbiamo rivolto alcune domande, comunicandole la notizia che ha vinto il premio LiBeR per il miglior libro per ragazzi del 2015.
Melody si apre con la descrizione di uno stato di grandissimo disagio: una ragazzina molto intelligente non riesce a comunicare con il mondo esterno. È stata questa l’immagine da cui è partita per scrivere il libro?
Volevo colpire il lettore sin dalla prima pagina. E volevo focalizzare il libro sull’importanza delle parole e della lingua. Melody mostra a noi tutti che le parole sono il collante che ci tiene insieme.
Le parole dei suoi familiari e della vicina, la televisione, la musica, un cane, una studentessa che l’aiuta in classe: sono molti gli stimoli che aiutano Melody a uscire dal suo isolamento. La scuola non è tra questi, almeno all’inizio. C’è nel suo libro anche un intento di denuncia?
No, non avevo intenti di denuncia. Ho semplicemente provato a mostrare la realtà. Una bambina come Melody viene spesso isolata. Molte volte nessuno capisce che cosa si debba fare. Nessuno sa come aiutarla. Quindi un bambino molto dotato mentalmente si ritrova vittima di un corpo che non funziona come dovrebbe.
Un elemento fondamentale del libro è il senso dell’umorismo: riuscendo a scherzare sulla sua situazione, Melody si rafforza e il lettore si affeziona a lei...
Credo che lo humor ci aiuti nelle difficoltà. Il sense of humor di Melody ci aiuta a non ridere di lei, ma a sorridere con lei. Melody è come ogni altro essere umano, ha lo stesso bisogno di tutti di essere amata e di condividere una risata.
Lei ha scelto di raccontare la crudeltà e il conformismo dei coetanei di Melody. Come reagiscono i giovani lettori alla descrizione dei compagni di classe che prima emarginano Melody, poi la accettano in squadra, ma senza mai considerarla una di loro?
Gli studenti che hanno letto il libro in genere si arrabbiano per come Melody viene trattata dai suoi compagni di scuola. Non vogliono vedere la possibilità che loro stessi, in quelle circostanze, potrebbero comportarsi male come i ragazzi del libro. Gli esseri umani non sono sempre gentili, anche se ci piace considerarci brava gente. Siamo umani e facciamo errori.
La vita di Melody è contrassegnata anche dall’impossibilità di aiutare gli altri, di intervenire al momento del bisogno e a un certo punto la sua storia sfiora la tragedia. Quando si scrivono libri per ragazzi l’elemento lieto fine è obbligatorio?
A volte i lettori mi scrivono chiedendomi perché questo libro non ha un lieto fine. Non tutti i libri per bambini finiscono bene. Se Melody fosse una persona reale, non potrebbe migliorare. Non ci sarebbe per lei un’operazione chirurgica miracolosa che la renderebbe in grado di camminare e parlare. Così ho dato al libro un finale realistico ma non triste. Melody è orgogliosa di sé e di quanto ha conseguito. Ha trovato una voce e un mezzo per comunicare. Ha trovato un suo grado di felicità.
Lei è stata in Italia l’anno scorso a Bologna per la Fiera del libro per ragazzi e a Rimini per Un mare di libri. Che impressione le hanno fatto i giovani lettori italiani?
Oh, mi sono divertita tanto in Italia! Mi hanno colpito molto i lettori giovani e quelli adulti e gli organizzatori dei festival dei libri. Tanta attenzione alla letteratura dà grande speranza riguardo agli italiani e al futuro delle prossime generazioni. Quelli che leggono oggi saranno i leader e i pensatori di domani. E poi naturalmente il cibo e il vino sono stati i migliori che io abbia mai provato. Non scorderò mai queste esperienze. Sono così grata di aver avuto l’opportunità di partecipare ai festival.
Per chiudere: che lettrice è stata da bambina? Ha cominciato presto ad amare i libri? C’è una lettura in particolare che le è rimasta impressa dai primi anni di lettrice?
Da bambina sono stata una lettrice avida e andavo in biblioteca ogni settimana. Credo di aver letto un migliaio di libri prima di finire il liceo. Non ricordo di aver avuto un libro preferito ma ricordo il ritmo e la cadenza dei grandi scrittori. Dico ai giovani che per essere grandi scrittori devono essere prima essere lettori. Grazie, sono onorata e felice di ricevere il premio da LiBeR.
(da LiBeR 114)