Nell’intervista raccolta da Marnie Campagnaro, Beatrice Alemagna racconta I cinque malfatti, libro che è risultato vincitore del sondaggio di LiBeR sui migliori libri del 2014, che racconta la storia dell’incontro tra un “tipo perfetto” e cinque bizzarri amici.
Un albo singolare, anche nel gioco visivo di contrappunto che Beatrice Alemagna mette in scena nel far dialogare personaggi, oggetti e scenari dalle forme geometriche e regolari con altri decisamente più sproporzionati e sbilenchi. Un gioco percettivo che valorizza la trama narrativa e muove i pensieri dei giovani lettori.
La storia racconta un incontro, assai provocatorio, fra un “tipo perfetto” e cinque simpaticissimi amici, “i cinque malfatti” (uno bucato, uno piegato in due, uno molle, uno capovolto e il quinto… una catastrofe), che vivono serenamente in una grande casa sbilenca, un omaggio alla bizzarra e suggestiva villa di Santa Monica di Frank O' Gehry, interamente costruita con materiali di recupero e dai vetri sbilenchi. La storia prende il via proprio dall’incontro/scontro fra questo nuovo venuto, il tipo perfetto, e i cinque garbatissimi imperfetti amici.
“La fiaba è la prima consigliera dei bambini” suggeriva Walter Benjamin. Nel suo albo I cinque malfatti si ritrova una bizzarra e felice commistione con l’universo fiabico. Quale rapporto intrattiene con la tradizione fiabica?
Come si sa, ci sono due tipi di racconti: le fiabe e le favole . Mentre le prime hanno una funzione importantissima per veicolare dei messaggi, le seconde hanno origini antichissime (addirittura V-VI secolo a.C.) e hanno il solo scopo di divertire.
Io non amo i libri per bambini troppo morali, quelli che spiegano come fare e come farlo bene. Io amo pensare al bambino-lettore creatore della propria identità, delle proprie idee libere. Un bambino capace, grazie ai libri (e magari fosse anche grazie ai miei) di formarsi delle idee, di mettersi a riflettere, di farsi delle domande importanti. Non mi piacciono i libri che danno risposte pre-confezionate.
Un buon racconto per me è un genere che non porta il bambino in una direzione precisa, ma che lo accompagna verso idee che saranno sue, che svilupperà in autonomia, e non cullandolo con belle frasi e immagini unicamente positive, ma invece, proprio grazie ad un’iconografia diversa o inattesa, arrivando a scuoterlo, facendolo uscire dal torpore mentale che sta sempre lì in agguato, per tutti.
Quali sono i topoi fiabici che sollecitano maggiormente la sua vena narrativa e che l’aiutano a problematizzare e a interpretare la situazione esistenziale del bambino contemporaneo?
Non ho intenzione alcuna di interpretare la situazione esistenziale del bambino contemporaneo. Se riesco a farlo, posso considerarmi fortunata. Il mio obiettivo è la mia semplice espressione, la libertà di creare che voglio portare avanti, il desiderio di trasmettere fiducia e rispetto nel mondo, nel genere umano. Poi, volendo estrarre un tema ricorrente dai miei libri, la parola che ricorre più spesso è “differenza”.
Il tema del rovesciamento, così ben descritto da Bachtin, ritorna sovente nelle sue narrazioni visive ed è spesso accompagnato da una fiera accettazione della propria diversità, come per l’appunto ci raccontano i cinque protagonisti di questa storia. Questa centralità tematica ha origini autobiografiche?
Si, il rovesciamento mi appartiene. Ogni autore è dentro ai personaggi dei propri libri. Per dirla in breve, io sono tutti e cinque i personaggi dei Malfatti ma quello che ha dato vita a tutto il racconto è proprio il personaggio a testa in giù.
Pur nella ruvidezza della vita, i personaggi delle sue storie riescono a fiorire e a crescere rigogliosi. Molti protagonisti sono segnati da imperfezioni, errori, cicatrici eppure sono proprio queste ammaccature che rendono la loro vita un’esperienza che merita di essere vissuta. Quali sono i rimandi letterari o artistici che alimentano questa sua rappresentazione dell’esistenza umana?
Parlarne, mostrarne i dettagli, esplorarne gli aspetti, e riderne. Da qualche anno, sì, riderne.
Le sue storie donano ai bambini finali di grande speranza, ma si avverte fra le pieghe della storia una malinconica disillusione nei confronti degli adulti, sovente incapaci di cogliere i mondi interiori dei bambini. La costruzione del dialogo con il mondo dell’infanzia è davvero un’impresa così impervia?
No, assolutamente. Anzi, nonostante si tenda sempre a pensare al contrario, io credo che il ruolo dei libri in realtà sia proprio quello di accompagnare gli adulti nella comprensione dei bambini.
(da LiBeR 106)