Le storie che appassionano scrittori e lettori sono imprevedibili, originali, si compongono di parole “fumanti”: niente a che vedere con le storie in serie
di Antonio Ferrara
Non ci tengo proprio. Non voglio sapere in anticipo che sicuramente nella storia che sto leggendo l’eroe non morirà, perché se morisse la serie non potrebbe continuare.
Liberissimi di leggere le inchieste del commissario Maigret, ci mancherebbe, tutti liberi di leggere tutto. Simenon non era mica un fesso. Ma il Lettore Sgamato non lo freghi. Non troppo a lungo, almeno. Lui è esigente. Le mode alla lunga lo stufano. Vuole libri che scottano, lui, scritti con parole ancora fumanti. È esigente e assoluto come un adolescente, lui. Spesso è anche anagraficamente un adolescente. Non lo incanti con qualche mezzuccio di bassa lega, non gli puoi propinare qualche tonnellata di Geronimo Stilton con dentro un po’ di onomatopee scritte con grafica scadente uscita da Wordart di Windows.
Il Lettore Sgamato questo lo sa.
Lo Scrittore questo lo sa.
E lo Scrittore per Ragazzi questo dovrebbe saperlo ancora meglio.
Lo scrittore, come il ragazzo, ha bisogno di stare in un luogo dove le cose sono ancora informi, imprevedibili, dove tutto si prepara a essere. Perché intuisce che lì c’è una verità che dopo è andata perduta. Quindi torna al luogo d’origine, al luogo di speranza, di progetto. Non deve sapere troppo bene i suoi personaggi cosa combineranno. Non si divertirebbe. Almeno io, non mi divertirei. Io no. Anche Pinocchio era un racconto a puntate, ma è diventato grande solo quando è stato pubblicato tutto insieme. E adesso chi oserebbe continuare le avventure di Pinocchio? Basta, è perfetto così, non si può. Ve lo immaginate, voi, Il ritorno di Pinocchio? O Pinocchio 2: la vendetta, o Pinocchio colpisce ancora?
Niente da fare. Le storie seriali vanno bene per lettori che non vogliono essere inquietati, che leggono per non stupirsi, che vogliono andare a letto tranquilli la sera, che vogliono frequentare un personaggio di cui già sanno tutto dal volume precedente: come parla, cosa mangia, come guarda, cosa pensa, cosa dice e come si veste. Io no, io da lettore voglio un personaggio che mi sorprenda sempre, che mi chiami per nome, che mi dica sono come te, ragazzo, sveglia, siamo in due, nel mondo. In un libro ci si incontra tra due sconosciuti, credo, quello che scrive e quello che legge. Se uno dei due diventa troppo conosciuto il libro deve finire, allora, altrimenti l’incantesimo finirà e comincerà la routine. I libri devono essere unici, assoluti. La Metamorfosi. Il maestro e Margherita, Il giovane Holden. Ce lo vedete Il giovane Holden a puntate, con la supervisione di Baricco? Holden al mare. Oppure La settimana bianca di Holden. O, peggio ancora, Il mistero di Casa Holden.
I libri devono essere Speranza. Esperienza. Ricordo. La speranza di entrare in un mondo irripetibile, in cui vivere un’esperienza travolgente, che risuoni per sempre nella testa come un ricordo memorabile.
Non voglio storie di apprendisti stregoni tutti magie, bacchette magiche e superpoteri, roba che alimenta soltanto il desiderio di onnipotenza infantile. Roba magari scritta da un team di scrittori fantasma che prendono un certo numero di euro a pagina. Senza nessuna attenzione al linguaggio. Io voglio roba moderna, tosta, leggera e profonda, che faccia sospettare ogni ragazzo che ha già dentro di sé tutta la forza per farcela, nella vita. Si tratta solo di conoscersi meglio attraverso le parole. Imparando a usare le parole come competenza speciale, come strumento per nominare le emozioni, proprie e altrui. Come prolungamento del sentimento.
(da LiBeR 95)