Di qua dal paradiso (1920)
di Francis Scott Fitzgerald, 1896-1940
Scritto da un ventiquattrenne, il libro si prestò davvero a diventare il manifesto di quella generazione che, formata interamente dalle trincee sanguinose della Grande Guerra, viveva propriamente "di qua dal paradiso" perché aveva veduto subito scomparire i primi sogni, le prime estasi, le prime speranze. Il racconto, però, deve e può indirizzarsi agli adolescenti di oggi perché si collega, soprattutto, all'eterno tema adolescenziale delle illusioni perdute, della educazioni sentimentali, delle ultime lettere, del diavolo in corpo.
In una lettura attuale non si possono sprecare tutti i collegamenti che il libro richiede con la storia, con gli avvenimenti non solo americani, ma italiani e tedeschi in particolare. Perché è inevitabile pensare che si ritenessero "di qua dal paradiso" anche i legionari fiumani – molto fitzgeraldiani – di D'Annunzio, anche gli arditi di Piazza San Sepolcro, anche i ragazzi berlinesi che non videro in tempo l'uovo nel serpente e cominciarono a sfilare di nuovo con diverse camicie.
Il libro di Fitzgerald, fra i romanzi adatti per far nascere una lettura adolescenziale, trova però nella scrittura il suo momento più felice, perché lascia filtrare, in modo unitario, ansie e speranze, dubbi e amori, estasi e delusioni. Ben oltre la delicatezza poetica da cui è pervaso, si offre anche come un documento, come una prova speciale, e forse unica, di quella dimensione dell'esistere che gli adolescenti, oggi come allora, sentono propria davvero. Ritmi forsennati, pause non spiegabili, contraddizioni accettate e ribadite, clima di sospensione e di attesa: oggi più che mai ci si sente di qua dal paradiso.
Con Tenera è la notte, con Il grande Gatsby, con i racconti, si completa un tessuto letterario che, a soli 44 anni si interruppe in un certo inferno.
Il pittore di riferimento è Norman Rockwell (1894-1978)