Furore (1939)
di John Steinbeck, 1902-1968
Con la narrazione intensa e dolorosa del viaggio che porta la famiglia Joad dalla fame dell'Oklahoma alla speranza della California, Steinbeck ha volutamente creato un romanzo biblico, anche pensando che i fuggiaschi non troveranno l'Eden ma altra fame, ricatti, morti, ingiustizia.
Agli adolescenti di oggi che vivono una crisi spesso paragonata a quella del 1929, vissuta dai Joad, Furore può offrire i ritmi di un'incalzante avventura ma anche il senso profondo di una catastrofe che comincia nelle sale di contrattazione delle Borse e poi si spinge fino alle piccole vite dei contadini dell'Oklahoma. Il messaggio è chiaro, ma va ribadito in mezzo alla perdita di responsabilità, al narcisismo di massa, alle vite distratte e smarrite di tanti giovanissimi.
Amatissimo dai lettori di tutto il mondo, Furore fu spesso accusato dai critici di raccontare i Joad con eccessi di sentimentalismo via via ricorrenti. Nel contesto letterario attuale, questa interpretazione, di per sé assurda, non trova più alcuna ragione di esistere perché, purtroppo, ogni telegiornale ci mostra i nuovi Joad che arrivano a Lampedusa sulle carrette del mare.
Agli adolescenti, Furore chiede una assunzione di responsabilità, chiede una partecipazione vera ai fatti dell'esistenza, chiede di ridefinire un'ottica in cui l'osservazione vera dell'asprezza del vivere sia sempre presente, senza futilità, evasioni nell'effimero, notti del sabato sera, disimpegni vari. Il Grande Paese delle ricchezze infinite, il "Paese di Dio" dove tutti potevano arricchire, l'America dei nostri emigranti, ospitava anche la fuga disperata dei Joad che svelò altri scenari, raccontò storie diverse. Questa, di per sé, è una lezione.
Nel 1940, il grande John Ford ricavò dal libro il suo Furore, uno dei suoi film più belli, più degni di un'attenzione visiva che coglie i "grappoli dell'ira" nell'uso mirabile del chiaroscuro.
Il pittore di riferimento è Ben Shahn (1898-1969)