La Certosa di Parma (1839)
di Stendhal, pseud. di Henri Beyle, 1783-1842
Scritto solo in 52 giorni, ultimo ramanzo di Stendhal, La Certosa di Parma può parlare agli adolescenti di ogni tempo, prima di tutto per quel suo ritmo incalzante che trova in questo tipo di lettori i suoi primi e più veri interlocutori. Ma occorre segnalare come il giovane Fabrizio del Dongo non potrebbe avere il carattere e l'esistenza che possiede se la sua figura non si stagliasse nettamente sullo sfondo di Waterloo, ovvero del crepuscolo e della fine dell'era napoleonica.
Per una buona lettura occorre quindi incorniciarlo, sottraendo la corte parmense, la Sanseverina, la Certosa a quell'atmosfera di solitudine e di separatezza che Stendhal ha loro donato, per ricondurre tutto alla storia, perché solo così si intende che cosa ha davvero nell'animo il protagonista. È, per altro, proprio un romanzo di formazione, un testo in cui la bildung napoleonica di tanti giovani europei diventa assoluta, eterna, paradigmatica.
Occorre segnalare ai giovanissimi lettori che chi legge "dopo", ovvero da adulto, la Certosa, non può cogliere quel senso di vibrante e frenetica freschezza da cui è pervaso, perché, come ultimo libro di un genio, o meglio come ultima invenzione letteraria di uno scrittore finissimo (altri testi, non romanzi, uscirono postumi) la Certosa propone sogni, speranze, inganni, velleità, fallimenti di una generazione divenuta simbolica ma sempre presente nel nostro immaginario.
L'"italiano", anzi il "milanese" Stendhal, come amava definirsi, chiede poi che da Parma e dalla Sanseverina si esplori l'Italia degli staterelli, delle piccole gelosie all'ombra del campanile, delle mille separatezze, dei velati egoismi, delle piazze, delle pievi, dei chiostri, dei ribelli, della voglia di cambiamento, delle illusioni perdute.
Il pittore di riferimento è Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867)