Occhi nel buio (1986)
di Barbara Vine, 1930-
Il grande e dimenticato autore del più cupo e inquietante romanzo sulla scuola italiana, Lucio Mastronardi, scrisse una volta che il passaggio dalle elementari alle medie doveva essere accompagnato da molti romanzi gialli, perché solo in questo tipo di letteratura vedeva il sussidio didattico adatto a stimolare l'intelligenza dei giovani lettori. Il caso di Occhi nel buio è per altro singolare e sembra dare abbondante ragione allo scrittore-insegnante.
Barbara Vine è lo pseudonimo che la scrittrice Ruth Rendell usa quando affronta temi più complessi e raffinati di quelli abitualmente collocati nei suoi gialli.
Con Vera Hallygard, condannata a morte dalla giustizia britannica all'inizio del secondo dopoguerra, la scrittrice ha creato un personaggio che è come un tremendo crocevia in un grande albero genealogico. In lei si intrecciano sorti, destini, incubi, trame, contraddizioni che guardano sempre a un'antropologia culturale della famiglia, resa con acume e con raffinata sapienza storica.
Per spremere davvero da questo libro bello e doloroso tutto ciò che può offrire a una pedagogia della lettura, occorre seguire le indicazioni offerte dalla stessa autrice. Barbara Vine imparò il francese per poter leggere i libri di Simenon in lingua originale: è come se garantisse un itinerario narrativo, perché dalla provincia inglese si transita in quella francese e si controllano destini, usi, valori, incidenti, percorsi. Anche l'inserimento di Occhi nel buio entro i meandri immaginativi del nostro dopoguerra può essere ricco di importanti sorprese perché il libro contiene un raffinato ritratto della Firenze di quel periodo. Non si dovrà poi trascurare la collocazione di Vera Hallyard entro la storia delle donne del Novecento e nella discussione, sempre attuale, sulla pena di morte che si pratica ancora tanto in vari paesi.
Il pittore di riferimento è Stanley Spencer