Riflessione sul presunto compito di educare all’arte propria del libro di figure
di Angela Dal Gobbo (da LiBeR 80)
“L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che il bambino visita” ha affermato Kvĕta Pacovská. La frase ha avuto fortuna e, lungi dall’essere contestata, è stata ripresa più volte,(1) probabilmente in virtù del prestigioso compito che sembra assegnare al libro per bambini: educare all’Arte. Ma, c’è da chiedersi, è veramente questo lo scopo del picturebook?
La natura del picture storybook
Gli studiosi concordano ormai nel riconoscere che l’elemento fondamentale del picturebook, o meglio del picture storybook,(2) è la relazione che in esso si instaura tra parole e immagini. Sulla evidente ma complessa capacità di utilizzare contemporaneamente due codici comunicativi così diversi come quello iconico e quello verbale sta la particolarità del “libro di figure”, caratteristica che lo rende un genere a sé, particolare e interessante.
Di fronte alla domanda se scopo principale del picturebook sia l’educazione all’arte – affermazione che comporta una considerazione prioritaria del codice visivo – un numero cospicuo di esperti, essenzialmente di area anglosassone, risponderebbe senza esitazione in senso negativo. Scrive William Moebius: “Le immagini di un picturebook non possono sostenersi da sole; i testi del picturebook non funzionano quando sono estratti e inseriti in raccolte per l’infanzia. Immagini e testo operano vicendevolmente secondo una precisa sequenza, sono inseparabili durante la lettura”.(3) È ormai riconosciuto che la caratteristica principale del picturebook risiede nel combinare parole e figure in modo da ottenere un prodotto di tipo superiore, unitario, dove il codice iconico non può reggere senza quello verbale. Questo avviene grazie alla natura sequenziale delle immagini dei picturebooks (4) infatti Maria Nikolajeva ribadisce: “Diversamente dall’arte, i picturebooks sono sequenziali, acquistano significato esclusivamente tramite una sequenza di immagini. È perciò inutile studiare separatamente le immagini, esse devono sempre essere considerate come un tutto nell’interazione con le parole”.(5)
E così avviene nei migliori libri per bambini. A voler guardare a qualche caso esemplare, si può notare come, in Granpa di John Burningham, (6) è affidato alle immagini il compito di spiegare il senso della storia, dal momento che il testo verbale, molto ridotto, è formato esclusivamente da discorsi diretti senza l’indicazione di chi parla.
Se di Piccolo blu e piccolo giallo (7) conoscessimo solo le parole, senza vedere le immagini, non riusciremmo a capire in base a quale legge fisica i due protagonisti possano diventare verdi; sono le immagini a venirci in soccorso, mostrando che si tratta di macchie di colore e che, nella pratica artistica, i colori si mescolano per ottenerne altri, diversi. Di fatto il testo parla solo di “Piccolo blu” e di “Piccolo giallo”, senza specificare se siano animali, esseri umani, oggetti.
Allo stesso modo non sapremmo capacitarci della forza di Max nel domare i mostri selvaggi (8) se le illustrazioni non mitigassero i denti terribili, gli artigli orrendi, gli occhi gialli, rendendo meno terrificante il racconto e consentendo un ulteriore livello di lettura, che rivela un avventuroso viaggio intrapreso al fine di controllare gli impulsi irrefrenabili che si scatenano dentro il protagonista.
Quando succede, come nei casi citati, che le immagini rispettino una sequenza, allora esse si dicono “narrative”, perfino quando il testo verbale è assente.(9) Al contrario, se allo stesso testo si possono accostare immagini di tipo diverso, cioè quando è indifferente che il racconto sia illustrato in un modo o in un altro, non si può parlare di picturebook in senso stretto. È quanto accade, a esempio, ne La nuvola Olga di Nicoletta Costa, che ha visto almeno tre diverse versioni figurative. Il che è motivato dal fatto che la storia potrebbe reggere anche senza la presenza delle immagini.
Si può asserire che le illustrazioni del picturebook formano un tutto unitario con le parole e che non ha senso analizzarle separatamente. Si può anche aggiungere che non è scopo di tale genere di libro avvicinare i bambini all’arte, o predisporli a una fruizione estetica; il suo fine vero sta nel raccontare una storia con l’impiego di due diversi codici comunicativi.
Educare all’Arte o educare a “vedere”?
Al di là del fatto che non è compito del picturebook educare all’Arte, esiste comunque una produzione editoriale destinata ai bambini che si possa validamente considerare come avvicinamento e sensibilizzazione ai prodotti artistici? E d’altra parte è lecito parlare di affinamento estetico in tenerissima età?
Tralasciamo la produzione editoriale che specificatamente si propone di presentare il mondo dell’arte ai bambini (libri specialistici che qui non ci interessano) – ricordiamo invece i libri non narrativi, anche di altissima qualità, nei quali l’aspetto visivo acquista importanza predominante, anzi diventa il veicolo per la fruizione del libro stesso. Ci riferiamo al Libro illeggibile di Munari,(10) insieme di pagine colorate, tagliate, bucate, ai suoi Prelibri (11) che stimolano l’esplorazione tattile oltre che visiva tramite materiale vario (hanno pagine di legno, di stoffa, di gomma), a 600 punti neri (12) di David Carter (per il quale rimandiamo alla nostra recensione in LiBeR 79),(13) ad Alphabet, (14) Rotrothorn, (15) Á l’infini di Kvĕta Pacovská,(16) a Dans tous les sens di Milos Cvach,(17) cartonato e sagomato, senza parole, tattile; ad ABC3D di Marion Bataille,(18) abbecedario pop-up, a Ooh! di Massimiliano Tappari,(19) raccolta di fotografie tese a rivelare associazioni insospettate; alle opere di Komagata, agli straordinari libri pop-up di Sabuda, agli inganni visivi presenti in Immagine di Norman Messenger, (20) per citarne solo alcuni.
L’intento è forse di educare all’Arte? A nostro parere si tratta piuttosto di una più generale (e più importante, in relazione allo sviluppo del bambino) educazione a vedere e a percepire, a cogliere con meraviglia e stupore l’aspetto fisico del mondo; sono libri che fanno leva sulle modalità attraverso le quali, spontaneamente, il bambino esperisce il mondo.
Tramite lo stimolo della percezione sensoriale gli autori si richiamano, consapevolmente o meno, a principi psicopedagogici consolidati che ci ricordano quanto lo sviluppo intellettivo del bambino dipenda in prima istanza dalla percezione sensibile del mondo che lo circonda, per arrivare al pensiero astratto tramite l’elaborazione dell’esperienza diretta, secondo un processo che va dal concreto all’astratto, dal semplice al complesso.
Alimentare la curiosità, suscitare lo stupore è il compito grande di questi libri; rappresenta il primo passo verso una sensibilizzazione al visivo che potrà portare, successivamente, a nutrire interesse anche nei confronti dell’arte. In un primo momento, tuttavia, i bambini non sembrano dimostrare un interesse specifico per il “bello” inteso in senso autonomo, svincolato cioè dall’esperienza, dall’esplorazione concreta dell’intorno, separato dalla narrazione – strumento principe, quest’ultima, per rielaborare in senso cognitivo e affettivo l’esperienza stessa.
A nostro avviso è perciò inutile, più che controproducente, proporre libri che presentino una ricerca formale troppo lontana dal concreto, dal vissuto del bambino. Si tratterebbe di operazione che si fonda più sul compiacimento visivo che non sulla considerazione delle capacità e delle attitudini di un pubblico infantile. Ci sentiamo di sostenere che almeno fino ai cinque anni di età sia opportuno che i libri non contengano riferimenti visivi troppo complessi, difficili da decodificare, inutilmente sofisticati, che presuppongono un forte bagaglio di elementi iconici.
Riteniamo pertanto sterili e fini a se stesse certe illustrazioni come quelle, ricche di allusioni visive, di Béatrice Poncelet, o le figure di Kvĕta Pacovská in Cappuccetto Rosso (22) e ne La piccola fiammiferaia,(23) troppo lontane dal testo. E, d’altra parte, i bambini non sono in grado di apprezzare i riferimenti all’arte che alcuni illustratori propongono, a esempio Anthony Browne.(24) Occorre tuttavia precisare che nei suoi libri il lettore, anche inesperto, riesce comunque a cogliere il senso della storia grazie al rapporto evidente tra immagini e testo.
In considerazione di quanto detto, giudichiamo adatto a un pubblico di adolescenti, se non di adulti, Avstikkere (Divagazioni),(25) albo illustrato norvegese quasi privo di parole, complesso nei raffinati e colti riferimenti a film, fumetti, dipinti – premiato quest’anno alla Fiera del libro di Bologna nella sezione “Fiction”.
Il rischio di un uso complesso e articolato dei codici comunicativi sta nell’escludere il pubblico infantile dal piacere della lettura e può sortire l’effetto (indesiderato) di soffocare l’interesse per i libri.
Bello e leggibile?
Uno sforzo per studiare e classificare le illustrazioni è avvertita in particolare in Francia, dove il volume critico Lire l’album di Sophie Van der Linden e la recente rivista Hors cadres si dimostrano sensibili all’argomento. Il lavoro di Sophie Van der Linden affronta in modo ampio la questione degli elementi formali (impaginazione, tecniche, stile, riproduzione) destinando agli aspetti legati alla narrazione solo l’ultima parte del saggio. La rivista Hors cadres, che come sottotitolo porta “Osservatorio dell’albo illustrato e delle letterature grafiche”, dedica tutto il secondo numero al bianco negli albi illustrati. Di queste esperienze lamentiamo una certa facilità a spostare l’attenzione esclusivamente sul visivo, trascurando un’analisi ermeneutica approfondita e coerente del picturebook.
Sulla scia di questo interesse privilegiato per l’illustrazione sono nate in anni più o meno recenti alcune piccole case editrici quali le francesi Éditions du Rouergue, Être, Quiquandquoi, e l’italiana Orecchio Acerbo che si vantano di pubblicare libri di qualità, innovativi, basati su sperimentazioni grafiche. Pur presentando titoli anche molto validi, non si preoccupano se il pubblico a cui si rivolgono è (e rimane) molto ristretto, anzi auspicano una diffusione dell’albo illustrato anche tra gli adulti, i soli probabilmente a poter apprezzare prodotti tanto sofisticati quanto di complessa lettura.
Il nostro parere è che il libro per bambini possa essere considerato valido solo se è leggibile, se la tensione tra parole e figure si mantiene forte e coerente dall’inizio alla fine, se attira il bambino in modo da spingerlo a soffermarsi sulle immagini, a esplorarle pian piano, a sviluppare quel modo di guardare lento e curioso che né televisore né videogiochi o computer incoraggiano. I libri migliori inducono a tornare indietro, a ricominciare daccapo la lettura, a cercare i dettagli descritti nel testo verbale, a riconoscere quanto le illustrazioni aggiungano alle parole. I maestri come Arnold Lobel, Claude Ponti, Tony Ross hanno creato pagine che si aprono allo sguardo infantile come territori inesplorati, mondi da scoprire, esercizi di pazienza.
In tutto ciò non hanno tanto importanza le “belle immagini”, quanto la relazione unica e necessaria che lega quelle figure a quelle parole. Solo a queste condizioni il libro funziona – e favorisce la lettura. Perché, come ebbe a dire il grande illustratore Arnold Lobel, “I libri per bambini, i migliori, non sono belli. I miei preferiti sono quelli che colpiscono in profondità. Gli artisti che realizzano i migliori sono in grado di farli apparire gradevoli, ma è giusto come una ciliegina sulla torta. Al di sotto vi è molto di più”.(26 )
Note
1. Ricordiamo che la frase è stata riportata, tra gli altri, da B. Scharioth, “A painted paper world”, contenuto in The art of Kvĕta Pacovská, Michael Neugebauer, 1993, p. 102; poi ripresa da P. Vassalli in “La principessa del colore”, nel catalogo che addirittura la propone come titolo: Il libro illustrato è una galleria d’arte: Beatrice Alemagna, Kvĕta Pacovská, Chris Raschka, Giannino Stoppani Edizioni, 2005, p. 31.
2. A. Dal Gobbo. “La definizione del picturebook”, e “Glossario”, LiBeR, n. 75 (lug.-sett. 2007), p. 42-45.
3. W. Moebius. “Introduction to picturebook codes”, in Word & Image, 2 (1986), p. 141.
4. Vd. A. Dal Gobbo. “Leggere libri, tessere relazioni”, LiBeR, n. 77 (gen.-mar. 2008), p. 40-42.
5. M. Nikolajeva. Aesthetic approaches to children’s literature: an introduction, Scarecrow Press, 2005, p. 224.
6. J. Burningham. Granpa, Puffin books, 1988.
7. L. Lionni. Piccolo blu e piccolo giallo, Babalibri, 1999.
8. M. Sendak. Nel paese dei mostri selvaggi, Babalibri, 1999.
9. I libri senza parole di tipo narrativo possiedono un testo verbale implicito.
10. B. Munari. Libro illeggibile “MN1”, Corraini, 1988.
11. B. Munari. I prelibri, Corraini, 2002.
12. D. Carter, 600 punti neri, Panini ragazzi, 2007.
13. Cfr. LiBeR, n. 79 (lug.-sett. 2008), p. 14.
14. K. Pacovská. Alphabet, Ravensburger, 1996.
15. K. Pacovská. Rotrothorn, Ravensburger, 1999.
16. K. Pacovská. Á l’infini, Panama, 2007.
17. M. Cvach. Dans tous les sens, Les Trois Ourses, 2007.
18. M. Bataille. ABC3D, Corraini, 2008.
19. M. Tappari. Ooh!, Corraini, 2008.
20. N. Messenger. Imagine, Walker Books, 2005.
21. B. Poncelet. Chut! Elle lit, Éditions du Seuil, 1995.
22. Fratelli Grimm. Rotkappchen, ill. K. Pacovská, Minedition, 2007.
23. H.C. Andersen. La petite fille aux allumettes, ill. Kvĕta Pacovská, Nord-Sud, 2005.
24. Ci riferiamo in particolare ai richiami alle opere di Magritte presenti in Changes, Strass and Giroux, 1990, in Voices in the park, Doubleday, 1998, e in Alice’s adventures in Wonderland, Julia MacRae Books, 1988.
25. Ø. Torseter. Avstikkere, Cappelen, 2007.
26. L. Rollin. “The astonished witness disclosed: an interview with Arnold Lobel”, in Children’s Literature in Education, vol. 15, n. 4 (dic. 1984), p. 194.
Un dibattito
Dall'articolo di Angela Dal Gobbo, pubblicato nel numero 80 di LiBeR, ha preso origine un dibattito che si è sviluppato sul web e che presto troverà occasione di approfondimento su LiBeR.
Segnaliamo alcuni interventi apparsi:
- sul sito Letteratura per ragazzi.it
- sul sito Lefiguredeilibri