Giorgio Cusatelli ci ha insegnato che la responsabilità scientifica di chi si occupa di letteratura per l’infanzia è alta
di Emy Beseghi
La vigilia di Natale ci ha lasciato il carissimo amico Giorgio Cusatelli, germanista colto e raffinato, studioso versatile, presenza di primissimo piano nella nostra cultura. Una preziosa eredità ha lasciato a chi si occupa di letteratura per l’infanzia, collocandola al centro di chiavi interpretative originali e affascinanti, di sorprendente ampiezza interdisciplinare e di aperture illuminanti. Soprattutto Giorgio ci ha insegnato, con la sua folgorante intelligenza, che la responsabilità scientifica di chi si occupa di libri per bambini è alta perché essi si collocano in un contesto davvero molto più ampio di quello che viene loro normalmente assegnato e attingono a un sistema di riferimenti incredibilmente ricco.
Studioso di Musil, inimitabile traduttore e curatore delle Affinità elettive di Goethe, ha spaziato tra i grandi autori della letteratura tedesca (da Rilke a Hesse, da Hanke a Grass), tra viaggiatori e poeti, lasciando anche un importante segno alla Garzanti in qualità di direttore delle Grandi opere. Ma non possiamo dimenticare, nel contempo, le sue finissime incursioni nel fiabesco, i suoi studi sui Grimm e la loro fortuna. A lui siamo debitori del volume Ucci ucci, piccolo manuale di gastronomia fiabesca: un delizioso e rigorosissimo itinerario nella cultura culinaria e alimentare della fiaba europea, attraverso una straordinaria varietà di fonti (da Basile a Perrault, dai Grimm ad Afanasjev, sino a Yeats e alla sua crepuscolare Irlanda). D’altronde il suo interesse per la fiaba si è sempre manifestato a più riprese: basti pensare all’introduzione a Pancatantra (Il libro dei racconti), monumento della letteratura indiana antica, riconosciuto oggi come uno degli esiti più alti raggiunti dalla letteratura favolistica di tutti i tempi.
La sua passione per la letteratura per l’infanzia e i suoi generi, tra cui l’avventura e Karl May, “il Salgari tedesco”, è approdata al capolavoro collodiano: Pinocchio. Mi piace ricordare la realizzazione di una sua grande e avvincente impresa: Pinocchio esportazione, che raccoglie ben 36 testi del tutto inediti in Italia che rappresentano il contributo delle maggiori culture straniere all’interpretazione di Pinocchio, con una gamma eccezionalmente ampia nello spazio (dalla Germania agli Stati Uniti, dalla Francia alla Spagna e alla Russia) e nel tempo (dai primi del Novecento alle recentissime sorprese). E questi testi rispecchiano, di volta in volta, le condizioni, le consuetudini, le mentalità dei diversi luoghi d’origine; così Pinocchio è per i francesi un modello ardito e simpatico alla Gavroche, mentre per i tedeschi, ciò che lo caratterizza, grazie alla materia lignea, è il riportarsi al bosco, l’eterno Wald, romantico; gli spagnoli ne fanno, poi, una sorta di Lazarillo, i russi una figuretta floreale, gli americani, con Walt Disney, lo collocano nel segno dell’inesauribile fantasia puerile.
Insomma un Pinocchio che si è sedimentato al di là di ogni frontiera e sotto tanti cieli, attraverso tecniche di approccio al testo di immensa suggestione che Giorgio ha portato alla luce.
L’università di Pavia, dove insegnava, era diventata, ogni anno a maggio, un appuntamento fisso per esperti di varia provenienza che si confrontavano su temi diversi relativi alla Letteratura per l’infanzia. La scomparsa di Giorgio ci ha privato di un interlocutore sempre attento e curioso, conversatore acuto e ironico, maestro autentico e generoso.
Ci mancherà.
Emy Beseghi
(da LiBeR 77)