Un romanzo e un disco che si fondono per dar vita a un’opera che riesce a coniugare in modo sensibile ascolto e lettura. Ne parlano in questa intervista di Maria Grosso le autrici, Sara Cerri e Rossana Casale.
Due onde distinte che si infrangono nello stesso istante. Circo immaginario è il romanzo di Sara Cerri pubblicato da Fabbri nel 2005, ma adesso è anche un’opera doppia che unisce una riedizione del libro al concept album di Rossana Casale, che porta lo stesso titolo.
Un racconto minimal, raffinata attenzione verso una sensibilità non ancora adolescente, un’anima che cerca la madre scomparsa, una figlia e suo padre, artisti di strada e del ritorno, per una storia che “sta tutta nel palmo di una mano”. Lì Casale l’ha vista accendersi e girare come una piccola giostra, allora il cerchio si è riaperto e, complice il contributo della scrittrice, ha dato corpo a un flusso creativo totalizzante, intimamente nuovo per la qualità dell’ispirazione e per la poeticità dei risultati. Canzoni di vetro nascoste nel tempo dell’estate e dell’infanzia, dove forse le due autrici si sono incrociate e riconosciute, dilatando sensi e suoni del loro Circo immaginario. Un progetto complesso, tutto centrato sull’ascolto e la lettura, per un bianco e nero da colorare a piacimento (l’unica immagine è lo scatto di copertina). Il resto è libertà. Di attraversare pagine e note, e di scoprire segrete assonanze, vibranti individualità. Con questo intento, desiderosi di conoscere il tracciato dell’opera e insieme la mappa delle affinità elettive tra le due artiste, abbiamo raccolto le loro voci.
Tutto comincia dal libro.
Cerri: Circo immaginario nasce dal desiderio di indossare ancora una volta l’abito che più amo portare, raccontare una storia con la voce di una ragazzina, rivivendo i suoi moti interiori e il suo processo di crescita, ma si intreccia anche al mio immenso amore per il teatro di strada che ho fatto per tanto tempo prima di iniziare a scrivere. Viaggiavo con il mio teatrino e frequentavo i festival: è stato uno dei periodi più belli della mia vita, un clima unico che in seguito non ho più ritrovato. Così cercavo una via per lavorare su questi ricordi, e sono stati i personaggi stessi a portarmi, perché in parte la vicenda è stata pensata, e in parte si è sviluppata scrivendo.
Poi il vostro incontro. È avvenuto grazie al romanzo di Sara?
Casale: No, ci siamo conosciute molti anni fa a Viareggio, per Sara la sua città, per me quasi una seconda casa. Quindi, lei e io siamo due persone che nel tempo si sono scambiate i loro cammini artistici, ripromettendosi di lavorare un giorno insieme. Non è facile però che uno scrittore e un musicista collaborino, perché si tratta di due mestieri affini, ma anche di professionalità lontane, occorre pertanto incontrarsi in un punto spirituale molto forte. Cosa che è accaduta con questo libro, che ho subito trovato straordinario, tanto da leggerlo in una notte. Ho amato tantissimo i suoi romanzi e li ho sempre letti come delle sceneggiature, perché la sua descrittività ti conduce dentro immagini che sono in movimento. Questo lavoro però ha una musicalità tutta sua ed è questo che mi ha toccato in modo differente. Nella lettura di un libro non mi era mai successo di sentire la necessità che a un certo punto partisse una colonna sonora. Invece il racconto del mare del Circo immaginario, questo sottofondo che monta con la storia e con i sentimenti dei personaggi fino a sfociare in una grande tempesta, è così musicale che mi sono detta: non è possibile che non ci sia una musica su questa storia! Così ho chiesto a Sara di incontrarci e lei ha subito abbracciato il progetto con entusiasmo. All’inizio l’idea era di realizzare una colonna sonora per la lettura, non delle canzoni, ma una musica che accompagnasse ogni capitolo.
Come si è svolto il processo creativo che ha portato al disco?
Casale: Questo lavoro mi ha riportato vicino a una creatività che non provavo da tempo. È stato come entrare in un giardino segreto, un luogo simile a Boscomare, zeppo di materiali che volevano uscire, tanto che per scriverlo mi sono comprata il pianoforte e ho composto subito Il battello di carta, seguendo l’incipit del libro. Poi mi ci sono immersa fino a perdermi e nel frattempo cercavo immagini, storie e racconti sull’argomento (ho rivisto i film di Fellini e ho letto, tra gli altri, Il sorriso ai piedi della scala di Miller e Opinioni di un clown di Böll). Una fase che Sara ha condiviso intimamente, sostenendo il mio desiderio di rimanere legata al mondo dei bambini e insieme di attraversare quello dei grandi. È stato un lavoro complesso, da un lato molto invasivo psicologicamente perché man mano che toccavo i personaggi sfioravo anche pezzi della mia storia, ma dall’altro anche molto semplice, un fiume di parole e di note che mi sono venute incontro.
Cosa vi resta di questo scambio, di questi sconfinamenti in territori per voi inusuali?
Cerri: Chiedendo la mia collaborazione su alcuni testi, Rossana mi ha aiutato a entrare nel meccanismo di scrittura di una canzone. Un pezzo musicale richiede un lavoro particolare perché deve racchiudere una storia in pochissime parole. Quello che conta è il ritmo e spesso ascoltando una canzone ci si rende conto che le singole frasi sono in contraddizione, anche se musicalmente il tutto funziona. Rossana invece ha fatto un lavoro di scrittura narrativa del testo, cosa che lo ha reso ancora più prezioso.
Casale: Sara mi ha incoraggiato, dandomi fiducia come autrice di testi. Il mio intento era di mantenere lo stesso contatto che lei aveva creato con il lettore, di essere poetica ma anche chiara e diretta, teatrale. E lei mi ha mi ha indicato la direzione per esprimere un concetto cambiando il punto di focalizzazione, una vera rivoluzione per una musicista abituata a concentrarsi rigorosamente sul suono. C’è stato come uno scambio di mestiere, e l’amicizia è diventata ancora più salda, ci siamo conosciute più profondamente.
Se il romanzo racconta il topos del circo in un’accezione per lo più interiore, il disco attinge anche a un immaginario più canonico e spettacolare.
Cos’era il circo per voi da bambine?
Cerri: Io volevo fuggire col circo e attendevo con ansia il momento in cui sarebbe arrivato in città. Adoravo le parate per strada, gli animali e gli odori, e quel suo clima di piccola famiglia allargata.In seguito, ho vissuto la dimensione del circo di strada, dove tutto è meno eclatante, anche se contiene a suo modo un richiamo. E una figura che mi ha ispirato molto è la trapezista de Il cielo sopra Berlino di Wenders.
Casale: Il circo l’ho sempre percepito come un luogo di malinconia, un po’ come Venezia, inseparabile dal suo abito invernale. E se lo guardo per un istante con gli occhi di quando ero bambina, lo vedo esattamente nel modo in cui l’ho descritto nel disco, un circo dolce e vagamente intriso di tristezza. Da piccola, non riuscivo a fermarmi alle maschere, andavo oltre, pensavo alle persone. Così ho molto apprezzato la scelta di Sara di riscoprire un immaginario circense intimo e minimale.
Il romanzo non ha nulla di “magico” nell’accezione oggi molto diffusa nella letteratura per l’infanzia. Faeti definisce il tuo stile “realismo fantastico”: tutto ciò che racconti è possibile, ma al tempo stesso simbolico, quasi onirico, e ci sono momenti in cui realtà e sogno diventano indistinguibili.
Cerri: Qualunque cosa, anche la più insignificante, può d’un tratto aprirsi e svelarci il suo mistero, o assumere forme altre, se solo siamo in grado di coglierle. Per questo amo narrare al presente, perché trovo dia una maggiore immediatezza, un senso vivo di prossimità alle cose. Sono i miei personaggi a condurmi su questa strada, è il loro sguardo a fornirmi la chiave per reinventare la realtà.
Tutto questo si unisce a una grande attenzione per gli oggetti.
Cerri: Quando scrivo la mia immaginazione è molto attenta ai dettagli visivi e talvolta alcuni particolari si impongono con un’intensità tale che ho quasi la certezza che mi condurranno da qualche parte. È accaduto con la tenda di tappi di sughero, che nel sogno di Sofia è diventata una sorta di sipario dietro il quale appare la madre. Altrove invece la scelta di un oggetto si lega alla sua valenza sonora, onomatopeica, e mi consente di collocare un vocabolo chiave. Come la parola “apron”, il grembiule da giardinaggio, che infonde una speranza di apertura a tutta la storia e che serve anche a dischiudere il personaggio di Alfredo.
In che modo il disco dialoga col romanzo?
Casale: Il libro mi ha dato tutto e mi è bastato seguire ciò che mi stava ispirando, senza bisogno di particolari aggiunte (ho soltanto enfatizzato il ruolo di Groppo, in linea con le suggestioni che il personaggio mi aveva trasmesso). È stata Sara, invece, a suggerirmi un’estensione della storia che le stava molto a cuore: era convinta fosse necessario un momento in cui madre e figlia si incontrano, anche se nel libro aveva scelto di non metterlo. Così mi ha scritto delle righe bellissime e io mi sono messa al pianoforte. È uscita subito la prima strofa di Micol sul filo. È stata un’emozione infinita, perché mentre mi rispecchiavo in Sofia che immaginava di sentire la voce della madre che le parlava e la rassicurava, pensavo al mio compagno che ho perso cinque anni fa. In sala di incisione ho potuto cantarla solo tre volte, oltre non l’avrei sostenuto.
Cerri: È la canzone che amo di più. In Micol sul filo ho avvertito distintamente la complementarità dei nostri lavori, la scrittura e la musica, come legate da un filo impalpabile e tenace. E ciò che nel libro non poteva funzionare perché rappresentava un’apertura al magico, nel disco invece suona splendidamente: la musica sotterranea delle parole, il dolore nascosto di Sofia, la commozione che abbiamo provato, tutto viene fuori con una forza assoluta.
In Una gita scolastica di Pupi Avati, Rossana cantava “Solo un istante dura l’incanto”, un motivo che riecheggia nel libro, dove si allude al solstizio come momento culminante della magia dell’infanzia e dove, accennando allo spettacolo finale, si anticipano “incomparabili incanti”.
Cerri: Penso all’incanto come a un istante di radianza interiore, così mi viene in mente il momento in cui Sofia vede la stella cadente e avverte come un senso spasmodico di sospensione, un desiderio struggente di congiungimento con la madre, ma anche una profonda disillusione perché la stella passa senza far rumore e resta distante, muta. Altrove invece l’incanto è l’incontro con la bellezza infinitamente piccola che ci circonda. Come quando, nel finale del libro, Sofia sfila sul carro dei circensi e ogni dettaglio di quella scena diventa un paesaggio composto di minuscoli teatrini che si accendono, una serie di piccoli incanti che si sommano fino a creare il grande incanto che illumina la notte.
Casale: L’incanto è un desiderio, una necessità interiore, un bisogno squisitamente soggettivo. Ma può esistere soltanto se abbiamo occhi per vederlo, per sentirlo e per ingoiarlo. L’incanto è il modo violento con cui desideravamo qualcosa da bambini, è una magia che abbiamo dentro e che non deve spegnersi. Solo così può ripetersi.
Dal punto di vista musicale c’è stato un lavoro molto complesso…
Casale: Con queste venti tracce ho voluto rappresentare i personaggi che mi avevano toccato più intensamente, cercando per ognuno il vestito musicale più affine. Dunque ogni brano esprime il carattere di uno di loro: Groppo ha il tango, Victor ha la milonga, Alfredo si lega a tutta la musica cantautorale e alla dolce saggezza di De Andrè e il tutto si riconduce al suono magico di Rota e ai paesi dell’Est poiché la storia non ha un luogo preciso e si svolge in un tempo e in uno spazio indecifrabili. Così come in ogni libro c’è una frase che raccoglie l’intero significato dell’opera, anche con il disco ero alla ricerca di una musica, di un motivo che si staccasse dal resto per diventarne il cuore. E ho sentito che doveva essere un canto antico, popolare. Nasce così il pezzo La verità, insieme all’idea di immergere l’intero disco in queste atmosfere balcaniche, grazie anche all’orchestrazione di Andrea Zuppini che ha fatto un lavoro straordinario.
Il libro non è illustrato e il progetto segue canali differenti rispetto a quelli visivi: una scelta insolita e coraggiosa che rimanda al pezzo Dentro gli occhi chiusi.
Cerri: In questa sovrabbondanza di sollecitazioni visive che lavorano per addormentarci il cervello, abbiamo voluto concentrarci sull’ascolto e la lettura, privilegiando il canale del pensiero, la riflessione e l’introspezione.
Casale: Nella canzone Dentro gli occhi chiusi volevamo racchiudere il mondo interiore di questa ragazzina, la sua sofferenza e il suo smarrimento, ma anche la sua determinazione. Sofia fa una scelta forte: decide di tenere gli occhi chiusi. Allora gli altri sensi si amplificano, ritornano i suoni e gli odori “raccolti dal tempo” ed è possibile riconoscere un posto anche senza vederlo. È il primo doloroso passo verso una coscienza nuova. Dentro gli occhi chiusi Sofia decide di ascoltare la sua anima.
(da LiBeR 74)