Colloquio di Chiara Innocenti con Graciela Montes, scrittrice argentina. è dal suo paese d'infanzia che la Montes parte per lanciarsi nelle sue storie meravigliose.
Negli ultimi 15 anni in Italia la produzione letteraria infantile si è incrementata molto grazie anche alla pubblicazione di opere straniere che hanno influito nella produzione nazionale. È successa la stessa cosa in America Latina? Qual è la situazione attuale della letteratura infantile iberoamericana?È difficile considerare la letteratura iberoamericana come un tutt’uno. Ci sono grandi differenze.
In alcuni paesi la tradizione orale è molto ricca e quella scritta (editoriale) molto meno, o viceversa. Ci sono paesi, come Cuba, con un tasso di analfabetismo pari a zero, e altri in cui buona parte della popolazione infantile non sa leggere né scrivere. Oltre agli IBBY locali che sono abbastanza uniti, a una Revista Latinoamericana de Literatura Infantil pubblicata a Bogotà e ad almeno due case editrici, la messicana Fondo de Cultura Económica e la colombiana Norma, e una Secretaría de Publicaciones, in Messico, che pubblicano autori di tutto il continente, non esistono altri importanti progetti comuni.
Il più rilevante progetto di una letteratura infantile per tutti i bambini d’America, fu quello di José Martí, con una pubblicazione periodica, incompleta certo, ma rivoluzionaria a quell’epoca (fine del sec. XIX): La Edad de Oro. Poi le storie si sono molto diversificate, anche se negli ultimi anni sono stati fatti nuovi sforzi di integrazione.
Posso dire, questo sì, che alcuni tratti comuni della letteratura infantile di Argentina e Brasile, in parte dell’Uruguay, hanno una storia simile. In questi Paesi si è assistito a un forte sviluppo della narrativa letteraria (prima la narrativa era molto legata alla didattica), sono apparsi temi urbani contemporanei, si è dato spazio all’umorismo, a una certa disinvoltura (inclusa la parodia di formule tradizionali), c’è stato un dichiarato svincolamento dall’obbligo didattico, un linguaggio vivace e molto radicato, molto gioco letterario e il dialogo con la letteratura contemporanea (prima raro nel genere infantile, che si sviluppava all’interno di un ambito piuttosto chiuso), ecc.
Vale la pena notare che questa letteratura ha saputo guadagnarsi una posizione sociale e molti lettori, diventando rappresentativa di queste nazioni. A questo processo di riconoscimento sociale hanno contribuito vari fattori: determinate situazioni storiche (il ritorno della democrazia dopo crudeli dittature, la pressante esigenza di alfabetizzare i bambini, ecc.), importanti precedenti letterari (Monteiro Lobato, Horacio Quiroga, Javier Villafañe, María Elena Walsh), politiche pubbliche di fomento alla lettura (alcune molto riuscite), la nascita di alcune case editrici locali disposte a scommettere su nuovi autori e, per lo meno in Argentina, un’importante rete di scuole pubbliche e biblioteche popolari ereditate da uno Stato progressista e vicino alla gente, che sono servite a trasmettere e consolidare la nuova letteratura.
A metà degli anni ’80, sia in Argentina che in Brasile, la letteratura per ragazzi vantava voci ben riconoscibili e caratteristiche proprie.
Al tempo stesso, (parlo dell’Argentina, perché non conosco la situazione del Brasile al riguardo) ci sono stati curiosità e interesse per la “nuova” letteratura infantile del mondo. L’opera di scrittori come Christine Nöstlinger, Gianni Rodari o Roald Dahl, per citare alcuni innovatori, è stata conosciuta in contemporanea all’Europa.
Harry Potter è arrivato anche qui, ovviamente, ma faceva parte di un lancio imprenditoriale molto vasto. Nei casi precedenti, invece, i libri venivano raccomandati da persona a persona per la loro qualità letteraria, anche se non hanno mai raggiunto una diffusione di massa. Ci sono state mode e imitazioni, anche influenze, ma non un contagio, visto che la presenza di una letteratura piuttosto solida garantiva una certa mobilità, una certa indipendenza e il confronto è risultato molto stimolante.
Fra i temi principali delle opere iberoamericane pubblicate in Italia appaiono spesso la fantasia e temi sociali come le dittature, l’emarginazione sociale, la tragedia dei bambini di strada. Corrispondono ai temi principali della letteratura ispanoamericana attuale o ciò che viene esportato non coincide con ciò che si legge di solito?
Non sono molto al corrente delle opere latinoamericane per ragazzi pubblicate in Italia. Può darsi che, almeno in un primo momento, siano state tradotte opere considerate “tipiche”. È vero, a volte si ha la sensazione che l’Europa si aspetti da noi scrittori latinoamericani di affrontare certi temi piuttosto che altri, soprattutto temi folclorici o argomenti legati, diciamo così, alle mancanze dei nostri paesi: l’emarginazione sociale, le dittature, la povertà. Come se venissimo associati al pittoresco e all’etnico, ma non al conflitto intimo individuale, alla cultura urbana contemporanea, al surrealismo o all’epopea. Può darsi che aspettative del genere abbiano orientato la selezione e che, a volte, opere poco rappresentative dei paesi di origine siano state tradotte solo per conformarsi a un’idea preconfezionata.
Ma devo ammettere che la mia esperienza personale mi indica tutt’altro. Nonostante abbia scritto un libro sulla dittatura, Salani, Voland e Piemme hanno scelto di tradurre in italiano cinque opere molto conosciute nel mio Paese lontane da un taglio tematico specifico. In tutte abbondano le esagerazioni e le stranezze, e in due di esse, senza aggiungere altro, il narratore è un cane.
Ci sono differenze significative fra la produzione letteraria infantile di un paese e l’altro in America Latina o esiste un filo comune?
Sì ci sono differenze, a volte enormi, a volte meno marcate. Non mi sembra che ci sia un filo comune, né mi sembra possibile, almeno adesso, parlare di una letteratura infantile iberoamericana, anche se esiste un’esperienza sociale e storica in comune. Credo che sia importante percepire queste differenze e queste sfumature per evitare, appunto, il pregiudizio che sempre impoverisce.
Un messicano, un brasiliano, un cubano, un argentino raccontano a modo loro, secondo le tradizioni letterarie e i legami che intessono adulti e bambini nelle rispettive società. Ma due messicani avranno caratteristiche in comune e anche differenze. Per percepire la diversità è importante lasciar perdere le proprie aspettative e aprirsi, con un po’ d’innocenza, all’esperienza.
Qual è il rapporto fra il pubblico infantile e la lettura in America Latina? Che importanza hanno le scuole e le biblioteche nella funzione di diffusione della lettura? E qual è il ruolo degli altri consumi culturali, come Internet, multimedialità ecc.?
Non posso parlare in generale per tutta l’America Latina.
In Argentina la tradizione alla lettura non sta passando il suo miglior momento. Esiste da quasi 100 anni un’importante rete di biblioteche popolari fondate da società del fomento, associazioni di quartiere e soprattutto sindacati e partiti socialisti, nata all’inizio del sec. XX, l’epoca della grande ondata migratoria che coincise con una brusca crescita urbana. Insieme alle biblioteche pubbliche municipali, furono un fattore di democratizzazione e contribuirono molto all’integrazione, e diciamo così, all’educazione delle classi popolari.
Del resto, benché in difficoltà a causa della crisi e dello smantellamento dello Stato, esiste ancora un sistema di educazione pubblica universale, obbligatoria, laica e gratuita che è stato molto efficace e che continua a essere l’ultima rete di contenimento sociale per i più poveri. Scuola e biblioteca sono le due istituzioni sociali che più si adoperano per la difesa e lo stimolo alla lettura. Ma le biblioteche non sono in grado di comprare i libri e le scuole pubbliche devono risparmiare energie per dare da mangiare ai loro alunni. I maestri stessi sono poveri ed è difficile che si tengano aggiornati o dedichino molto tempo alla lettura. Inoltre un gran numero di giovani vanno a lavorare e restano fuori dal circuito scolastico.
Nonostante ciò, la preoccupazione per la lettura è radicata nella nostra società. Ci sono vari programmi di lettura locali e ce n’è stato uno, piuttosto grosso, a livello nazionale a metà degli anni ’80. Sporadicamente lo Stato fa grossi acquisti di libri per dotare biblioteche popolari e scolastiche di nuovi testi, anche se si tratta di iniziative un po’ fluttuanti che risentono dei vai e vieni politici.
Da 15 anni si celebra la Feria del Libro Infantil (oltre alla Fiera del Libro generale che ha quasi 40 anni) frequentata da circa 350 000 persone, quasi tutti bambini. Ci sono buoni lettori e gli scrittori di letteratura infantile sono molto conosciuti.
Altri consumi culturali, come gli spettacoli teatrali o Internet, sono subordinati, ovviamente, alle condizioni di precarietà. Il consumo più esteso è la televisione, con quattro canali (la connessione agli altri 70 canali via cavo costa circa 100 o 130 dollari al mese) e la radio.
Molte scuole pubbliche sono dotate di computer, anche se solo alcune hanno l’accesso a Internet. Dato che l’Argentina è molto grande e in molte regioni ci sono 500 o 600 chilometri fra un paese e quello più vicino, la posta elettronica e Internet risultano di prima necessità. Le connessioni, però, sono molto care per chi vive in un paesino della Puna o della Patagonia. D’altronde in queste zone ci si preoccupa più di trovare dell’acqua potabile o un ospedale in cui farsi curare, che della connessione virtuale. Nelle grandi città, invece, in molte case c’è Internet e ci sono molti locali in cui si può navigare per 40 centesimi di dollaro all’ora.
Spesso in Italia sentiamo parlare delle difficili condizioni di vita dei bambini in America Latina, di povertà e di emarginazione. Può parlarci di questa tragica situazione?
Secondo l’Organizzazione Panamericana della Salute, in America Latina muoiono 190 000 bambini l’anno a causa di malattie legate alla povertà (freddo, denutrizione, mancanza di acqua potabile). L’Organizzazione Internazionale del Lavoro sostiene che 22 milioni di bambini latinoamericani sotto i 14 anni lavorano in condizioni di sfruttamento.
Secondo le ultime stime ufficiali, della settimana scorsa, si soffre la fame nel 17,5% delle famiglie argentine, ciò significa 1 400 000 famiglie (per un terzo delle quali non si tratta di alimentazione insufficiente, ma di vera fame). Nel 2002, secondo le stesse stime, ci sono stati almeno 2 600 000 bambini al di sotto dei 18 anni che hanno sofferto la fame. Negli ospedali ci sono molti casi di grave denutrizione, di cui hanno parlato i mezzi di comunicazione, bambini di 10 anni che pesano 10 chili. Il 22% dei bambini argentini fra i 5 e i 14 anni lavora e lascia la scuola. Molto più che negli anni scorsi, capita di vedere bambini che formano piccoli gruppi nelle stazioni e nelle piazze o che dormono da soli al portone di una casa. C’è chi sniffa la colla. Chi cerca qualcosa da mangiare nella spazzatura. Molti finiscono per essere coinvolti in qualche crimine o si suicidano (la Banca Internazionale di Sviluppo sostiene che più della metà dei 20 000 bambini di strada di Tegucigalpa, in Honduras, soffrono di depressione e molti si tolgono la vita).
Nel mio Paese, la scuola e gli ospedali pubblici sono le uniche reti di contenimento e integrazione sociale. Ma sono reti con molte smagliature. Lo Stato è smantellato e privo di risorse economiche. Non c’è lavoro e, se c’è, comporta degli svantaggi: la disparità fra gli stipendi più alti e quelli più bassi è fuori dal comune, per cui l’ingiustizia sociale si sta consolidando.
Ritiene che nella letteratura per ragazzi ci siano ancora molti temi non trattati a sufficienza, o molti tabù cominciano a entrare anche nelle opere per giovani?
Credo che alcuni di questi temi siano entrati a far parte della letteratura per ragazzi, anche se spesso compaiono proprio in quanto “argomenti da trattare”, il che tinge la letteratura di una sfumatura di controllo e non di libertà. Essere obbligati a trattare un tema o a trattarlo in modo politicamente corretto, è repressivo quanto essere obbligati a ometterlo, a non trattarlo affatto. L’Huckleberry Finn di Mark Twain, un’opera ricca, stupenda, affronta il problema del razzismo, senza dubbio, perché s’ispira all’epoca in cui è stata scritta e perché i protagonisti sono uno schiavo negro in fuga e un ragazzo bianco povero, all’inizio razzista come suo padre, che poi cresce e amplia il suo orizzonte. Eppure alcune istituzioni educative nordamericane sconsigliarono la circolazione del romanzo perché “la questione del razzismo” non era trattata con sufficiente prudenza. Questa “correzione politica”, o “buoni modi politici”, suppongono nuove forme di costrizione.
E sono costrizioni anche le imposizioni del mercato, le imposizioni su ciò che è o non è pubblicabile a partire dai risultati delle vendite (reali o supposti). Forse è giunta l’ora di ripensare il concetto di “tabù”.
I controlli morali e religiosi, oggi, occupano molto meno spazio.
Molte sue storie si svolgono nel quartiere di Florida, a Buenos Aires dove ha trascorso la sua infanzia. Qual è il rapporto fra la realtà quotidiana e la fantasia? Come nascono le sue storie?
Il quartiere di Florida è dove ho trascorso la mia infanzia. Insieme al mio linguaggio è il mio paese dell’infanzia. Ho usato la sua geografia, i suoi abitanti, le abitudini che ricordo (ho traslocato da lì a 11 anni). Ovviamente l’ho trasformato in materia letteraria. Questo piede per terra mi è servito molto per trovare il luogo “da cui raccontare”. Mi ha permesso di costruire, come in un palazzo, “un piano di memoria” (in un certo senso stavo scrivendo anche per mia figlia e non potevo essere paternalista o bugiarda) e un piano di storia, di società, di radicamento. È da lì che mi lancio quando scrivo e faccio sempre comparire lo straordinario e lo stravagante. Mi piace così: che il quotidiano più conosciuto, più quotidiano, più vicino alla pelle stessa, si apra all’improvviso e lasci crescere qualche strano fiore.
Credo che le storie nascano sempre da una fessura, da qualcosa di intenso che all’improvviso modifica il funzionamento normale delle cose. In Arbol siguió creciendo è una spaccatura in mezzo alla strada. In Otroso (Altrondo) è una mattonella che viene sollevata per dare spazio a un altro mondo. In Historia de un amor exagerado è un desiderio. Nel romanzo di Inés è un mostro che si stabilisce in una tasca nascosta. Alcuni lettori mi hanno fatto notare che queste irruzioni del fantastico accadono sempre di giovedì. Io non ci avevo mai fatto caso.
In Tengo un monstruo en el bolsillo l’invidia si trasforma in un mostro; nella serie di Ema il desiderio di rivincita è rappresentato da Emota, l’alter ego della protagonista. Che importanza ha l’oggetto transazionale nel mondo interiore e nella letteratura infantile?
Credo nel desiderio e credo nella tremenda intensità del desiderio di un bambino, che non dovrebbe mai essere disprezzata. È il desiderio che ci avvicina al mondo.
Rispetto all’oggetto transazionale (come in Winnicott che amo molto) credo che sia qualcosa di più dell’oggetto in sé. Credo che si tratti di tutta una zona di scambi in cui hanno luogo i giochi, l’arte e dove il mondo interiore compie le sue manovre di libertà, i suoi gesti e lascia le sue piccole impronte.
È un tema a cui tengo molto a cui ho dedicato un libro, La frontera indómita. In questo luogo ci sono le nostre piccole costruzioni, le nostre storie e, ovviamente, anche i nostri personaggi. Ma è qualcosa di più di una stretta identificazione, è un luogo ricco di nutrimento in costante elaborazione.
A proposito della serie di Ema: perché ha scelto la serialità? Che caratteristiche e vantaggi offre rispetto a un’opera singola?
Ho scritto libri in serie solo due volte: con la serie di Ema e, molti anni prima, con la serie degli “odos”. Gli “odos” sono minuscoli personaggi che vivono in scatolette di zafferano e giocano a calcio con i piselli. In questo mondo microscopico apparivano, una dopo l’altra, le storie. Erano tutte diverse, ma parte dello stesso mondo. Nel caso di Ema succede la stessa cosa: c’è un gioco (un gioco molto vecchio, d’altronde, “il mondo alla rovescia”) che si scatena a partire da una prepotenza. Ogni volta che qualcuno fa una prepotenza a Emita, determina l’arrivo di Emota, come una compensazione quasi automatica. Il divertimento sta proprio nella serialità e nell’anticipazione. I bambini, che mi propongono sempre storie legate a questa prepotenza, anticipano l’arrivo del personaggio urlando “Attento a Emota!”. Emota è il terrore dei prepotenti.
Ho sempre immaginato Emita e Emota come un libro con molte storie, ma, per ragioni editoriali, è stato pubblicato in più libri.
Lei possiede il gran dono di far ridere quando si avvicina la tragedia, come quando leggiamo di Inés e il suo mostro. Rivediamo noi stessi e all’improvviso scoppiamo a ridere. Che importanza ha l’umorismo nelle sue opere?
Il riso è il giro di vite che ci rende liberi. Della tragedia, siamo schiavi. Del riso, siamo padroni. E anche del sorriso. Non sempre è possibile, ma bisogna provarci.
Nella letteratura fuggo dalla solennità. Non dalla serietà, dal drammatico, né dal dolore, ma, sì, fuggo dalla solennità, perché la solennità è sempre una forma di potere. L’adulto ha esercitato la solennità sul bambino e la solennità pesa come il piombo. Bisogna acquisire agilità, freschezza, prendere aria, fare qualche giretto. A volte basta un piccolo gesto, spostarsi da una parte per guardare da una nuova angolazione, un po’ dal di fuori, e subito appare il ridicolo, il divertente, anche il patetico o forme di tenerezza che la solennità non conosce mai… I bambini, al contrario di quanto credono molti adulti, sono eccellenti lettori. Non solo scoprono strade nascoste (come dicevo sulle fessure fantastiche del giovedì), ma sanno cogliere anche lo scherzo, l’ironia. Se imparano a ridere di loro stessi, diventeranno lettori migliori, e anche persone migliori.
Sta lavorando a nuove opere?
Sì, un romanzo che sto scrivendo a quattro mani con Ema Wolf, faticoso, ma che ci riempie di gioia. Ci è costato quasi quattro anni di lavoro e non riusciamo a staccarcene, anche se la fine è imminente. Non ha ancora un titolo. Parla dell’incontro di Marco Polo e Rustichello nel carcere di Genova e della scrittura di un libro.
E un paio di altri romanzi ancora in forma di appunti, uno per adulti e l’altro per bambini.
Inoltre, per passione, con un gruppo di persone stiamo cercando di ricostruire un catalogo di letture infantili nel Rio de la Plata. Quello che leggevano i bambini. Non i libri di scuola (questo meriterebbe un altro catalogo), ma i libri che si regalavano, che si compravano nelle librerie del quartiere o nelle edicole, quello che si leggeva distesi sul letto, per terra o sotto un albero. Setacciare le vecchie case editrici, le storie, le immagini. In Argentina, c’è stata una casa editrice molto importante, Abril, fondata da due italiani, César Civita e Pablo Terni, che pubblicava libri che hanno segnato la vita di tutti noi bambini all’inizio degli anni ’50. Si chiamavano Bolsillitos. È un’appassionante storia di ricostruzione della memoria collettiva, ma è un lavoro lento...
Parte di questa intervista è stata pubblicata sul numero 60 di LiBeR e nell'inserto redazionale Non solo Incas