A colloquio con Claudio Luiz Cardoso, autore di Scomparso, un libro sulla dittatura brasiliana. Per parlare di problemi sociali e cercare di capirli. A cura di Chiara Innocenti
Negli ultimi anni l’editoria per ragazzi ha proposto libri di ottimo livello narrativo che affrontano drammatici argomenti sociali e politici. Un importante esempio è il suo Scomparso, storia di un genitore desaparecido durante la dittatura brasiliana. Come considera questa tendenza?
Sì, negli ultimi anni sono stati pubblicati vari libri per bambini e ragazzi con temi drammatici; ma non credo che si tratti di un vera e propria tendenza o corrente, quanto piuttosto di un crescente interesse verso temi e soggetti più seri e impegnativi.
Nella letteratura brasiliana per ragazzi, esiste una particolare tradizione di impegno civile?
No, non direi, ma, soprattutto a partire dalla fine della dittatura brasiliana (1964-1984), sono uscite varie opere di questo genere; anche se, a dire il vero, il governo militare impose una rigida censura sulla stampa, sul cinema e sulla tv, ma non tanto sulle opere dei singoli autori.
A metà del ventesimo secolo, venivano pubblicati i cosiddetti romanzi “regionali” che trattavano dell’impoverimento delle zone rurali della regione del nord-est, a volte un po’ prolissi e folcloristici, ma che in qualche modo si possono considerare dei precursori della letteratura sociale.
Soltanto di recente problemi come la fame, il crimine, la discriminazione razziale, la droga, vengono ampiamente riconosciuti e trattati in forma politica e letteraria.
Non è da molto tempo, a esempio, che i brasiliani hanno cominciato a riconoscere il problema sociale della popolazione nera e mulatta (benché ufficialmente si condanni qualsiasi tipo discriminazione razziale) come una mancata soluzione alla schiavitù che è durata fino alla fine del diciannovesimo secolo, e si è cominciato a prendere misure concrete per favorire la popolazione non bianca.
A proposito delle persecuzioni e dei crimini commessi durante la dittatura militare, oggigiorno i giovani e la maggior parte della popolazione mostrano uno scarso interesse al riguardo.
Come nasce l’idea di affrontare un tema come quello della dittatura dalla prospettiva di un bambino?
Non c’è una risposta precisa. Proverò a darne alcune, forse incomplete. Senza dubbio rimasi traumatizzato dalla rivoluzione militare del 1964 (era la guerra fredda, vi ricordate?) anche se la Sinistra all’opposizione fu così imprudente da offrire ai militari le ragioni per il colpo di stato.
Mi sconvolsero soprattutto la facilità con cui il governo militare vedesse le cose in bianco e nero a discapito di qualsiasi altra sfumatura e le graduali misure prese per cancellare ogni libertà civile.
Rimasi scioccato dal fatto che un mio amico, un attivista, fu ucciso dalle forze di sicurezza, anche se ci sono voluti anni perché si scoprisse la verità. Probabilmente la sua scomparsa fu una copertura per nascondere la sua morte, forse accidentale, durante una sessione di tortura.
Questi sentimenti erano sepolti dentro di me, finché un giorno (avevo già pubblicato romanzi ma non di carattere politico) decisi di cominciare quello che sarebbe diventato Scomparso. Fu una decisione consapevole? In parte. Forse era un modo per rendere omaggio al mio amico morto. Un modo di chiedergli scusa per non aver fatto niente per evitare che ciò accadesse. Forse era una protesta contro ogni forma di violenza, incluse quelle dei nostri giorni che con grette giustificazioni coprono piani di vecchio stile imperialistico.
In una sua intervista ha dichiarato che Scomparso è un libro per tutte le fasce d’età. Perché ha deciso di destinare il suo libro al pubblico infantile?
A dire il vero non è stata una scelta mia, anche se è stata fatta col mio consenso. Quando ho cominciato a scrivere questo romanzo, avevo in mente un libro per adulti, ma ero spesso tentato dall’idea, sempre scartata, di destinarlo ai bambini, soprattutto agli adolescenti. È stato pubblicato come romanzo breve per adulti e ha avuto un discreto successo.
Ma, a quanto pare, ogni opera artistica ha una vita propria indipendente dalla volontà del suo creatore e il futuro Scomparso ha richiamato l’attenzione di un’istituzione internazionale con sede in Svizzera, Baobab-Children’s Book Found, che mi ha proposto di pubblicare il libro, per ragazzi, in tedesco. Con la prima pubblicazione per bambini all’estero, l’editore per ragazzi Scipione di San Paolo, ha deciso di pubblicarlo specificatamente per bambini in Brasile, dove continua a essere pubblicato per la stessa fascia d’età.
Così, il destino ha voluto che il libro fosse di nuovo rivolto ai ragazzi.
Dato che il romanzo esplora emozioni e sentimenti (la paura, la frustrazione, l’amore, il dolore, la rabbia) comuni a tutte le età (anche se gli adulti sono più bravi a nascondere il loro dolore, con i noti effetti psicosomatici) non c’è da stupirsi che lo consideri adatto a qualsiasi età.
D’altra parte, forse, l’originalità del romanzo sta proprio nel fatto che la vicenda non è narrata dal punto di vista diretto della vittima, ma dal punto di vista indiretto di chi, il figlio, probabilmente si porterà dietro il fardello di dolore per tutta la vita.
Qual è la situazione attuale della letteratura brasiliana per bambini e ragazzi? Quali sono le tendenze e i temi principali?
La letteratura brasiliana per ragazzi sta vivendo una rinascita dopo alcuni anni di crisi in cui le principali case editrici venivano comprate, a volte parzialmente, da compagnie straniere, soprattutto europee. In Brasile si assiste a una forte presenza di francesi e spagnoli anche nella vendita di libri. Questo boom è favorito dalla selezione e adozione di libri da parte delle scuole, soprattutto quelle private, e dalla crescita dei fondi governativi di libri pedagogici per la distribuzione nelle scuole. Senza dimenticare le grandi fiere annuali del libro nelle città principali, che vengono letteralmente prese d’assalto da uno strabiliante numero di bambini che arrivano coi pullman organizzati dalle scuole.
A mio avviso, ma è l’opinione di chi non ha un rapporto pratico con la vendita di libri, se non come purveyor/agente letterario, si leggono soprattutto libri di autori brasiliani, che si svolgono in Brasile o che trattano di problemi del nostro Paese, anche se, ovviamente, un grosso spazio è riservato alla pubblicazione di best seller internazionali come Harry Potter.
I temi sono soprattutto quelli della vita quotidiana, con un’attenzione crescente per problemi specifici, come la maternità in età adolescenziale, l’aids ecc.
Probabilmente, con il governo del Partito dei Lavoratori, sarà dato uno spazio maggiore ai principali problemi sociali all’ordine del giorno in Brasile, come la fame, le differenze di reddito o la casa.
Nel suo Paese qual è il rapporto dei bambini e dei giovani con la lettura? E con la cultura in genere, Internet e multimedialità?
Il rapporto dei bambini e giovani brasiliani con la lettura è, in media, buona, se si considerano le differenze di educazione, reddito, razza, regioni e altri fattori.
Ciò è dovuto in parte al fatto che, oltre a qualche decennio di impegno ufficiale per la pubblicazione di autori brasiliani, gli editori o potenziali editori di libri per ragazzi, adocchiando le opportunità esistenti in questo mercato, si sono organizzati da soli e sono diventati molto bravi a pubblicizzare i loro libri e a organizzare eventi come fiere del libro nelle scuole.
Il problema sorge, soprattutto, quando i ragazzi smettono di andare a scuola e viene a mancare l’influenza di un insegnante. Mentre la frequenza delle scuole elementari è pressoché valida per tutti, poi la situazione varia molto e non sono pochi quelli che lasciano la scuola dopo qualche anno. C’è un vero e proprio esercito di giovani fuori dalla scuola e senza lavoro che, anche nel caso abbiano conservato l’iniziale passione per la lettura, non hanno le possibilità economiche per acquistare libri.
Lo stesso si può dire per le altre forme di scambio culturale (Internet, multimedia) che sono abbastanza diffuse, ma soltanto per chi ha di che vivere.
Sentiamo troppo spesso parlare delle drammatiche condizioni di vita dei bambini brasiliani. Può parlarci di questa terribile situazione?
Le condizioni di vita delle maggior parte dei bambini brasiliani, soprattutto nelle due grandi città, sono in effetti drammatiche, ma non bisognerebbe generalizzare.
Prima di tutto si deve inserire ogni cosa nel suo contesto.
Le condizioni di vita dei bambini nei paesi in via di sviluppo in generale (quelli che esportano materie prime e che sono sottilmente soggetti a un mascherato protezionismo) sono molto brutte e rispecchiano la situazione della maggioranza della popolazione; a volte sono addirittura peggiori che in Brasile, anche se questa non può essere una giustificazione.
Anche nei paesi sviluppati, per ragioni diverse, siete testimoni di sintomi di estremo disagio sociale, come, a esempio, le frequenti sparatorie nelle scuole di studenti scatenati che ammazzano i loro compagni o insegnanti; le condanne penali di bambini per i loro “crimini”; l’obesità infantile che sta raggiungendo proporzioni epidemiche ecc.
Per quanto riguarda il Brasile, sono necessarie alcune considerazioni fra cui la seguente: chi sono questi bambini e qual è la causa di questa situazione? Semplificando all’eccesso un problema sociale molto complesso, la maggioranza di questi bambini è nata nell’ultimo livello della scala sociale, quello che a più di un secolo di distanza porta ancora con sé le conseguenze della schiavitù. Molti, forse la maggioranza di essi, non sono stati desiderati (il Brasile è privo di un programma di controllo delle nascite, in parte a causa dell’azione della Chiesa Cattolica) e vengono abbandonati nella prima infanzia, sono trascurati e/o sottoposti a violenze; alcuni scappano di casa (se hanno mai avuto qualcosa di lontanamente simile a ciò che così si chiama), espulsi dalle favela e da quartieri molto poveri dagli spacciatori di droga per essersi rifiutati di collaborare. Sono le involontarie vittime della cattiva distribuzione del reddito, o della corruzione di alcune autorità, soprattutto la polizia. Sono i figli della povertà.
La povertà delle classi svantaggiate è dovuta in parte all’accelerato sviluppo economico che si è avuto in Brasile nell’ultima metà del ventesimo secolo, quando il Paese è passato da un’economia tradizionalmente agricola e rurale, basata sull’esportazione di un solo prodotto (il caffè) a un’economia industriale/agricola-meccanizzata e urbana, in cui alcuni settori sociali e alcune regioni sono stati superati da una nuova classe media che si è rapidamente appropriata dei benefici di questo benessere.
Considerando la miriade di organizzazioni, governative e non, coinvolte nella questione, anche se spesso non a sufficienza coordinate fra di loro, esiste una soluzione al problema? C’è un futuro per questi bambini? Prima di tutto, per quanto riguarda i problemi strutturali che richiedono la correzione di un’ingiustizia che si è protratta a lungo, non esistono soluzioni magiche basate sulla forza di volontà. Queste portano solo a palliativi. Per questo, purtroppo, sembra che oggigiorno non ci sia un futuro relativamente migliore per i bambini di strada, o non quanto necessario, la cui massima aspirazione sembra essere sopravvivere con un magro salario. Forse ci sarà un futuro migliore a medio-lungo termine, come risultato della crescente consapevolezza dei brasiliani sui problemi del proprio Paese, come conseguenza del maggiore peso politico dei gruppi sociali svantaggiati, come è avvenuto con l’elezione di Lula e il Partito dei Lavoratori (anche se solo con 1/3 dei voti) e delle progressive misure politiche al riguardo, la maggioranza delle quali è iniziata nell’ultima decade, cosa che raramente si vuole ammettere.
Ha altre opere in cantiere?
Sì, un romanzo per adulti il cui protagonista è un’adolescente, una ragazza. Sono già alle 60 pagine e non posso più cambiare il sesso del personaggio principale, o il narratore, che per adesso coincide con l’autore, anche se posso sempre escludermi dalla narrazione.
Come procede? Non alla perfezione – non succede mai – ma abbastanza bene da farmi continuare.
Ci riuscirò? Spero. Lasciatemi sorprendere me stesso, o che una parte di me sorprenda l’altra parte o parti di me stesso.
Parte di questa intervista è stata pubblicata sul numero 60 di LiBeR e nell'inserto redazionale Non solo Incas