Margaret Mahy, lei ha dichiarato che all’inizio della sua carriera di scrittrice è stata molto influenzata dalla letteratura inglese per ragazzi, e solo più tardi ha sentito che poteva usare il paese in cui era nata e cresciuta come sfondo dei suoi libri. Tom Fitzgibbon nel suo saggio sulla letteratura neozelandese per ragazzi (Beneath Southern Skies, Auckland, 1993) ha osservato che il suo libro The Tricksters “contiene la più riuscita evocazione del paesaggio marino della Nuova Zelanda dai tempi del racconto di Katherine Mansfield Alla baia”. Può descriverci come è cambiato nei suoi libri il modo in cui lei si è rapportata alla Nuova Zelanda?
Quando avevo circa quattordici o quindici anni un insegnante di inglese disse alla mia classe che gli scrittori della Nuova Zelanda dovevano scrivere della Nuova Zelanda. Ci presentò diversi autori neozelandesi. Piena di entusiasmo, io decisi di scrivere storie ambientate in Nuova Zelanda, ma scoprii che non era facile come sembrava. Io ero cresciuta in Nuova Zelanda ed ero contenta di essere neozelandese. Però, in un modo o nell’altro, i libri e i racconti che avevo letto durante l’infanzia avevano fatto sì che soffrissi di una sorta di dislocazione della fantasia. Ero cresciuta con il libri di Beatrix Potter, AA. Milne, Rudyard Kipling e così via. Mio padre inventava storie e me le raccontava, ma erano storie piene di tigri e leoni. Quando mi sono trovata a scrivere, ero più calata in un paesaggio creato dalla mia immaginazione che nel mondo che mi circondava. Molte delle mie prime storie non hanno una vera e propria ambientazione. Si svolgono in una sorta di non luogo magico, in cui animali favolosi, maghi e draghi coesistono senza problemi. Quando ho scritto The Haunting ho raccontato la storia di una famiglia, ma senza dire dove vivesse. Per me i personaggi erano in Nuova Zelanda, ma chi lo leggeva negli Stati Uniti pensava che fossero in Inghilterra e i lettori inglesi pensavano che fossero in Australia e così via. Però credo che, arrivata al libro intitolato The Changeover, riuscii a usare ciò che mi circondava in modo fantasioso. The Changeover è ambientato in un posto che assomiglia a Christchurch, la città in cui vivo, e penso che lì cominci il radicamento dei miei libri nella realtà neozelandese. Quando ho scritto The Tricksters ho scoperto che riuscivo a far sì che la spiaggia, le colline e il mare fossero quelli della Nuova Zelanda e in più contenessero l’elemento di magia che all’inizio non riuscivo a dare alle ambientazioni neozelandesi. Per arrivare ai miei paesaggi ho dovuto ritrovarli nella scrittura. Adesso naturalmente ci sono molti libri scritti da neozelandesi per tutte le età, e non credo che i bambini di oggi abbiano la sensazione che avevo io, che i miei paesaggi mancassero del potere evocativo e del mistero che veniva dai racconti ambientati in Inghilterrra o in Europa.
C’è qualcosa nella sua narrativa che lei sente ispirata più direttamente al modo di pensare neozelandese?
Vivo in un paese con una costa meravigliosa, un paese di terremoti, un paese con colline coperte di alberi locali, ma con città piene di alberi inglesi. Penso che ciò si rifletta nelle storie che scrivo. Nei miei libri ci sono certamente riferimenti a cose locali e al modo in cui si parla qui, ma la cosa interessante è che gli editori in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e persino in Australia spesso provano a tagliare questi riferimenti. Qualche anno fa un editore inglese mi disse che non dovevo accennare al fatto che i personaggi di un libro festeggiavano il Natale e le vacanze estive nello stesso tempo perché ciò poteva confondere i lettori. Io mi rifiutai di togliere quel brano. Ora sento che i libri che scrivo sono ambientati in Nuova Zelanda ma spero che il racconto e l’ambientazione facciano tutt’uno creando una nuova realtà.
Lei pensa che la realtà dei ragazzi neozelandesi sia ben rappresentata dagli scrittori del suo paese?
In questo momento sì… e penso che la realtà sia ritratta in molti modi diversi. Abbiamo sempre più scrittori che descrivono la vita cittadina, la vita in campagna, l’identità storica e la realtà moderna. Mi pare che i ragazzi neozelandesi possano trovare molto di sé e di quanto li circonda nei libri che escono oggi. Non era così quando io ero piccola. Penso che il successo di uno scrittore sia in qualche modo legato al successo degli altri. Quando scrittori e illustratori ritraggono il loro paese con successo crescente, ciò in qualche modo aiuta gli scrittori che vengono dopo di loro. Di questi tempi abbiamo romanzieri e scrittori di racconti che si cimentano con il realismo magico e altri che si concentrano nel raccontare la vita quotidiana. Penso che questo mostri il grado di maturità del nostro mondo letterario.
Nella sua lunga esperienza di bibliotecaria e di scrittrice come giudica l’interesse per la letteratura per ragazzi nel suo paese? I libri per ragazzi in Nuova Zelanda ricevono l’interesse che meritano?
Quando ero piccola non credo che ci fosse un grosso interesse per i libri degli scrittori neozelandesi. Molta gente non li prendeva in considerazione. A quell’epoca i nostri editori erano dei dilettanti. I libri prodotti in Nuova Zelanda non avevano un bell’aspetto. Se uno scrittore neozelandese era pubblicato oltreoceano era diverso.
I suoi libri venivano pubblicati meglio e ricevano maggiore rispetto. È quello che succede a una squadra sportiva, che riceve molto più interesse se si afferma in campo internazionale. Ora le cose sono cambiate. Molti libri vengono pubblicati con cura in Nuova Zelanda e, sebbene certi libri che vengono dall’estero siano molto popolari, le scuole dedicano attenzione ai libri neozelandesi e incoraggiano i bambini neozelandesi a leggerli. Abbiamo dei premi letterari che trovano spazio sui giornali e università che offrono borse di studio agli scrittori, anche a quelli per ragazzi. Naturalmente lo scrittore che viene tradotto all’estero viene tenuto in maggiore considerazione. In un paese come la Nuova Zelanda il successo internazionale di uno viene sentito come il successo di tutto il paese. Siamo un piccolo paese ai confini del mondo e abbiamo bisogno di qualcuno che si distingua anche solo perché ci ricordi che esistiamo nel mondo.
A proposito di premi letterari: come la fa sentire l’idea che ci sia un prestigioso premio neozelandese che prende il nome da lei mentre è ancora in vita ed è molto produttiva?
Ne sono orgogliosa e contenta e al tempo stesso riesco a riderne. Il successo è meraviglioso ma sembra sempre un po’ uno scherzo.
Interview to Margaret Mahy
by Federica Velonà
When I was about fourteen or fifteen a teacher of english at my local college told my class that New Zealand writers should write about New Zealand. He introduced us to a variety of New Zealand authors. Full of enthusiasm I decided to write stories set in New Zealand, only to find it was not as easy as it should have been. I had grown up in New Zealand and I loved being a New Zealander. However somehow or other the books and stories that had been read to me during my childhood had brought about a sort of imaginative displacement. I had grown up with the books of Beatrix Potter, A.A. Milne, Rudyard Kipling and so on. My father made up stories and told them to me, but they were stories with lions and tigers in them. Somehow or other, when it came to writing I believed in a curious landscape of the imagination rather than the actual world around me. Many of my early stories have not particular setting. They exist in a sort of magical nowhere, where fabulous animals, wizards, and dragons can all exist together without being questioned. When I wrote "The Haunting" I told the story about a family, but there is no real indication of what country they lived in.. I imagined them as New Zealanders, but people in the USA imagined the story as taking place in England, and English readers thought the story was set in Australia and so on. However I think that when I came to write my book called "The Changeover" I was somehow able to give my immediate surroundings a sort of imaginative extension. "The Changeover" is set in a version of Christchurch, the city I live in, and I think it begins to have a bit of precision along with imaginative mystery. And when I came to write "The Tricksters" I found I was able to make the beach and the hills and the sea belong to New Zealand and yet to have something of that magical extension which I had been unable to bring to a New Zealand setting in earlier books and stories. It was as if I had had to write my way back into my own surroundings. Of course by now there are many books written by New Zealanders for all age levels and I don't think children, growing up today, have the feeling that I did, which was that my own surroundings lacked the imaginative power and mystery which came to me from stories set in England or Europe.
Is there anything in you fiction that, in your opionion,is directly inspired by New Zealand way of thinking?
I live in a country with a wonderful shore-line, a country of earthquakes, a country with hills covered in native trees, but with cities planted with English trees. I think some of this comes over in the stories I write. I think there are ways the characters say things that increasingly suggest New Zealand. There are certainly local references and vocabulary, but the interesting thing is that editors in Britain and the USA and even Australia often try to edit these out or change them in some way. Some years ago now a British Editor told me not to mention that the characters (in "The Tricksters" I think) were enjoying Christmas and the summer holidays at the same time.They said it might confuse theire readers. However I refused to change this. By now I feel the stories I write are set , essentially, in New Zealand, but I hope they do not seem self-consciously so. I hope the story and the setting blend together to make a single imaginative experience.
How important is the element of unexpected in your books?
I think unexpectedness is important to many stories, and I think there are unexpected things in a lot of my books. I think "Alchemy" tells the story of a hero who has to encounter a series of unexpected revelations - at first about himself and his school teacher, then about the heroine Jess, then about the teacher again and about himself again. I think there are unexpected things revealed about the family in "Twenty Four Hours" and of course I think unexpectedness comes out in "The Changeover" and "The Tricksters too. For example I think early in "The Changeover", the fact that Sorensen, a male, is also a witch must be unexpected, because witches are usually seen as female. And I think that finding out that the three brothers in "The Tricksters" are all aspects of Teddy Carnival must be unexpected too.I enjoy unexpectedness when I am reading, and feel pleased when some unxpected idea comes to me when I am writing. But, as I say, moments of unexpectedness are part of any good story.
Do you think that the reality of young people in New Zeland is well portraied by New Zeland writers for children and young adults?
These days I think it is...and I think that reality is portrayed in a great many ways. We have more and more writers who write about city life, country life, fantasy, historical identity and modern reality. I think New Zealand children can encounter elements of themselves and of their own surroundings in the books that are available today. This was not true when I was a child. I think the success of one writer somehow links into the sucess of others...I think that as writers and illustrators portray their own country with increasing success, it somehow established a basis for writers who come after them. These days we have novelists and short story writers who move into the field of magical realism and we have others who concentrate on the portral of day-to-day life. I think this shows developing self-confidence and ease in out writing world.
In your long experience as a librarian and as a writer how do you judge the interest for children's literature in your country? Do books for children in New Zealand get the attention they deserve?
When I was a child I don't think there was a great interest in stories by New Zealand writers. Many people tended to dismiss then. Of course, back then, our local publishing was rather amateurish. Books produced in New Zealand did not look at all impressive. If a New Zealand writer was published overseas it was rather different. Their books were almost always better produced and were more respected in New Zealand. It was rather like a sports team winning greater interest and respect if they did well internationally. Now things are rather different. Many books published in New Zealand are well produced, and, though certain books from overseas are very popular, schools tend to pay attention to New Zealand books and encourage New Zealand children to read them. We have Book Awards that get attention in the newspapers and universities offer fellowships for writers, incluidng children's writers. Of course any writer who does well overseas still gets extra respect. In a country like New Zealand international success seems like success for the whole country, and because we are a small country on the edge of the world, we need to have some of our people do well, simply to remind ourselves that we have a world presence.
A last curiosity: how do you feel having a literary award named on you when you are still alive and productive?
I feel proud- and pleased - and at the ame time I want to laugh about it.
Success is wonderful, but it can also be a bit of a joke.