Philip Pullman; trad. di E. Levi
Salani, 2007, p. 233
€ 13,00 ; Età: 12-14
The broker bridge è del 1990 ed è stato pubblicato in Italia nel 1993 nella Gaia Junior con un’altra traduzione e un altro titolo, Una ragazza color caffelatte. Ma un bel libro è sempre un bel libro. L’incipit è fulminante: nel cortile della scuola la piccola Ginny viene presa in giro con una di quelle filastrocche derisorie di cui è ricco il folklore infantile britannico: “Ini Mini, prendi stretto / Per il piede quel negretto”. E quando la sera papà le fa il bagno, lei gli chiede di strofinarla forte perché è sporca e vuole essere dello stesso colore dei compagni. Adesso la sedicenne Ginny, di padre gallese e orfana di madre haitiana, una pittrice, pure lei dotata di talento artistico, si sente una bianca con la faccia nera.
Ma quello razziale è solo un aspetto di una tematica più vasta e complessa che attiene al passaggio tra confini di mondi e stati psicologici diversi: infanzia e adolescenza, Galles e Caraibi, Europa e Africa, antenati bianchi forse negrieri e progenitori neri sicuramente schiavi, creatività dell’arte e conformismo familiare, sensualità e gentilezza (i ragazzi gentili non sono sexy e viceversa, ci si confida tra amiche). Improvvisamente nella vita quieta e monotona irrompe un elemento di turbamento, un fratellastro sconosciuto, come un cuculo nel nido, e Ginny viene a sapere che i suoi genitori non erano sposati, lei è figlia illegittima, “bastarda”, e la madre forse è viva.
La protagonista va alla ricerca della sua identità di adolescente attraverso i segreti e i misteri che la circondano e che Pullman sa comporre in disegno ordinato con la sapiente architettura narrativa di un feuilleton: la nascita illegittima, l’abbandono in orfanotrofio, il rapimento da parte del padre che finisce in prigione come pedofilo, il ricongiungimento, la comparsa dell’intruso, il mistero intorno alle due madri, la famiglia come incubatrice di veleni e nevrosi.
Forse Pullman mette troppa carne al fuoco, a esempio il ragazzo nero, adottato e omosessuale, anche se il personaggio rientra nella polarità diversità/disadattamento. Resta infine a Ginny – e ai lettori – la “consapevolezza dell’immenso dolore che può toccare a un essere umano” e l’intuizione che l’arte può essere una grande forza conoscitiva e salvifica, “una specie di woodoo, che si impossessa degli uomini e dà loro poteri sovrannaturali, come vedere al buio”.
Fernando Rotondo
(da LiBeR 76)