Lo scrittore Bernard Friot risponde alle domande immaginarie di Eléonore Grassi con piglio molto realistico, e racconta la sua idea di scrittura, lettura e vita.
L’incontro con Bernard Friot all'Accademia Drosselmeier di Bologna ha fatto nascere questo lavoro: sbobinare il suo intervento e trasformarlo in un'intervista, inventando le domande. Le risposte, invece, sono reali.
Fatti una domanda e datti una risposta.
Vorrei iniziare con una domanda che mi faccio spesso “Che cosa fai?”, perché “scrittore” non è veramente un mestiere. Ogni scrittore fa un mestiere diverso, ogni scrittore ha la propria idea del suo mestiere, ha un proprio rapporto con la scrittura, soprattutto quando sei uno scrittore per ragazzi. Per me è stato difficile accettare di fare questo mestiere e considerarlo un mestiere perché avevo un’immagine dello scrittore molto strana e quando sento tanti scrittori parlare del loro mestiere e del loro rapporto con la scrittura non vedo nessun legame con la mia esperienza.
Non bisogna fidarsi degli scrittori. Io parlo da scrittore, voi non dovete credere a tutto quello che dico. Penso che sia molto difficile uscire dai discorsi dominanti. Così come c'è il politically correct c'è anche il “letterariamente corretto”. Ci sono cose che si dicono e che si danno per scontate, si dice che la lettura è importante. Ma quale lettura? Quando? In quali occasioni? Come? La stessa parola “lettura” può avere significati molto diversi: leggere a scuola non è la stessa cosa che leggere a casa, leggere un giornale è diverso da leggere un libro, leggere un libro di cucina è diverso da leggere un romanzo. E, attenzione, non è una questione di qualità ma è una questione di rapporti sociali: non si legge nello stesso modo e si può leggere lo stesso libro in tanti modi diversi. Le parole sono naturalmente un grande aiuto ma sono anche un grande pericolo perché non possiamo essere sicuri che sotto alla stessa parola ci sia lo stesso significato.
E poi ci sono tanti discorsi sulla scrittura che per me sono assolutamente strani. E allora Rodari per me è stato un grande aiuto, non solo per i suoi libri, ma per tutto quello che ha raccontato sul suo modo di essere scrittore, di fare lo scrittore e soprattutto perché io avevo sempre questa domanda in testa: “qual è l’utilità sociale di uno scrittore?”. Quando ero insegnante era facile rispondere a questa domanda perché il compito dell'insegnante è chiaro. Si può naturalmente discutere, non tutti gli insegnanti hanno la stessa immagine del loro mestiere ma il loro compito è più chiaro. Ma per uno scrittore per ragazzi non è così semplice. Io mi faccio questa domanda perché direttamente o indirettamente ricevo soldi pubblici; quando faccio un incontro in una scuola o in una biblioteca, ricevo soldi pubblici. Poi le biblioteche comprano i miei libri con altri soldi pubblici. Io prendo questi soldi pubblici. Ma in compenso, che cosa do alla società? Qual è la mia utilità sociale? Tutto il discorso di Rodari, tutto quello che lui ha detto e scritto sul suo mestiere, mi ha davvero molto aiutato a pensare e trovare un modello. Lo scrittore non è l'espressione di se stesso, non è solo questo. In Francia si leggono spesso scrittori che dicono “io scrivo perché non so fare nient'altro”. Per me è una stupidaggine assoluta! Perché non è vero che non so fare altro: io posso cucinare, per esempio, e posso fare tante altre cose. E non sento la necessità di scrivere. Posso vivere senza scrivere. Anzi, scrivo perché non ho la necessità di scrivere. Perché sono libero di scrivere o di non scrivere. E ho capito che non scrivo mai da solo. Sono solo un punto in una grande catena: ci sono le parole delle persone attorno a me, le cose che vedo, le esperienze che faccio con ragazzi ma anche con adulti e tante altre cose, e la scrittura è il modo di captare tutte queste cose e trovare una forma per esprimerle e poi condividerle. Ho l'impressione di essere un ricettore e poi di emettere. E così faccio parte della società, della vita, ho il mio ruolo da giocare ma sono solo un punto tra altri punti. Ho sempre questa idea di far parte di una comunità e io sono uno tra i tanti altri. È molto più bello, secondo me. Può sembrare un po' astratto tutto questo ma è così che ho potuto legare il mio primo mestiere, il mestiere di insegnante, e questo nuovo mestiere di scrittore.
Scrivere è anche un modo di tradurre: faccio traduzioni di libri ma cerco anche di tradurre tutto quello che vedo, che sperimento con gli altri, cerco di tradurre tutte queste cose in poesie, racconti, romanzi. E credo che il mio compito non sia solo scrivere − e questo l'ha detto anche Rodari − ma anche aiutare gli altri a scrivere le loro storie. Rodari dice: “non perché tutti siano artisti ma perché nessuno sia schiavo”. Per me il mestiere di scrittore è un altro modo di insegnare, di trasmettere. Io non ho figli ma secondo me l'educazione non è solo compito dei genitori, è il compito della società. Ogni generazione deve trasmettere tutto quello che ha ricevuto e poi tutto quello che ha inventato.
Parliamo della letteratura per ragazzi.
Spesso dico che la letteratura per ragazzi non è letteratura. Significa che di tutti questi dibattiti sul riconoscimento della letteratura per ragazzi come letteratura, a me, non importa niente. Non mi interessa il riconoscimento della critica, per me non è importante. Il riconoscimento è quando un bambino apre il tuo libro o quando il bambino legge ad alta voce a un altro bambino una storia, una poesia: questo è il vero riconoscimento. Anche quando il bambino scrive una storia ispirandosi a una storia che ha letto, e senza saperlo, nella storia ha scoperto la struttura e questa struttura lo aiuta a scrivere la propria storia. Leggere per me è scrivere la propria storia. Questo l'ho capito quando ho lavorato con bambini e ragazzi, ho capito che loro all’inizio mi hanno dettato tante storie. Ho iniziato così: io ero il segretario. Anche i bambini che hanno difficoltà a scrivere hanno tante storie nella testa. E spesso iniziavamo con storie che avevano visto o sentito alla televisione e io all'inizio mi dicevo “ma che banalità, raccontano una storia che hanno visto due giorni prima in televisione, è banale” ma dopo ho capito che loro usano questa storia come il cavallo di Troia perché dentro alla storia che raccontano c'è la loro storia. Utilizzano le strutture della storia per raccontare la propria storia personale. Iniziano con una favola ma la favola dopo dieci righe è la loro storia. Usano i personaggi delle storie tradizionali o delle storie viste in televisione per raccontare la loro storia.
E credo che leggere sia la stessa cosa. Questo vuol dire che leggo le mie storie in tutti i romanzi che leggo. Vuol dire che scopro aspetti di me che non ho ancora scoperto, leggendo la storia di una donna anziana in Corea o in Giappone, una storia scritta 500 anni fa, in una cultura totalmente diversa dalla mia, con personaggi totalmente diversi da me, ma è la mia storia. Per me questo è il miracolo non solo della lettura ma dell'umanità: ogni persona mi assomiglia. Ogni persona è diversa e ogni persona porta in sé un pezzo di me. Questo è anche il miracolo della letteratura perché quando uno scrittore racconta una storia molto precisa e particolare, questa storia allo stesso tempo è la storia di tutti. L'universalità si scopre nell'individualità. E penso spesso alla domanda che mi ha fatto una volta una bambina in Marocco. Aveva 8 anni, lei era in piedi perché c'erano tanti bambini e non c'erano posti per tutti, era molto lontana da me ma esattamente di fronte a me, mi ha guardato negli occhi, così incredibilmente seria, e mi ha chiesto “ma tu scrivi per tutti i bambini del mondo?”. Penso sempre a questa domanda. Non so bene la risposta, ma credo che sia possibile parlare a tutti quando si parla del proprio intimo; “intimo” non solo nel senso della propria intimità, che non è più interessante di quella degli altri, ma anche nel senso di quando crei un personaggio e dopo un po' di tempo hai l'impressione che il personaggio è vivo, vuol dire che hai captato aspetti dell'umanità e il personaggio è solo un modo di dare forma viva a questi aspetti.
Ritorniamo alla letteratura per ragazzi. Tu vivi in un paese in cui la letteratura per ragazzi è riconosciuta...
No, non è riconosciuta, tutti gli autori e tutti gli specialisti di letteratura per ragazzi si lamentano che la letteratura per ragazzi non ha il riconoscimento che merita. E questo avviene in tutti i paesi, questo discorso lo sento dappertutto. E io non capisco perché. Il riconoscimento lo abbiamo quando un bambino legge un libro e non importa se la televisione e i giornali non parlano della letteratura per ragazzi; anzi, secondo me è anche un pericolo quando i giornali parlano di letteratura per ragazzi. Quando vedo come funziona per la letteratura per adulti, in Francia, dove tutto è concentrato a Parigi: parlerebbero solo dei libri e degli editori “amici”, perché quel giornalista ha scritto un libro per quella casa editrice e poi il marito di questa scrittrice... conosco questo mondo e per fortuna non si interessano alla letteratura per ragazzi, per fortuna!
È molto più importante il passaparola. Più ci sono fonti di informazione − genitori, librai, bibliotecari, insegnanti ma anche lettori di tutte le età − più ci sono libri diversi, da scegliere, selezionare. Ci sono tanti libri diversi per tanti lettori diversi. Approfittiamo di questa diversità: diversità di libri per diversità di lettori. Inoltre: scegliere i migliori libri, ma che cosa significa? Quando vedo i libri premiati a Montreuil, che è il grande salone della letteratura per l'infanzia in Francia, penso che i premi siano ridicoli. I premi vanno sempre ai libri più elitari, albi illustrati che nessun ragazzo “normale” può leggere! Va bene, esagero un po’, ma questo è un altro argomento che mi fa arrabbiare! [ride]. A me il tema del riconoscimento della letteratura per ragazzi non importa, il tema veramente importante è la promozione della lettura. Condividere, permettere a tutti i bambini e a tutti i ragazzi di avere un contatto facile e quotidiano con la lettura, questo per me è il punto centrale. Perché in Francia abbiamo tanti libri e abbiamo tante biblioteche ma ci sono ancora oggi tanti bambini che non hanno un rapporto “facile” con i libri, ci sono tanti libri in biblioteca che non escono mai, perché gli orari di apertura delle biblioteche in Francia sono molto stretti, i più stretti di tutta l'Europa, in media meno di 20 ore settimanali, un po' di più nelle grandi biblioteche ma la media è molto bassa. Il numero dei metri quadrati di biblioteche è aumentato negli ultimi 30 anni in modo molto forte, ma nello stesso tempo il numero delle persone iscritte è diminuito. Abbiamo sempre più libri e sempre meno lettori. E questo non è soltanto il problema della lettura ma è il problema dell'arte in generale. Negli anni ’80 la spesa pubblica per la cultura è stata raddoppiata ma non c'è stato uno spettatore in più nei teatri, un visitatore in più nei musei. Non è solo un problema della lettura ma è un problema di ineguaglianza nei confronti della cultura: vuol dire che ci sono sempre più soldi pubblici per sempre meno persone. Chi approfitta prima di tutto di questi soldi? Gli artisti, gli scrittori.
Nel 1984, in Francia, c'erano 48 scrittori iscritti all'associazione scrittori per ragazzi, adesso, nel 2017, ce ne sono più di 1200. Una crescita incredibile. Se nello stesso tempo il numero dei lettori fosse aumentato nello stesso modo sarebbe un miracolo. La stessa cosa avviene per il teatro, per l'arte, eccetera: sono soprattutto gli artisti che possono godere di questo denaro pubblico e poi il 2-3 % della popolazione. In Francia meno del 2% della popolazione va una volta all'anno in un teatro pubblico. Per me questo è il problema principale. Il libro, la lettura è l'arte più aperta e facile, è facile aprire un libro, è facile comprare, regalare un libro ma andare a teatro è più difficile. Tra le istituzioni culturali, la biblioteca secondo me è quella più aperta.
E poi c'è anche un altro fatto: oggi, in Francia, meno del 15% della popolazione è iscritta a una biblioteca; va bene, ci sono numeri molto diversi a seconda delle città: a Marsiglia meno del 5% ma ci sono altre città, come Clermont-Ferrand, che da anni è la città dove il numero di iscritti è il più alto, dove gli iscritti sono più del 30%, e conosco piccoli paesi dove la percentuale di iscrizione è molto più alta.
Questi dati vogliono dire che non è una casualità ma il risultato di una politica culturale. E c'è ancora tanto da fare. Per la lettura, secondo me, il problema principale è che perdiamo troppo tempo a scegliere i libri e a valutare la qualità di un libro. Naturalmente la qualità è importante ma non basta. Quello che è importante è il lettore, il percorso del lettore, il suo rapporto con la lettura. Il libro è solo un pezzo di questo percorso. Quello che è importante sono anche gli altri lettori, i rapporti con la lettura, che sono sempre rapporti con persone. Il libro, soprattutto per un bambino, viene soprattutto da una persona, viene da una relazione sociale. Io faccio tantissimi incontri con bambini e ragazzi sulla lettura. Prima dell'incontro dico sempre alla bibliotecaria o all'insegnante di chiedere ai bambini o ragazzi di portare il giorno dell'incontro un testo − dico sempre “testo” e non “libro” − che per loro è importante. Attraverso questi incontri ho scoperto che c'è una cultura famigliare che è molto importante e molto diversa, perché spesso le bibliotecarie o le insegnanti mi dicono “in queste famiglie non si legge, non hanno libri” ma poi scopro che non è vero! Quando portano il testo portano libri, riviste o altro, ma soprattutto libri. Ho fatto tantissimi incontri, ho calcolato che ho visto più di 500 bambini e ragazzi e non è mai successo, mai, che un bambino non portasse qualcosa all'incontro. Questa è stata per me una grande sorpresa. Ma quando portano libri, molto spesso sono libri che io non conosco. Sono libri che non si trovano a scuola o in biblioteca. Vengono da altri circuiti di distribuzione di libri che io non conosco, sono spesso libri di case editrici che non ho mai visto. Poi sono spesso libri vecchi, della tradizione famigliare. Per esempio un libro che il nonno ha comprato e ha regalato al figlio e il figlio ha regalato a sua volta a suo figlio. Il valore del libro è prima di tutto legato alla tradizione famigliare, alla persona che ha regalato il libro. Questo significa che dentro al libro c'è una storia ma ancora più importante è la storia legata al libro. La prima domanda che faccio è sempre “da dove viene il tuo libro?” e ho raccolto storie meravigliose, che mi danno speranza.
Quindi adesso non parlo più di lettori e non lettori, siamo tutti lettori perché abbiamo tutti un rapporto con la letteratura e la lettura, diretto o indiretto. Tutti conoscono Pinocchio, anche se non l'hanno letto. Si può leggere in tanti modi diversi. Se io racconto una storia, quello che ascolta la storia la legge, la legge con le orecchie. Ascoltare una storia è un modo di leggere.
Cosa ne pensi degli incontri con gli autori?
Un incontro in Germania si chiama “lettura d'autore”, un incontro con un autore, per adulti o per ragazzi è lo stesso, è soprattutto una lettura ad alta voce. In un'ora di incontro, 45 minuti sono di lettura e un quarto d'ora di bla bla bla. In Francia, un'ora di bla bla bla. Neanche una riga letta. Quando uno scrittore presenta un libro parla del libro, attorno al libro, ma non legge neanche una riga. E tu esci dall'incontro che sai che il libro è un capolavoro, che lui ha sofferto molto per scrivere questo libro, eccetera eccetera ma non hai sentito nessuna parola di quel libro.
Recentemente ho ascoltato una trasmissione in cui una scrittrice ha raccontato che lei, scrivendo, dà senso al mondo. Mi arrabbio quando sento una cosa del genere! Come può, questa, da sola dare senso al mondo, con il suo libro che forse leggeranno dieci persone? [ride] Esagero sempre ma...
Forse dà senso al suo mondo...
Esattamente, esattamente questo! Dà il suo senso al suo mondo. Sono i lettori che danno senso al libro, io propongo parole ma la costruzione del libro la fa il lettore, io do gli strumenti. Perché ho raccontato questo? Mi arrabbio sempre! Io detesto gli scrittori! [ride]
Ci sono due tipi di persone nei miei libri che sono sempre ridicoli: gli insegnanti, perché sono stato insegnante e adesso anche gli scrittori perché sono scrittore. Escono sempre dei personaggi ridicoli, ma non posso fare altro!
E se dico “letteratura di qualità”?
Io non scrivo letteratura di qualità, è il lettore che fa la qualità del libro. Questo è molto importante, l'ho capito quando ero insegnante. Quando ero insegnante, facevo anche traduzioni per una casa editrice molto nota, la casa editrice di qualità in Francia, avevo tutti i libri della casa editrice perché me li mandavano e io li portavo a scuola. Era una scuola in un quartiere popolare nel nord della Francia e i miei alunni potevano prenderli ma non volevano leggere questi libri. E io non capivo perché. Poi un giorno un ragazzo ha avuto pietà di me e mi ha dato la spiegazione “Mais, Monsieur, ce ne sont pas des livres pour nous” (Ma, signore, non sono libri per noi). Per me è stato uno schiaffo, perché in un certo senso avevano ragione loro. La presentazione di questi libri, molto austera, molto elitaria, prodotti a Parigi, in un bel quartiere, anche i personaggi di questi romanzi: ci sono molti più figli di psicanalisti che figli di operai del nord. Questi ragazzi avevano capito che questi libri non erano scritti e prodotti per loro. Naturalmente tra questi libri c'erano anche libri per loro. Allora ho deciso di leggere questi libri ad alta voce, ed era diverso. Ma la presentazione, la scelta della copertina è anche una scelta sociale. E a 11 anni un ragazzo lo capisce. Per me è stato veramente uno shock molto violento. Ho capito in quel momento che la scelta della casa editrice è anche una scelta sociale, sceglie il suo pubblico. Quindi, se io pubblico con quella casa editrice scelgo un pubblico più fortunato. Anche il prezzo dei libri è una scelta. Questa stessa casa editrice adesso pubblica romanzi in formato tascabile e senza illustrazioni a 18 euro. Il libro, Storie di quadri (a testa in giù), esiste adesso in Francia anche in formato tascabile a 7,5 euro, con tutte le riproduzioni dei quadri. È una scelta che ho fatto, senza saperlo devo dire, ma adesso so che ho scelto la casa editrice giusta, un buon compromesso tra qualità e accessibilità.
Comunque questo non è buono per il mio cuore, devo stare un po' più tranquillo! Ma non posso, sono uno scrittore arrabbiato! [ride] Ma non scrivo con rabbia. Però non capisco certe cose, penso che i libri sono per tutti e penso che tutti ma davvero tutti possano essere scrittori e lettori, perché non è così difficile leggere e non è così difficile scrivere.
Parliamo di storie e di come si passa dall'atto della lettura a quello della scrittura.
Ci vuole così poco per inventare una storia, Gianni Rodari l'ha spiegato nella Grammatica della fantasia. La cosa più difficile è trovare la forma giusta e la struttura giusta, per la storia e per il lettore, per raccontare la storia in modo tale che il tuo lettore possa costruire un senso. Un senso utile per lui. L'ho capito dopo tanti anni ma per me l'importante è il lettore e quello che è utile per lui. Prima di tutto: perché si raccontano storie? Anche noi adulti ci raccontiamo storie, ascoltiamo storie, anche in politica adesso si parla di storytelling, l'ho spiegato in questo racconto che si chiama “La sedia” (in Storie di quadri (a testa in giù)), che raccontare storie è un modo tra gli altri di interpretare il mondo. Ci sono cose che non si possono dire direttamente, allora usiamo il racconto, nella vita di tutti i giorni così come nella letteratura. Naturalmente è molto importante non soltanto ascoltare storie ma anche poter raccontare storie e per raccontare storie abbiamo bisogno di strumenti. E tra gli strumenti ci sono le strutture narrative; ci sono naturalmente tante strutture possibili, c'è la struttura della fiaba, c'è la struttura del racconto in prima persona, per esempio.
Io ho sempre cercato, quando scrivo racconti brevi, di mettere in un libro racconti brevi diversi: quasi sempre ogni racconto ha una struttura diversa; ci sono anche racconti che giocano con le strutture tradizionali, per esempio quando racconto una fiaba come se fosse un problema di matematica. Ci sono tanti modi di raccontare. E spontaneamente i lettori usano queste strutture.
Vedendo come i miei lettori utilizzano le strutture dei miei racconti per raccontare la propria storia ho scritto un libro, un manuale di scrittura, scritto da uno dei personaggio dei miei libri, Ben Cardin, che si chiama Super manuel pour devenir un écrivain génial. È un libro che sta andando benissimo, sono state vendute più di ventimila copie e per me è stata una sorpresa, ma questo conferma quello che ho già visto tante volte e cioè che i ragazzi scrivono e scrivono molto. Fuori dalla scuola! Anche quelli che non sono bravi a scuola, che non sono bravi a fare i temi a scuola, scrivono.
Anche gli adolescenti maschi scrivono e scrivono anche poesie. Quando faccio un laboratorio di poesia, ci vogliono alcune ore, anche un giorno, ma poi fanno quello che chiamo il “coming out poetico” e sono soprattutto i maschi che scrivono poesie. E questo perché prima di tutto l'adolescenza − e si dimentica spesso − è anche un momento dove si sviluppa il linguaggio, ogni generazione ha il suo gergo, ogni generazione sperimenta con la lingua e la poesia è un modo di sperimentare con la lingua; e poi si fanno nuove esperienze emotive e c'è il bisogno di esprimerle. Non solo la poesia ma la scrittura in generale e tutti i libri sul linguaggio sono molto importanti a quest'età. Questi non sono i discorsi tradizionali dell'adolescenza ma penso che dare agli adolescenti la possibilità di esprimere tutto quello che si vive, con la letteratura, con la musica, con lo sport, con la cucina, con la danza, non importa con cosa – più modi diversi di comunicare hanno a disposizione meglio è – questo, penso che sia un bellissimo compito, e ben più importante di avere una recensione in un giornale nazionale. Ci sono tanti tramiti, quello che è importante per me è di nutrire tutti questi circuiti di trasmissione, direttamente, sennò non è efficace. Chi legge i giornali nazionali? Da noi chi legge Le monde sono già persone che leggono, che conoscono, che hanno libri in casa, che possono trasmettere libri ai loro figli. Più importante, allora, è incontrare le persone, senza pensare cioè che le persone non hanno nessun rapporto con la lettura, hanno semplicemente un rapporto diverso. Secondo me l'importante è dialogare. Io leggo, tu leggi, condividiamo le nostre letture. Devo riconoscere l'altro come lettore; comunque, anche se non ha libri a casa, ha un rapporto con la lettura. Per me è stato importante capire questa cosa.
Senza saperlo impediamo a tanti tanti tanti bambini di leggere. Quando mi fanno questa domanda “Cosa posso fare per far leggere mio figlio?” io dico sempre “La prima domanda da farsi è: come fare a non impedire a mio figlio di leggere?”. Lui non legge: che cosa significa? Che lui non legge libri. In particolare che non legge romanzi. Un giorno un bambino di 11 anni, mi porta un libro grosso così, un graphic novel e si scusa perché, mi dice, non è un libro da leggere. È una cosa assurda. Vuol dire che lui ha captato questi discorsi e si considera non lettore. Era un libro bellissimo, di immagini e di parole ma non era un romanzo. Lui ha capito che per tanti adulti, soprattutto bibliotecari e insegnanti, leggere è leggere romanzi.
Nei concorsi in Francia ci sono tanti premi dati giovani lettori. Naturalmente sono libri scelti da adulti, e i giovani lettori devono leggere i 5 o 6 libri scelti e decidere il migliore. Ma sono sempre romanzi, e poi sono sempre romanzi francesi, scritti da autori francesi e sono sempre libri usciti quell'anno. Ma questo non ha senso, perché: dov'è il lettore? Cosa significano queste cose per il lettore? A lui non importa se il libro è uscito nell'anno in corso o dieci anni prima, quello che è importante è se il libro è interessante per lui. Non gli importa se il libro è un libro originale francese o tradotto. Tutto questo serve solo come preparazione a comprare i libri premiati quando sarà adulto. Sono veramente uno scrittore arrabbiato! [Ride]
Alcuni tuoi racconti, anche se sono scritti per ragazzi, sembrano delle provocazioni per adulti.
Si ma non l'ho fatto apposta, non era mia intenzione. Io non ho nessuna intenzione quando scrivo una storia, ho solo l'intenzione di scrivere la storia. Adesso ho capito che devo fidarmi delle storie che mi vengono alla mente e soprattutto non interpretare le mie storie. Questo non è il mio compito, è il compito del lettore. Posso farlo come lettore ma non come autore. Quando parlo di queste storie lo faccio come un lettore tra altri e non ho più diritti degli altri lettori.
Quando leggo Rodari sono molto invidioso perché lui scrive storie più positive delle mie. Penso che questo sia dovuto al fatto che io scrivo in un'altra epoca, lui ha scritto nel dopoguerra, in un periodo di ricostruzione più ottimista. Avrei tanto voluto scrivere le storie di Gianni Rodari! Anche adesso sarebbe più difficile scrivere le storie che ho scritto negli anni ’80 e ’90, oggi quando scrivo sono po' più cupo, perché l'epoca non è così sorridente.
E poi penso che una storia comunque è un gioco. Quando vedi i bambini giocare, in maniera naturale sottolineano le cose. Mi ricordo di una mia amica che era sconvolta quando vedeva sua nipote, che aveva tre anni e andava da pochi mesi alla scuola materna, giocare alla scuola e fare la maestra. Perché la maestra gridava, gridava, gridava. E lei pensava che la sua maestra fosse terribile. E poi è andata a incontrare la maestra e ha visto che era molto carina e gentile. Ma perché la nipote giocava in quel modo? Ma perché entrare nella scuola, quando sei cresciuta da sola o con due fratelli, è una violenza sociale, ti trovi in mezzo a trenta bambini che urlano e litigano e lei tutto questo l'ha espresso con questo gioco. Il gioco non è la realtà, è un'interpretazione della realtà per esprimere sentimenti ed emozioni. Le mie storie non sono realistiche, non completamente, sono un gioco, una caricatura che permette di esprimere. E esprimere vuol dire far uscire. E infatti dopo che le ho scritte mi sento meglio!
Parliamo ancora dei tuoi libri?
Ci sono storie che ho scritto tanti anni fa e adesso mi perseguitano, sempre. Io adesso penso ai nuovi libri, ai libri che scriverò ma devo sempre rendere conto dei libri che ho scritto ma per me quello è il passato. Non è così terribile ma in verità devo sempre parlare di uno scrittore che non c'è più e non sempre ricordo esattamente come ho scritto tutte quelle storie e chi ero a quell'epoca e quindi finisce che racconto storie perché naturalmente devo sempre rispondere alle stesse domande – come hai scritto, perché hai scritto, etc – lo racconto ma il racconto adesso è solo una storia, è fiction, per questo non bisogna credere a tutto quello che raccontano gli scrittori. Neanche io conosco la verità, l'ho dimenticata.
Promozione alla lettura: cosa ne pensi e come farla?
In Francia, l'ho capito dopo, non si parla di promozione della lettura, si parla di promozione del libro. È completamente diverso. È una politica dell'offerta, molto liberale. Noi francesi, nell'ambito della cultura siamo molto liberali, vuol dire che puntiamo tutto sull'offerta: abbiamo sempre più libri. Ma non facciamo abbastanza per la domanda, per aiutare e sviluppare la domanda, cioè lavorare dal punto di vista dei lettori e capire quali sono i libri utili per loro, quali sono le azioni di promozione che sono efficaci e utili per quale pubblico, perché non c'è un lettore, il lettore non esiste, ci sono lettori diversi, maschi e femmine non hanno le stesse domande, i lettori delle grandi città sono molto diversi dai lettori delle piccole città dove non ci sono biblioteche e soprattutto non ci sono librerie. Dobbiamo inventare libri diversi e anche modi di comunicare, trasmettere e condividere diversi. Mi piace la parola “condividere” perché vuol dire che lo facciamo tutti insieme, non è un rapporto gerarchico tra chi sa e chi non sa, la cultura è un dialogo. Anche questo mi fa molto arrabbiare, il fatto che in Francia le istituzioni culturali non sono luoghi di democrazia! In un teatro, in una biblioteca, come utente – in una biblioteca non si parla neanche di lettori ma di utenti – non ho nessun diritto di partecipare alla gestione e all'organizzazione della biblioteca. Questo non è strano? E nei teatri è ancora peggio. Hai sul palcoscenico attori che ti dicono che cos'è la democrazia ma tu nel teatro non hai nessun diritto e nessuna possibilità di pensare la programmazione e la gestione di questo luogo pubblico. Secondo me bisogna assolutamente pensare a questa contraddizione. Ci sono, per fortuna, pochissime ma ci sono, alcune biblioteche che riflettono, che cercano di coinvolgere il lettore nell'organizzazione della biblioteca, perché io come lettore non ho solo voglia di cercare un libro ma di partecipare, di incontrare altri lettori, di condividere la mia esperienza e la mia conoscenza dei libri.
In tutto il tuo discorso, fin dall'inizio, è come se dicessi che c'è sempre una linea, una distinzione tra cultura alta e cultura bassa, popolare...
C'è una cosa che ho sempre pensato ma l'ha detta prima di me Marie-Aude Murail − e sono molto arrabbiato con lei perché l'ha detto prima di me − ed è che la letteratura per ragazzi fa parte della letteratura popolare. Non è sempre vero ma in fondo è vero perché quando si scrive per ragazzi e bambini è più facile contattare lettori molto diversi, anche perché tramite i ragazzi si può comunicare anche con gli adulti, con i genitori. Non dobbiamo dimenticarlo. È anche per questo che la questione del riconoscimento della letteratura è molto pericoloso, perché vuol dire che se prendiamo come esempio e come modello la letteratura per adulti, significa che quando parliamo di letteratura parliamo di letteratura per una minoranza di adulti. E non dobbiamo dimenticare che la letteratura la fanno i lettori, non gli scrittori e non i critici.
Porto sempre l'esempio di George Simenon: all'inizio, i suoi, erano roman de gare, letteratura da stazione, il gradino più basso della letteratura popolare. Quando sono usciti erano considerati così i libri di Simenon mentre adesso sono pubblicati nella collana più elitaria dell'editoria francese, La Pléiade.
E il libro è sempre lo stesso.
Esattamente! Che cosa è cambiato? La lettura di questi romanzi. Vuol dire che sono stati i lettori che hanno trasformato questi romanzi da letteratura da stazione in grande letteratura.
Una lettura è sempre l'incontro tra un libro e un lettore in un momento preciso.
E non posso giudicare la qualità della lettura solo dal libro, che vuol dire in verità, solo dalla mia lettura di questo libro. Io penso che questo libro è un libro di qualità e penso che tutte le letture di questo libro saranno lettura di qualità ma non è vero. Si può fare una lettura splendida di un libro che io non considero di valore. Al contrario, come insegnante ho visto tante volte letture inutili di Madame Bovary, fatte da adolescenti che sono costretti a leggerlo e cosa esce da questa lettura? Niente. Per loro è una rottura e non vogliono più sentire parlare di Madame Bovary per tutta la loro vita. È un capolavoro ma la lettura che ne fanno è zero. E poi c'è il libro, c'è il lettore ma ci sono anche gli altri lettori. Dipende dal momento, dalla persona che ti regala il libro, da tanti fattori. C'è un proverbio inglese che per me, come insegnante, è stato molto importante: dice che per insegnare il latino a John bisogna conoscere il latino ma bisogna anche conoscere John. Lo stesso è per un libro. Per consigliare un libro bisogna conoscere il libro ma bisogna anche conoscere il lettore.
E non si diventa lettori da soli, si diventa lettori perché si hanno dei modelli di lettori in cui immedesimarsi. E per questo che è più importante per un adolescente incontrare alti lettori che incontrare autori. Un modello è molto più importante di un discorso, perché senza saperlo si costruiscono immagini che ti impediscono di leggere.
Leggere è creare legami tra le persone. Ci sono tante vie per arrivare alla lettura. E queste vie sono sempre vie disegnate da persone, non bastano i libri. E non importano gli scrittori. Comunque sono quasi tutti morti, gli scrittori. I lettori sono più importanti, più importanti degli autori, secondo me.
Penso che sia molto importante incontrare libri tramite lettori.
Gli incontri sono importanti perché i bambini e i ragazzi fanno l'esperienza della comunità dei lettori. Non si legge da soli. Per diventare lettori bisogna far parte di una comunità di lettori, questo significa che sei sempre in contatto con altri lettori e quando leggi da solo sai che ci sono altri lettori che hanno già letto quel libro, e leggendo quel libro sai che entri in questa comunità. Non serve a niente raccontare questa cosa, devi fare l'esperienza. I tedeschi hanno una parola per questa cosa, parlano di ”esperienza di lettura”, vuol dire che il tuo atteggiamento nei confronti della lettura cambia con le esperienze concrete di lettura che fai. Ancora una volta i discorsi non servono a niente. Quando fai un'esperienza positiva della lettura allora hai voglia di leggere.
Un'altra cosa quando fai una lezione in una scuola, per i ragazzi è sempre un qualcosa di scolastico. Dopo l'ora di matematica c'è uno scrittore ma è sempre un corso. Questo è il pericolo. Anche qui serve un po' di fantasia, bisogna pensare in un altro modo e uscire dalle gabbie. Ancora una volta, bisogna sempre riflettere e farsi questa domanda: come devo organizzare l'incontro perché sia utile al lettore? Ogni incontro utile è un incontro che cambia in modo positivo l'immagine del lettore. E spesso quando rifletti su questa domanda la risposta è che c'è altro da fare prima di chiamare lo scrittore, costa meno ed è più efficace. Sennò finisce che per tanti bambini il libro è qualcosa che appartiene alla scuola e se hanno libri a casa sono cose completamente diverse. Spesso sento i bambini che usano due termini diversi per dire “leggere a casa” e “leggere a scuola”: a scuola studiano, non leggono, usano il verbo studiare. Oppure leggere è per la scuola e a casa è divertirsi.
Vuol dire che è molto importante condividere e partire anche dall'esperienza con la lettura che hanno i bambini sennò si costruiscono immagini che impediscono il contatto con i libri. È una cosa difficile ma anche bellissima perché sono storie di vita. Non sono solo libri, i libri sono un modo di comunicare, i libri di per sé non sono importanti, sono i lettori che sono importanti. Conclusione: gli scrittori non sono importanti.
(Una versione abbreviata di questa intervista è pubblicata nel numero 117 di LiBeR)