Nel suo romanzo In Perdonami, Leonard Peacock (Salani, 2014) lo scrittore americano Matthew Quick racconta senza retorica il disagio giovanile: ce ne parla in questa intervista raccolta da Francesca Tamberlani
Il giorno del suo diciottesimo compleanno Leonard Peacock decide di uccidersi usando una vecchia pistola nazista appartenuta al nonno ai tempi della Seconda guerra mondiale. Prima di ficcarsi una pallottola in testa, intende sparare ad Asher Beal, il suo ex migliore amico, e prima ancora passerà a salutare per l’ultima volta le uniche persone che hanno dimostrato di tenere a lui. Perché Leonard ha in mente un piano del genere? E lo porterà realmente a termine? Quick dà voce con lucidità all’angoscia e ai sentimenti ambivalenti del protagonista, un ragazzo in crisi esistenziale dotato di un’intelligenza e di una sensibilità oltre la media che, nonostante tutto, riesce a conservare un barlume di fiducia e di speranza nel futuro. Il giovane patisce la mancanza di genitori “normali” (la madre è una bellissima donna in carriera del tutto assente che si fa chiamare per nome perché la “de-mammizza”; il padre è un ex musicista drogato e alcolizzato che è fuggito di casa), ma le cause del suo profondo malessere vanno al di là di una situazione familiare disastrosa. La sua storia personale è segnata da esperienze e abusi innominabili, che emergeranno solo in una fase avanzata della lettura, portandoci quasi a giustificare, o comunque a comprendere il motivo della sua tragica missione.
Perché ha scelto di indagare il fenomeno del suicidio giovanile?
All’inizio non avevo deciso di occuparmi di questo argomento specifico. Volevo raccontare la storia di un adolescente – affetto da ansia e depressione – che un giorno decide di portare una pistola a scuola. Ma invece di concentrarmi su ciò che di sbagliato c’è in un simile scenario, volevo esplorare cosa sarebbe potuto andare nel verso giusto. L'umanità può salvarci? Come possiamo aiutare una persona come Leonard Peacock?
Qual è stata la parte più difficile del suo lavoro?
Trovare la voce di Leonard. Assicurarsi che fosse autentica.
Il protagonista del libro è molto credibile, pieno di fragilità, contraddizioni ma anche, come ha lei stesso evidenziato, di umanità. Ha portato avanti degli studi e delle ricerche inerenti la salute mentale e la depressione giovanile prima di dar vita al personaggio di Leonard?
Quando ero ragazzo, alla fine degli anni '80 e nei primi anni '90, ho vissuto periodi di ansia e depressione. Alle spalle ho 20 anni di insegnamento di letteratura alla scuola superiore e ho seguito privatamente adolescenti in difficoltà. Entrambe queste esperienze hanno molto influito sulla mia scrittura. Il libro è stato inoltre supervisionato da diversi professionisti della salute mentale.
Il libro ha richiesto una lunga fase preparatoria?
Domanda difficile. Una volta catturata la voce di Leonard in un modo che mi è sembrato autentico, l'effettiva scrittura mi ha impegnato per pochi mesi. Sicuramente meno di mezzo anno. Ma in passato avevo già tentato più volte di scrivere questo libro, senza mai riuscirci. Se si contano tutti i falsi inizi e il tempo che ho passato a pensare all’idea centrale –– più il lavoro di pulizia fatto con il mio editor, Alvina Ling – allora bisogna calcolare molti anni.
Seguendo il suggerimento del suo insegnante di tedesco e di Storia dell’Olocausto, Herr Silverman, Leonard scrive delle lettere dal futuro, in cui immagina la sua vita da adulto. Le sue proiezioni sono fantasiose ma felici, Leonard si vede a fianco di una donna che ama, con una figlia affettuosa, occupato in un lavoro straordinario. Com’è nata l’idea molto suggestiva di queste lettere?
Durante gli anni di insegnamento ho assegnato agli studenti dei compiti creativi simili a quello che Herr Silverman affida a Leonard. Gli adolescenti non hanno alcuna prospettiva concreta quando si parla del tempo. Come potrebbero averla? Quando avevo quindici anni non sapevo che sarei stato una persona completamente diversa non appena avrei lasciato la casa dei miei genitori – amici diversi, una visione del mondo diversa, una realtà emotiva diversa. Non immaginavo che avrei incontrato il mio migliore amico a diciannove anni e che avrei festeggiato insieme a lui, ben ventiquattro anni dopo, il ventesimo anniversario del mio matrimonio. O che aver incontrato Alicia avrebbe cambiato tutto per il meglio.
In America il tasso di suicidi dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni è triplicato rispetto al 1950, e attualmente il suicidio è la seconda causa di morte tra gli studenti universitari. Ritiene che se ne parli abbastanza? E, soprattutto, che si adottino misure adeguate per cercare di arginare tale fenomeno?
Oggi negli Stati Uniti si parla di salute mentale molto più di quanto non si facesse in passato, quando ero un adolescente che viveva appena fuori Philadelphia. Nessuno allora affrontava apertamente certi discorsi. Ma bisogna parlarne ancora di più. E dobbiamo aiutare le persone a rischio. Le statistiche ci dicono che c’è ancora tanto da fare.
Leonard è un ragazzo dotato di grande intelligenza ma vittima di un sistema in cui non si riconosce e di una famiglia sorda alle sue richieste di aiuto. Le uniche persone che sente vicine sono dei “diversi” come lui: è un’interpretazione corretta?
Le persone soffrono di disturbi mentali perché sono diverse o sono i problemi mentali a costringerle a vivere fuori dalla norma? Non ne sono sicuro. Ma so che la depressione e l'ansia possono farti sentire diverso, con un’idea del mondo e degli altri differente. Leonard è estremamente intelligente. E deve affrontare la vergogna di essere un sopravvissuto ad abusi sessuali. È stato costretto a lasciare l'infanzia prima che fosse pronto a farlo. Queste circostanze lo hanno portato a una visione del mondo unica ma indesiderata, che i suoi compagni di classe non capiscono. Lui vorrebbe più di ogni altra cosa essere capito. E l'intero romanzo racconta il suo disperato tentativo di essere compreso dagli altri, di far sì che gli altri vedano il suo dolore. In un ambiente sociale segnato dall’omologazione, essere diversi può rappresentare un terribile carico da sopportare. Eppure, quando nascono connessioni improbabili e inaspettate, si raggiunge un livello di intensità emotiva molto alto. Volevo sicuramente esplorare tutto questo.
Crede davvero che ognuno di noi, in determinate circostanze, possa compiere atti terribili pur essendo una “brava” persona?
Credo che le persone possano essere “doppie”. Spesso in riferimento a piccoli fatti, ma se guarda alla storia dell’umanità, vedrà che siamo sempre stati capaci di fare il bene e il male contemporaneamente. A volte il pomeriggio non siamo la stessa persona che eravamo al mattino. Tutti abbiamo giornate buone e giornate storte. Chi non si è comportato male dopo aver passato anche una sola notte insonne? È facile guardare i peccati degli altri e proclamare ad alta voce: “Io non lo farei mai!”. Più difficile è considerare ciò che ha spinto qualcuno al male e poi provare a mettersi nei suoi panni.
La scelta di suicidarsi appare sin dal principio messa in dubbio da Leonard stesso. Il lettore intuisce che probabilmente il ragazzo non porterà a compimento il suo piano. Voleva sin dal principio lasciare aperta la speranza? Qual è il senso della lettura se non c’è speranza?
Un altro tema fortemente presente nel suo romanzo è il ricordo del nazismo e delle atrocità perpetrate nel corso della seconda guerra mondiale ai danni degli ebrei: perché ha deciso di parlarne?
Mio nonno ha combattuto contro i nazisti nella seconda guerra mondiale. Non era orgoglioso di ciò che ha dovuto fare per sopravvivere. Mentre odiava i nazisti e, naturalmente, era contento che il suo paese fosse dalla parte giusta, il suo coinvolgimento lo ha alterato notevolmente, e non in modo positivo. Ha lottato per tornare alla vita civile. Non era sempre gentile con mio padre quando era un ragazzo. Dalle storie che ho sentito, mio nonno era spesso crudele con lui. Eppure era sempre gentile con me, specialmente quando ero piccolo. Ho amato mio nonno più di chiunque altro. Forse perché si rifiutò di dirmi perché il suo coinvolgimento in guerra lo facesse sentire così mortificato. Ancora una volta, due persone in una.
(da LiBeR 117)