A pochi giorni dalla scomparsa di Roberto Denti, pubblichiamo la sua ultima intervista rilasciata a Fausto Boccati per LiBeR. Un'intervista - che sarà proposta nel numero 99 della rivista nell'ambito di un'ampia inchiesta sul mestiere del libraio per ragazzi - nella quale si ripercorre la storia della Libreria dei ragazzi, fondata da Denti con la moglie Gianna nel 1972.
Una nuova occasione per gli amici di LiBeR per ricordare uno dei fondatori della rivista, per tanti anni amico e punto di riferimento critico costante.
Impossibile parlare di librerie per ragazzi in Italia senza pensare a quella che Gianna e Roberto aprirono 41 anni fa a Milano. Un evento pionieristico, che nasce quasi in sordina ma in pochi anni contribuisce a produrre radicali mutamenti nel modo di considerare l’infanzia e i suoi libri, coinvolgendo in questo anche biblioteche e scuole dell’obbligo. Un’avventura che ancora continua. Se c’è un libro che dovrebbe leggere chiunque decida di aprire una libreria per ragazzi, è ancora oggi I bambini leggono, diario di bordo della storica libreria di Roberto e Gianna (oggi ripubblicato dall’Editrice il Castoro con qualche aggiornamento rispetto all’originale Einaudi, del 1978). Chiediamo a Roberto Denti una visione complessiva che può avere chi è insieme testimone del passato e appassionato protagonista del presente.
La vostra libreria ha aperto a Milano nel 1972. Qual era il contesto culturale di quegli anni, e in che modo lo avete vissuto da librai?
Abbiamo aperto in pieno clima “sessantottino”, e la libreria non poteva non seguire i dibattiti sociali e politici che hanno caratterizzato quel periodo. Queste importanti trasformazioni coinvolsero anche un certo numero di insegnanti, quelli più aperti al cambiamento, che avevano costituito l’MCE (Movimento di Cooperazione Educativa). Furono proprio questi insegnanti d’avanguardia ad apprezzarci per primi, per loro costituivamo una innovazione semplicemente utile. Si riunivano in libreria e potevano finalmente dire: “adesso che sappiamo dove prendere i libri per i bambini, abbandoniamo i libri di testo”. Quella della “scelta alternativa” fu una svolta enorme, gli insegnanti capirono l’importanza di proporre ai bambini una grande varietà di libri scritti per loro. Questo è stato particolarmente importante in un Paese come il nostro, l’unico che non ha nelle scuole l’istituzione Biblioteca Scolastica, e in cui l’educazione è ancora oggi basata quasi interamente sul nozionismo e l’uso esclusivo del libro di testo, modelli educativi che allontanano il bambino dal piacere della lettura.
La vostra libreria si inserisce quindi nel panorama culturale degli anni ’70 come un fenomeno di rottura e spesso di provocazione, la sua esistenza rispondeva a una richiesta di dibattito culturale oltre che di offerte commerciali. Volendo individuare un principio di continuità, c’è ancora qualcosa in una libreria per bambini e giovani che può oggi provocare, contribuire a dei cambiamenti?
No! Ma il problema principale non sono le librerie e il mondo dei libri, e viene ancora una volta dalla scuola. Nella nostra libreria la maggior parte degli insegnanti entra per comprare le guide didattiche e gli eserciziari che facilitano il loro lavoro di programmazione. Poi vanno alla cassa, pagano, escono e non sentono il bisogno di fermarsi neanche cinque minuti a guardare cosa c’è in tutto il resto della sala. Paradossalmente, adesso che c’è più offerta di libri di qualità da parte di editori e librerie, mancano la competenza, l’interesse e l’entusiasmo di quegli anni. Gli insegnanti non sentono più il bisogno di essere provocati oltre la sfera di quello che già conoscono. È il trionfo del Piccolo Principe per tutti!, e un insegnante che non è abituato a leggere e a discutere di libri non potrà mai comunicare questa passione ai bambini.
Negli ultimi anni molte nuove librerie per l’infanzia hanno aperto in Italia. Pensi che questa maggiore diffusione dell’offerta incida positivamente sulle abitudini di lettura fra i bambini?
Le librerie per ragazzi sono ancora molto poche. Sembrano tante, ma sono concentrate al centro-nord, e da Roma in giù si vende - fatta eccezione per i testi scolastici - solo il 15% dei libri di tutto il Paese. Nei piccoli centri urbani non ci sono neanche librerie per adulti e non c’è l’abitudine alla lettura. Il genitore non va in libreria per sé, e tanto meno per i bambini. L’acquisto di un libro per i figli (ma spesso anche per i genitori) diventa del tutto casuale, magari in un centro commerciale o in un supermercato che espone una esigua offerta di best-seller del momento e di albi illustrati scelti per il basso costo, senza nessuna attenzione ai contenuti.
Cosa servirebbe allora perché in Italia la lettura dei libri diventi una consuetudine più diffusa?
I maestri non leggono, i genitori non leggono, parlare di libri non è un argomento di conversazione abituale nelle nostre famiglie e in generale nella vita quotidiana dei nostri figli: sono questi i veri ostacoli che si frappongono fra il libro e il bambino; il quale, banalmente, non può apprezzare una cosa se nessuno si preoccupa di fargliela conoscere. Teniamo anche conto che leggere comporta una fatica, e ai bambini di oggi vengono spesso risparmiate le cose non immediatamente gratificanti, le attività che richiedono l’intervento attivo dell’attenzione e del pensiero critico. Quando riusciamo a fargli scoprire il piacere della lettura il bambino non ha più resistenze nell’affrontare il libro, ma questa strada deve percorrerla per gradi, anche passando attraverso quelle letture (oggi Stilton, ieri i Piccoli Brividi…) che a noi adulti sembrano “inutili”. Bisognerebbe che ad occuparsi di questo problema fosse il Ministero dell’Istruzione, introducendo nelle scuole un tempo dedicato al “piacere della lettura”, come importante momento di formazione culturale dei ragazzi. Al di là dei programmi scolastici e lontano dalla minaccia di schede di valutazione e domande di comprensione (le narrative scolastiche tanto care agli insegnanti). Il diritto di passare da un libro all’altro alla ricerca di quello che più diverte, piace ed emoziona dovrebbe occupare un tempo garantito per istituzione, affinché gli insegnanti non si sentano esonerati da questo importante impegno.
Con quali competenze il libraio può contribuire a questi processi?
Il mestiere del libraio per ragazzi è la conoscenza del patrimonio letterario per l’infanzia. Non occorre sostenere un esame di letteratura per l’infanzia, ed è impossibile leggere tutti i libri esistenti, ma quando so che esiste Tom Sawyer, di cosa parla, con quale linguaggio, con quale ritmo narrativo, sono già in grado di consigliarlo o sconsigliarlo. Anche in base a chi ho di fronte: nel consigliare un libro ci mettiamo sempre un nostro giudizio culturale, che spesso i ragazzi non hanno; oppure ne hanno uno proprio, che noi non conosciamo per il semplice fatto che appartengono ad una nuova generazione. Bisognerebbe quindi aggiungere alla conoscenza dei libri anche la conoscenza della persona, del ragazzo o della ragazza che leggerà quel libro. Alcuni di loro sanno già cosa cercano, mentre altri si affidano all’esperienza del libraio, il quale può sempre sbagliare. Uno dei compiti del libraio è anche quello di consigliare gli adulti, che spesso determinano l’acquisto del libro per il bambino senza avere le idee chiare, e si orientano in base a ricordi confusi o conoscenze molto approssimative.
Che cosa ti senti di consigliare a chi oggi vuole diventare un libraio per ragazzi?
Leggere il maggior numero di libri per ragazzi. Fine della lezione.
Intervista raccolta da Fausto Boccati per LiBeR
(L'intervista sarà pubblicata sul numero 99 di LiBeR, lug.-set. 2013)