Justyce McAllister, 17 anni, studente modello all’ultimo anno della Braselton Preparatory Academy di Atlanta, capitano della squadra di dibattito della sua scuola con un QI da genio, crede fermamente al messaggio sulla lotta non violenta per i diritti dei neri lanciato da Martin Luther King nel discorso di accettazione del Nobel per la Pace nel 1964. È convinto che impegnandosi al massimo riuscirà a sgretolare i pregiudizi e a evitare le discriminazioni di cui ancora sono vittime gli afroamericani. Ma avere la pelle nera, in Georgia, segna ancora il destino di tanti giovani e ragazzi. E quando Justyce si ritrova ingiustamente inchiodato a terra con le manette ai polsi, anche la fede negli insegnamenti di Martin Luther King – a cui scrive lunghe lettere di riflessione sotto forma di diario – inizia a vacillare, per crollare definitivamente di fronte all’uccisione del suo miglior amico, Manny. Il punto di vista di Justyce ci spiazza, ci fa vedere gli eventi in un’altra prospettiva, attraverso una narrazione essenziale e coinvolgente che tratteggia personaggi ben caratterizzati, colti nelle loro contraddizioni e nella loro complessa umanità. Non ci sono facili risposte in questo romanzo, non c’è il lieto fine, la giustizia non ne esce vincitrice, nonostante il nome del protagonista. C’è la consapevolezza che crescere è complicato, ma ancora più complicato è quando hai la pelle nera, nonostante tutti gli sforzi che tu possa fare. Alla fine di questo dialogo interiore con Martin Luther King e con sé stesso, Justyce capisce che forse si sta ponendo la domanda sbagliata: perché prima di sapere che cosa fare, dovrebbe scoprire chi è e in che cosa crede. E in questo sta la sfida fondamentale che deve affrontare.
Un romanzo durissimo, che nulla concede al lieto fine. E proprio per questo capace di graffiare la sensibilità del lettore e della lettrice e di aprire la strada a importanti domande. Un romanzo di cui in America è già possibile leggere il seguito, Dear Justyce, e che si colloca nel solco della nuova narrativa afroamericana, in cui i giovani protagonisti, soggetto e non più solo oggetto della narrazione, ci consentono di guardare alle storie raccontate attraverso lo sguardo di chi quelle storie le ha direttamente sperimentate.
Gabriela Zucchini (da LiBeR 137)
Dear Martin
Nic Stone ; trad. di Anna Rusconi
EDT-Giralangolo, 2022, 240 p.
€ 14,00 ; Età: da 14 anni
Qualcosa di nuovo si muove nell’editoria che si rivolge ai giovani adulti. Uno dei segnali (e non l’unico) arriva da La Nuova Frontiera, casa editrice che ha un solido catalogo ragazzi e un ricco catalogo adulti e che ha deciso di creare, con la nuova collana programmaticamente chiamata Oltre, un trait-d’union tra i due. Aidan Chambers in L’età sospesa ci ha invitato ad abbandonare l’etichetta per lo più commerciale di Young adult e a parlare invece di Youth fiction: non più categoria di marketing, ma vero e proprio genere letterario che pone al centro storie di ragazzi e ragazze che stanno per affacciarsi all’età adulta, storie che mettono al centro lo specifico sguardo di quell’età. Il centro del mondo, con cui questa collana si apre, sembra andare esattamente in questa direzione. Libro non solo per adolescenti ma con al centro il punto di vista di un diciassettenne, Phil, voce narrante della storia. Siamo davanti a un vero e proprio romanzo di formazione, robusto nella qualità della scrittura, nell’ampiezza dello sviluppo, dell’intreccio complesso fatto di numerosi flashback, nella capacità di creare personaggi a tutto tondo. Al centro del mondo di Philip c’è la sua anticonvenzionale famiglia, a partire dalla madre, scappata dall’America in Europa giovanissima e incinta di due gemelli: Philip e la sorella Dianne. I due ragazzi sono cresciuti in una grande e cadente dimora appena fuori dal paese abitato dalla “Piccola Gente” costantemente intenta a gettare su di loro giudizi e disapprovazione. Ora che Phil è grande quella famiglia insolita, ma che è stata anche rifugio, sembra mostrare tutte le sue crepe. La sorella gemella, un tempo inseparabile, si è allontanata da lui. Il dialogo con la madre è pieno di omissioni. Il padre che non ha mai conosciuto continua a essere per lui un vuoto a cui dare almeno un nome. Infine c’è l’amore per un ragazzo, un altro terreno nuovo in cui sperimentarsi, e quel dubbio tra restare e partire che sono altri nodi da sciogliere nella faticosa strada per diventare grandi. Un romanzo che piacerà anche agli adulti che amano le storie di crescita. È la prima perla di una collana che fa sperare grandi cose e ci invita a tener desta l’attenzione sui prossimi titoli.
Alice Bigli (da LiBeR 137)
Il centro del mondo
Andreas Steinhöfel;
trad. di A. Ricci
La Nuova Frontiera, 2022, 448 p.
€ 18,50 ; Età: da 13 anni
Torna la Sicilia, fonte inesauribile di storie e ispirazione per Nadia Terranova, in un’ambientazione palermitana, nella fiaba Il cortile delle sette fate, edita da Guanda nella prestigiosa collana che ospita i long sellers dell’amato Luis Sepúlveda e illustrata dalla bravissima Simona Mulazzani. Il luogo dell’accadimento è piazzetta Sette Fate, nel quartiere Ballarò a Palermo. La storia la suggerisce all’autrice la lettura di Giuseppe Pitrè, ottocentesco raccoglitore di fiabe e racconti della tradizione popolare siciliana. Lì, in quella piazza che ancora esiste, ai tempi dell’Inquisizione si davano appuntamento meravigliose e misteriose donne che formavano un cerchio magico di canti, suoni, balli. La fiaba rivisitata da Nadia Terranova si arricchisce di altre protagoniste che si ritrovano, nella notte di San Giovanni del 1586, una delle più corte e magiche dell’anno, in quella piazzetta di Palermo. C’è Artemide, detta Arte, gatta che rifugge gli uomini dell’Inquisizione per via del suo manto nero, visto come l’incarnazione del diavolo. E c’è la piccola vagabonda Carmen, che conosce il linguaggio delle piante e degli animali, “che si guarda dai pericoli senza rinunciare all’avventura”, e che finisce nelle grinfie dell’Inquisizione. I suoi aguzzini sono uomini che vedono in ogni donna o bambina libera i segni del demonio e che per questo la imprigionano. Ma si accaniscono anche contro Arte, vogliono darle fuoco, proprio come nei roghi delle streghe. Sarà per fuggire a una terribile fine che la gatta Arte si ritrova, per incanto, tra le donne misteriose, di cui ancora non conosce i poteri. I loro nomi sono Pia, Sara, Viola, Giuseppina, Antonia. Saranno loro a aiutare la piccola Carmen a fuggire e sarà una di loro – Pia, la donna che di mestiere dà “una mano alle altre vite a venire fuori” – a rivelare a Carmen le sue doti “magiche” e le sue origini. Fiaba antica eppure moderna, Il cortile delle sette fate parla di identità femminile, di costrizioni e di libertà. Getta uno sguardo sui sentieri da percorrere per diventare ciò che si aspira a essere, malgrado i vincoli imposti dalla società. Rende omaggio alla sorellanza, a quel vincolo reciproco che sostiene. E ci regala un tuffo nel mondo incantato delle fiabe dove tutto può accadere.
Vichi De Marchi (da LiBeR 137)
Il cortile delle sette fate
Nadia Terranova,
ill. di Simona Mulazzani
Guanda, 2022, 112 p.
(Le gabbianelle)
€ 13,00 ; Età: da 8 anni
Qual è il passo dei ricordi? Qual è il tempo in cui presente e passato diventano indivisibili? L’immagine di copertina della graphic novel di Hanaor e Phillips risponde già in parte a queste domande. Il passo dei ricordi, della memoria, è lento e non va vissuto da soli. Benji, il giovane protagonista, cammina di fianco alla sua bubbe, che significa nonna, come riportato nel glossario di alcuni termini ebraici e yiddish utilizzati nel libro, trascina un carrello della spesa, in lontananza si stagliano i grattaceli di New York. Il rapporto tra la città e il primo piano dei due protagonisti è la sintesi perfetta della storia che viene raccontata. Non esiste un presente che non sia abitato dal passato, dalle persone che si sono incontrate, dai luoghi che si sono attraversati. Questi potranno pure cambiare, ma c’è un tempo in cui verranno ripercorsi con lo stesso sguardo, perché quella memoria aiuta a ritrovare i ricordi, i volti, i sapori, il dolore di quando si era bambini e qualcuno decise che non si aveva diritto a restare a scuola perché ebrei. È una storia delicata quella narrata da Ziggy Hanaor, in cui il tratto di Benjamin Phillips ha saputo rendere visibili le emozioni e i sentimenti della nonna e del nipote che l’accompagna mentre riattraversa la sua vita. Tu non sai proprio niente – dirà bubbe a Benji – nemmeno cosa significa essere ebrei. Non è semplice raccontarlo, infatti bubbe non sempre ci riesce: i suoi silenzi, i suoi sguardi, vengono esplicitati dal segno di Benjamin Phillips. Ogni cosa accaduta è rimasta nella sua testa, come i luoghi a lei più familiari, che non ritrova più perché tutto cambia; quel che non cambia mai lo scopriranno i lettori. Un libro con una grande forza in cui il confronto tra ieri e oggi è mediato dalla dolcezza del nipote che si mette di fianco alla nonna, e anche quando quest’ultima va fuori dalle righe, si ferma ad ascoltare, non sempre comprende, ma scopre che realmente non sa niente. Qui i ruoli si ribaltano: chi è senza memoria è Benji, che sicuramente sa muoversi bene tra le strade della città, ma non sa nulla di quei tatuaggi che erano un marchio e non un ornamento del corpo. Il passo della memoria è lento, è una strada da percorre insieme a chi sa per non rischiare di non riconoscere nulla.
Agata Diakoviez (da LiBeR 137)
Certe cose non cambiano mai
Ziggy Hanaor,
ill. di Benjamin Phillips;
trad. di L. Pelaschiar
Einaudi Ragazzi, 2022, 80 p.
€ 15, 90 ; Età: da 9 anni
Un tratto stilistico comune ai lavori di Oliver Jeffers, accanto allo spirito speculativo e al contenuto etico di cui spesso si fa portatore, è sicuramente l’elemento sorpresa; la costruzione narrativa dei suoi albi illustrati è quasi sempre giocata su repentini ribaltamenti dei punti di vista (del protagonista e del lettore), con svolte finali di grande effetto che aprono a illuminanti prese di coscienza. Vale anche per questo piacevole albo, che possiamo invece accostare ai più giocosi e meno riflessivi di Jeffers. Qui l’autore si diverte con trovate compositive e soluzioni cartotecniche che sono parte della struttura narrativa stessa, sfoggiando grande padronanza delle immagini, del linguaggio grafico complessivo, del libro in quanto oggetto. La piccola protagonista, disegnata e colorata nei toni acidi di giallo e verde, si staglia sugli ambienti interni di una nobile residenza d’altri tempi, fotografati invece in bianco e nero. Dal salotto al bagno, dalle ampie scalinate alle camere da letto, la bambina si aggira circospetta controllando dietro gli armadi, sotto i letti e su per il camino: le è sembrato di sentire la presenza di un fantasma, ma lei un fantasma non l’ha mai visto, non saprebbe riconoscerlo. Ora che abbiamo varcato la porta d’ingresso e siamo suoi ospiti, possiamo gentilmente aiutarla a trovarlo? Ingaggiato nella ricerca, ecco che il lettore diventa presto complice dei tranelli che l’autore le tende ad ogni pagina: svolazzanti spiritelli in lenzuolo bianco si mimetizzano sul grigio-opaco di fogli semitrasparenti in carta da lucido che, svoltati, li proiettano sullo sfondo della pagina sinistra; ben visibili per il lettore, adesso, ma fuori dalla visuale della protagonista che continua ignara la sua ispezione. Un meccanismo semplice, basato sulla paradossale contrapposizione fra ciò che il testo afferma e quello che vediamo, ripetuto più volte per prolungare il nostro divertimento nel prenderci gioco della piccola ghostbuster. In perfetto stile Oliver Jeffers, però, le sorprese non finiscono con l’ultima pagina: il risguardo finale del libro riserva al lettore un ulteriore colpo di scena che è l’unico, vero punto di svolta di tutta la storia.
Fausto Boccati (da LiBeR 137)
C’è un fantasma in questa casa
Oliver Jeffers
Zoolibri, 2022, 84 p.
(Gli illustrati)
Età: da 4 anni
Credo che per i bambini e per le bambine sia importante avere porte di accesso alla poesia. Porte che permettano l’entrata con una levità gioiosa, amichevole, che spostando l’attenzione alla narrazione, rendano ambiente accogliente quell’andare in ritmi e rime, come un prato da attraversare di corsa senza computare l’andare veloce dei piedi. Non è una pratica ricorrente nella poesia italiana per i più piccoli, che, tranne in alcuni casi di grandi e brillanti autori, si adagia su un’idea di poesia compresa, fintamente alta e inevitabilmente didascalica. Qui Cinquetti propone una storia perfettamente in grado di portare i piccoli e le piccole in ritmi, rima e parola poetica. La storia narra di Alessandro e Valentina che, incaricati dai genitori, sono alle prese con la pulizia della casa: spolverare, aspirare, lavare, spostandosi dal gabinetto alla cucina, dalle camere al salotto. È un racconto di quotidianità bambina allegra e lineare su cui si innesta un imprevisto: l’intervento di un ospite invadente ed esuberante che sconvolge e sovverte l’ordine e la pulizia appena ripristinati. È una storia che fa quello che sempre e da sempre le storie fanno: postulare un ordine, infrangerlo, ricostruirlo. Leggendo non si può fare a meno di pensare al Il gatto col cappello del Dr. Seuss. Ogni pagina contiene una quartina di ottonari a rima alternata, che ci riporta al Signor Bonaventura di Sergio Tofano, ma anticipa anche tanta altra poesia italiana che bambini e bambine incontreranno nel corso della loro formazione, configurandosi, così, come luogo familiare e accessibile. L’attenzione ai suoni lo rende un libro perfetto per essere letto ad alta voce, godendo del piacere che la bocca prova nell’articolare e dire. Le illustrazioni, segni nelle tonalità del blu con tocchi di arancione fluo, occupano la parte superiore della doppia pagina, ci mostrano quanto enunciato nel testo, le azioni dei piccoli, l’avanzare della storia, ma anche quello che Alessandro e Valentina immaginano mentre sono intenti a pulire, permettendo ai lettori di gioire dei salti logici provocati da una sorta di gioco enigmistico che si crea nell’intreccio di immagini e parole ed è sottolineato dai tratti arancioni. È un libro da leggere e rileggere, ridendo, sorridendo e lasciandosi andare al piacere del ritmo e dei suoni.
Nicoletta Gramantieri (da LiBeR 137)
C’è la casa da pulire
Nicola Cinquetti,
ill. di Chiara Di Vivona
Parapiglia, 2022, 56 p.
€ 13,00 ; Età: da 6 anni
Eccolo il Macy May, un B-17, un aereo da guerra, orgoglio delle United States Army Air Forces, soprannominato Fortezza Volante. Nello schema che lo “espone”, rappresentato nelle pagine finali del libro, si possono individuare tutti i membri dell'equipaggio. Dieci uomini, alle loro postazioni. Americani, Alleati. Due piloti e otto mitraglieri. Guardate Harry Friedman, è il ragazzo da seguire, lo scout del racconto. Incapsulato in una torretta girevole situata sotto la pancia del B-17 subito dopo le ali. Non ancora 18 anni, di Brooklyn, sergente, mitragliere ventrale, appunto. Ebreo. Partito volontario. per combattere in Europa. Per combattere contro Hitler. È il 1943, un anno della seconda guerra mondiale. La base aerea è Kirkstead, Inghilterra, 17 agosto. L’inizio. Le fortezze volanti operano in formazione. Dalla tua postazione, vedi quella che s’incendia e precipita, l’altra che rimane “ferita” e speri che ce la faccia ad arrivare a terra, pensi a te che potresti essere a quel posto oppure dopo poco fare la stessa fine. L’appello del comandante dall’interfono conclude ogni azione (ci siete ancora tutti?). Quando la battaglia acceca il cielo e gli occhi, quando schegge, bossoli, fuoco trovano alloggio accanto a te e ti mancano, ma centrano il compagno che ti sfiora, allora piangi ma anche esulti perché tu sei ancora vivo. Harry è un “ebreo laico”, non particolarmente credente, ma in quei cieli si sorprende nel mormorio di una preghiera.
Nel primo lancio dal Macey May che s’avvita, rottame in fiamme , sfilando il paracadute al marconista morto irrigidito al suo posto, Harry atterra nella Francia della Resistenza. E qui si apre un altro straordinario capitolo: fughe, agguati, tradimenti ma anche eroismo e solidarietà umana, con molti sorprendenti colpi di scena. Fino alla fine. Tanta verità storica, molta abilità narrativa, spingono il racconto nelle direzioni canoniche delle guerre guerreggiate nei cieli del tempo, con competenza tecnica e scrupolo umano, coinvolgendo il lettore in una straordinaria, dolorosa, esaltante avventura epica fatta di emozioni, sentimenti e molte riflessioni.
Rosella Picech (da LiBeR 137)
Bomber
Paul Dowswell;
trad. di A. Martelli, E. Beccalli
Equilibri, 2022, 332 p.
(Max storie selvagge)
€ 16,00 ; Età: da 12 anni
Quando un autore di peso incontra un illustratore (e pittore) di altrettanta bravura e quando entrambi sanno esattamente come rapportarsi all’infanzia, il risultato sono libri così deliziosi che verrebbe voglia di farli conoscere a tutti i bambini e le bambine che si incontrano. È il caso di questo gustoso volumetto pubblicato da Città Nuova, L’Arancia, di Guido Quarzo e Cecco Mariniello, due grandi firme al servizio di una storia dal tocco poetico e surreale, ma concreta e alla portata dei giovani lettori. Al centro del racconto c’è “l’arancia più bella del mondo”, che all’inizio della vicenda svetta in cima al carretto del contadino Calò e del nipote Calì, diretti al mercato per invogliare tutti i compratori del mondo con quel frutto così irresistibile. Lungo la strada però l’arancia rotola giù dal mezzo e così ha inizio la sua avventura nomade di mano in mano, di volo in volo, sempre sfuggente e sempre pronta ad accendere desideri e memorie dolcissime. Nel suo gironzolare arriva fino al pascolo di un pecoraio, poi nel becco di un merlo goloso, sulla testa di un generale senza scrupoli, nei sogni di alcuni soldati che, come risvegliati di colpo da un incubo, scappano dalla guerra per ritornare da mogli, sorelle, nonne e fidanzate “a bere spremute e mangiare marmellate”. Dopo aver compiuto le sue imprevedibili corse, l’arancia finisce esattamente al punto di partenza, sopra il carretto di Calò e Calì. In questa circolarità perfetta si chiude, in un balletto di felicità, una vicenda colorata, allegra e luminosa come la sua protagonista, che ci ricorda anche quanto possa essere imprevedibile la vita e quante sorprese sappia riservarci. Una storia che affonda le sue radici nella tradizione e nel teatro, con una scrittura piena di assonanze, parole ripetute e formule antiche che la rendono godibile e facile da ricordare, accompagnata da illustrazioni classiche, rotonde ed espressive, perfettamente aderenti al tono della narrazione. Da sottolineare un altro punto di merito del libro: il titolo è inserito in una collana da tenere d’occhio, I nuovi colori del mondo, dedicata alle prime letture autonome, rese più accessibili e appetibili da particolari accorgimenti grafici e scelte stilistiche che agevolano l’approccio alla lettura.
Francesca Tamberlani (da LiBeR 137)
L’arancia
Guido Quarzo,
ill. di Cecco Mariniello
Città Nuova, 2022, 32 p.
(I nuovi colori del mondo)
€ 10,00 ; Età: da 6 anni
Gli amori di Cassiopea è il secondo capitolo della saga de Le sorelle Gremillet, acclamato e premiato in Francia e firmato da due noti nomi del fumetto: Giovanni Di Gregorio (serie di Dylan Dog e Dampyr, Topolino, Monster Allergy) e Alessandro Barbucci. I personaggi principali sono tre sorelle, diversissime l’una dall’altra: Sara, forte e orgogliosa, Cassiopea, romantica e sognatrice, e Lucille, la più piccola e riservata. Si rimane subito stregati da questi volumi che permettono di immergersi completamente nel mondo delle tre sorelle in maniera immediata e naturale: il primo volume era dedicato ad un’avventura magica dove era Sara a guidarci e dove venivamo a conoscenza di eventi del passato che riguardavano la famiglia delle ragazze e che avevano lasciato segni profondi. In questo è Cassiopea la vera protagonista, la più emotiva, con il suo carattere incline alla fantasticheria, creativa e passionale. Questo nuovo episodio ci accoglie in piena estate: come ogni anno, Sara, Cassiopea e Lucille trascorreranno le vacanze a casa della nonna, che abita in un piccolo paesino di campagna. E come ogni estate ritroveranno i loro vecchi amici, i nascondigli segreti in campagna, le feste di paese ma anche qualcosa di nuovo che le attende. Un fantasma sembra aggirarsi nelle rovine vicino al paese, in molti l’hanno sentito suonare le campane della vecchia chiesa ma nessuno l’ha visto... chi è e cosa vuole? Divertenti le scaramucce tra Cassiopea e la sorella maggiore Sara, la trama di questo secondo episodio è semplice e fila liscia” senza intoppi e senza grandi stravolgimenti ma risulta perfettamente godibile e altamente piacevole nello scorrere dinanzi al lettore in una narrazione equilibrata e con qualche colpo di scena ben posizionato. I disegni sono una gioia per gli occhi: i colori nitidi, le linee stondate, i giochi di luci e scenari assolati e bucolici riescono a immergere il lettore nella storia in maniera avvolgente, le ambientazioni interne fanno desiderare di essere proprio lì, seduti al tavolo con le tre sorelle e la nonna. Anche il secondo volume si conferma un graphic novel tutto al femminile con l’arrivo del personaggio della nonna, smemorata e amabile, che aiuterà Cassiopea a crescere e a mettere se stessa al primo posto, continuando a guardare il mondo con occhi pieni di magia.
Giulia Romualdi (da LiBeR 137)
Gli amori di Cassiopea
Giovanni Di Gregorio,
ill. di Alessandro Barbucci
Tunué, 2022, 72 p.
(Prospero’s Books)
€ 16,90 ; Età: da 10 anni
È un parco ombroso e umido, che accoglie la materialità organica dei corpi e della natura, dove i bambini vogliono sempre e comunque andare, dove accadono incontri di senso con personaggi che scompaiono nella nebbia e permangono nella nostalgia. Vogliamo, e anche non vogliamo dice il libro, con una prima persona plurale poetica e straniante che con perentoria intenzione afferma la valenza cruciale degli spazi educativi e la necessità ancestrale di appartenere a luoghi di terra e cielo, alberi e animali. Non ne vogliamo sapere di andare via, dicono i bambini. Da un parco che è un paese straniero ma proprio per questo unica patria possibile a ospitare l’estraneità e l’alterità irriducibile dell’infanzia urbana in fuga dalla città. Sono corpi bambini prigionieri e liberati, corpi protesi in una tensione dinamica – e attrazione – verso la fuga e l’avventura, affermata nel gioco narrativo e simbolico che popola il tempo del parco e il suo spazio labirintico, sottratti agli sguardi normativi. Vanno altrove, per poter poi decidere, in autonomia, che vogliono ritornare a casa, dai genitori: il ripensamento della fuga bambina non è rinuncia all’avventura ma declaratoria di affetti. Topos narrativo di tanta grande letteratura per l’infanzia (dai Giardini di Kensington in poi) il parco evocato da Sara Stridsberg, autrice e drammaturga svedese, in questo testo asciutto e visionario, e da Beatrice Alemagna in tavole pittoriche intense, si colloca fra mito e cronaca, fra sogno e denuncia, in uno spazio poetico e profondamente politico. Il dibattito sullo sgambare di cani e corridori, sull’acquisto di tabacchi o altri beni primari, raramente ha trovato una direzione comune nella difesa pedagogicamente fondata del diritto inalienabile dei bambini al movimento fisico, all’esplorazione corporea dello spazio, alla percezione senso-motoria della natura, degli alberi, del cielo, garantiti in ambito cittadino soltanto dall’accesso alle indispensabili aree verdi. Al parco non è solo un capolavoro artistico, è anche, prestando ascolto al suo nucleo più radicale, un manifesto politico. Tolta all’infanzia ogni patina zuccherata, le restituisce un corpo vivo, organico, sognante e “cosmico”, cioè connesso al pianeta in modo affatto innocente. Il suo invito pone una questione filosofica, politica e pedagogica, nello spazio di un libro illustrato.
Marcella Terrusi (da LiBeR 137)
Al parco
Sara Stridsberg,
ill. di Beatrice Alemagna
TopiPittori, 2022, 64 p.
€ 24,00 ; Età: da 4 anni
A scuola: mai essere ultimi. Semmai penultimi, “raccomandava” Truffaut, che aveva trasformato in film memorabili la propria traumatica esperienza sull’argomento.
A nessuno piace Jonna sembrerebbe un’indagine in questa direzione, anzi oltre, dato che la ragazzina, cui si allude nel titolo italiano, gravita nel limbo degli “inclassificabili”. Lo scopriamo dalla sua stessa voce: Jonna è colei che narra, il che è un paradosso, apparendo in famiglia e in classe quasi muta, ma insieme è il naturale contraltare del suo sentirsi spuria all’esterno, non conforme alle Aspettative Genitoriali. Perché “I figli devono avere almeno una cosa di cui i genitori possono vantarsi”. Rassegnata o caustica, auto-sabotante – in realtà nella testa e nella voce di Jonna, nel dietro le quinte poco esaltante della sua stanza e sotto il suo letto, tra riferimenti a“caccole” e a dolciumi rubati come l’affetto che non crede di meritare, c’è un universo ricchissimo di humour e di intuizioni sul contesto – la periferia di Stoccolma – nonché sulla parte “politically correct” della società, a cominciare dai genitori, fino ai docenti e fino a comprendere l’inarrivabile costante termine di paragone, a lei costantemente imposto, della sorella più grande, Miriam: il massimo dei voti, bella come richiesto, incensata da adulti e coetanei (vedi meccanismo stritolante dei “social”). Una diade, quella tra Jonna e Miriam, che si riflette in quella tra la madre e zia Debbie, ex tossicodipendente. Ma anche il ruolo in cui la società vorrebbe inchiodare Miriam contiene insidie abissali (basti pensare a Il dramma del bambino dotato di Alice Miller) e sarà proprio Jonna, artefice di un gesto scioccante verso la sorella, a far deflagrare la bomba della sua coazione alle “A”, della perniciosa sindrome della più brava. Intanto lei, forse dislessica, pure attentissima e critica nei confronti degli adulti (“sentiamo tutto anche quando indossiamo le cuffie”), trova in se stessa la forza di contrastare bulli e bulle della scuola in difesa di Miriam e si rivela indimenticabile portatrice di uno stile spesso fatto di una sola cruciale, deflagrante parola e punto e a capo. Una parola coraggiosa, antiretorica, propulsiva su chi siamo e possiamo essere.
Maria Grosso (da LiBeR 137)
A nessuno piace Jonna
Cilla Jackert;
trad. di S. K. Milton Knowles
Camelozampa, 2022, 208 p.
(Gli arcobaleni)
€ 11,90 ; Età: da 12 anni
Dopo l’avvincente trilogia dei romanzi sul fiume (Mondadori) e la bellissima storia narrata in La più grande (Rizzoli), Davide Morosinotto esce con un altro importante romanzo, Temporali, edito da Camelozampa. Un’opera declinata in due volumi – Intreccio e Fabula – che sembra rispondere a un’esigenza di sperimentazione da parte dell’autore e che richiama, per alcuni aspetti, gli storici libri game di Joe Dever usciti negli anni ’80 e ’90 nella collana Lupo Solitario (E. Elle). Con la differenza che in Temporali la scelta del lettore è fatta a monte: la storia può essere letta nel modo più tradizionale, seguendo l’ordine cronologico degli eventi (Fabula), oppure seguendo l’ordine dei capitoli con salti temporali tra passato e presente (Intreccio). La narrazione ci catapulta in una dimensione fantascientifica. L’audace Agente temporale Michela Falco si trova coinvolta in un’importante missione: una bomba è scoppiata in un liceo di Bologna alle 11.56 del 19 maggio, provocando numerose vittime e incidenti a catena nella città, e il suo compito – assistita da una squadra di tecnici e scienziati che operano da una base militare segreta con l’aiuto di Marie, un potente computer – è quello di proiettarsi nel passato per modificare gli eventi ed evitare il massacro. Tutto deve avvenire nel giro di ventiquattro ore, ma qualcosa, incomprensibilmente, non funziona. E mentre il cronometro continua inesorabilmente a correre, la squadra è costretta a operare avvolta in un’inaspettata Nebbia. Anche Michela è confusa: cosa sta succedendo? Perché il passato sembra sfuggire al controllo? Forse perché sono coinvolti due studenti quasi suoi coetanei e lei non riesce a mantenere il solito distacco? O forse perché qualcuno sta tentando intenzionalmente di contrastare la sua missione? La trama si dipana velocemente verso un finale non scontato, che lascia forse il desiderio, nel lettore affezionato ai libri di Morosinotto, di una più approfondita caratterizzazione dei personaggi e di una scrittura meglio controllata in alcune parti della narrazione. Un romanzo comunque originale, che rappresenta un interessante tassello nella produzione di un autore tra i più significativi del panorama editoriale contemporaneo.
Gabriela Zucchini (da LiBeR 136)
Temporali
Davide Morosinotto
Camelozampa, 2022, 2v.
(Le spore)
€ 16,90; Età: da 13 anni
Il secondo romanzo di Trent Dalton, dopo il sorprendente esordio con Ragazzo divora universo, ha davvero l’aspetto di “un dono caduto dal cielo”, da quel luminoso cielo australiano che muove l’immaginazione e l’azione di Molly Hook. È l’ottobre del 1936 quando Molly, bambina becchina del cimitero di Darwin, perde la madre Violet, musa ispiratrice della sua leggiadria d’animo, coltivata anche grazie all’amore di Violet per la poesia, che passerà intatto alla figlia, le cui escursioni tra lapidi ed epitaffi alla ricerca del “romanticismo del cimitero” riecheggiano a tratti sia l’Antologia di Spoon River che Foglie d’erba. Violet non ha retto al regime di quotidiana brutalità e odioso sfruttamento, a cui entrambe sono state sottoposte da parte dei fratelli Hook, ubriaconi violenti dal cuore di pietra; ma, come “dono dal cielo”, Violet ha lasciato alla figlia una padella di rame massiccio appartenuta al nonno Tom Berry, tenace cercatore d’oro, sulla quale sono impressi in forma poetica i segni di una mappa del tesoro, un giacimento situato nei territori degli aborigeni, che ha segnato il destino della famiglia dopo che il grande capo Bob Giubbalunga ha lanciato una maledizione contro Tom e tutti i suoi discendenti. Il viaggio sulle tracce di Bob Giubbalunga inizierà solo anni dopo, quando il 19 febbraio 1942, Molly fuggirà da Darwin che, sempre dal cielo, è appena stata bombardata e distrutta dai giapponesi. Libera finalmente dal padre e dal terribile zio Aubrey, Molly partirà alla ricerca dei motivi della maledizione di Giubbalunga e dei modi per annullarla. Questo viaggio attraverso il Top End, l’incontaminato estremo Nord dell’Australia, in compagnia di Greta, aspirante attrice, amica occasionale dello zio, e di Yukio Miki, il nemico caduto dal cielo, sarà un’esperienza che attingerà copiosamente ai miti e all’immaginario dei nativi, portando Molly a immergersi in quelle zone d’ombra dove crescono mostri come i minatori di stagno, sognatori come i mangiatori di veleno della foresta di rampicanti, e anime nere come quella dello zio Aubrey. Discutibile, in questa eccellente operazione editoriale, la scelta di non predisporre un indice sommario che avrebbe facilitato l’orientamento tra gli oltre 25 capitoli del libro.
Riccardo Pontegobbi (da LiBeR 137)
Tutti i bagliori del cielo
Trent Dalton;
trad. di A. Bariffi
HarperCollins, 2022, 475 p.
€ 19,50 ; Età: da 14 anni
La collana Lampi di genio, attraverso gli agili volumetti firmati e disegnati da Luca Novelli, da oltre vent’anni racconta le biografie di uomini di scienza e d’ingegno. Fra i tanti titoli pubblicati, solo due sono dedicati a figure femminili: la prima è Marie Curie, la seconda è la scienziata, oceanografa, attivista ambientalista e scrittrice americana Rachel Carson. La figura di Carson è da noi meno celebre che nei paesi anglosassoni e questo Lampo è utile proprio per conoscerla e approfondirne l’opera, decisamente moderna. E’ un invito alla lettura particolarmente prezioso nel decennio della Ocean Literacy (2021-2030) dedicato da UNESCO e Nazioni Unite all’educazione all’oceano e alle scienze del mare per lo sviluppo sostenibile, con riferimento all’Agenda 2030. La letteratura e la poesia da sempre indagano le relazioni invisibili fra le cose; il linguaggio narrativo, poetico, artistico e quello scientifico, nell’opera dei più grandi geni della storia, non sono disgiunti. Così accade nelle opere di Rachel Carson, mentre nella sua biografia le esperienze si succedono in un ordine apparentemente casuale, dall’impiego all’Ufficio Pesca alla scrittura radiofonica, dalle ricerche sul DDT al successo editoriale. Sempre, con umiltà, determinazione, sensibilità e coraggio, Carson persegue la divulgazione della conoscenza, l’approfondimento scientifico, l’esplorazione attraverso la scrittura, la progettazione di azioni sostenibili, in un tempo in cui tutto ciò era fin troppo moderno. Raccontare la biografia di Rachel Carson alle bambine e ai bambini significa mostrare loro le strade e i linguaggi utili per dare un contributo alla cultura e alla scienza, alla vita e al futuro del pianeta. Significa anche affermare la necessità di superare la netta separazione delle discipline, abbattere il pregiudizio sulla mancanza di talento e inclinazione femminile per la ricerca scientifica, mostrare quanto siano importanti insegnanti e genitori capaci di aprire possibilità e spazi anche alle bambine e offrire loro un modello che le incoraggi a esprimere la loro vocazione “cosmica” a leggere legami, relazioni e conseguenze fra fatti e cose, in più linguaggi possibili, per considerarsi parte attiva e voce indispensabile nel discorso ecologico sulla nostra “casa” comune.
Marcella Terrusi (da LiBeR 136)
Rachel Carson e la primavera dell’ecologia
Luca Novelli
Editoriale Scienza, 2022, 128 p
(Lampi di genio)
€ 9,90; Età: da 8 anni
A volte, nel mare infinito dei picturebook, si trova un albo inaspettato, parole immagini e sentieri di cartotecnica e carta, che si aprono in volo oltre i binari del rivisitato, del noto. Che toccano note del profondo, brandelli nascosti negli interstizi tra vita e letteratura (ma esistono?), come filando una tela di comprensione reciproca tra bambini e adulti, un tracciato di specchi tra le pagine. Davvero un bel respiro. Accade con Semini di Alice Keller, con illustrazioni di Youngin Kim e grafica di Lia Dalu (espressione del progetto Ars in fabula, master in illustrazione per l’editoria, coordinato da Mauro Evangelista e curato da Edizioni Corsare). Perché è proprio questo il punto: dischiudere territori altri, anche quando sembra che grandissima parte delle strade siano già state esplorate. Sfatare convenzioni e convenevoli narrativi, illuminare squarci di non detto nelle relazioni tra genitori e figli. Sognare tra macchie di colore leggere come calzini spaiati o fiori appena abbozzati. È così che Semini si schiude a un io narrante che sussurra alla mamma e parallelamente a chi legge, perdendosi negli spazi bianchi dell’albo, nonché nella sua filigrana di intimità tra parole e disegni infantili e non, tra esili tratti a china e pastelli, tra acquarelli e proiezioni impalpabili dell’anima di chi scrive (Keller, autrice e libraia autentica e guizzante). In Semini ci sono oggetti come scintille, ci sono mestoli, cuscini, un treno, una barca, ci sono gusci e coperte; una tenda, un uovo, un uccellino. E c’è il desiderio di essere ancora più piccoli, di ciucciare la papera del fratellino fino a risentire il suono del nostro essere tutt’uno col battito della madre e, dentro di lei, col battito del mondo. C’è quella cosa incomprensibile e acuminata che è la rabbia di lei e la rabbia ancora più inafferrabile di chi “narra” ora in rima ora no (“Quando mi sgridi faccio il sasso/ quando mi urli chiudo la bocca come un tappo…”), c’è il desiderio universale di nascondersi per farsi cercare, c’è un delizioso imprendibile sentire dentro che diventa tangibile sulle pagine. E capiamo che non abbiamo mai smesso di fingere di dormire per avvertire il rumore di lei che si muove nella stanza in punta di piedi.
Maria Grosso (da LiBeR 136)
Semini
Alice Keller,
ill. di Youngin Kim;
Edizioni Corsare, 2022, 32 p
€ 18,00 ; Età: da 4 anni