In Bompiani prende forma sempre più nettamente un catalogo rivolto (anche) ai giovani lettori: Beatrice Masini sta accostando generi, geografie e voci eterogenee, sempre connotate da una scrittura di spessore. E la scelta di scommettere sull’opera prima di una giovane autrice e illustratrice non è passata inosservata: Miss Dicembre e il Clan di Luna di Antonia Murgo ha vinto il Premio Strega Ragazzi e Ragazze come miglior libro d’esordio. In un tempo sospeso, che ricorda una Londra vittoriana, la giovane Miss Dicembre, ex acrobata, non riesce a trovare un’occupazione stabile: pare che la ragazza non sia accompagnata da alcun talento. Un giorno su un brandello di carta di giornale legge un “Cercasi bambinaia” e l’indirizzo di Mr. Moonro. Il colloquio è disastroso ma viene assunta ugualmente: unico merito la sua agilità, utile per correre dietro al bambino che, letteralmente, “si fa di nebbia”. Mr. Moonro è infatti l’Uomo Nero e suo figlio Corvin è destinato a raccogliere l’eredità del padre: i suoi poteri incendiari gli permettono di tramutarsi in fumo, ma la giovanissima età e il carattere dispettoso non aiutano a governarli. È di Dicembre, quindi, il compito di non perderlo mai di vista e riportarlo alla forma umana grazie ad alcuni preziosi attrezzi da camino. Corvin rifiuta la presenza della bambinaia, ma capirà che l’affetto di Miss Dicembre è autentico: sarà lei a difenderlo quando sarà in pericolo, e non solo... Una trama cesellata, molto, ma una scrittura che lascia spazio per immaginare: la Murgo orchestra la narrazione come un’animazione in stop-motion, in cui c'è sempre un brevissimo tempo sospeso da riempire tra un fotogramma e l’altro. Sono i gesti, gli sguardi, le posture a parlare: e dà loro voce con una scrittura tutt’altro che povera, che è un vero piacere e anche una piccola rivelazione per l’equilibrio che mantiene – a cavallo tra la saga fantasy contemporanea e il racconto fantastico francese ottocentesco. Perfetto per muovere i primi passi nella narrativa di genere: d’altronde la figura stessa dell’Uomo Nero, che qui ha il ruolo del cattivo ma una natura gentile, personifica proprio la possibilità di sperimentare la paura, sì, ma nello spazio protetto del racconto, della letteratura.
Dina Basso (da LiBeR 135)
Miss Dicembre e il Clan di Luna
Antonia Murgo
Bompiani, 2022, 224 p.
€ 15,00 ; Età: da 8 anni
Le favole esistono ancora. Nella favola L’indovinello della tigre esiste la possibilità per l’uomo di farsi spettatore di se stesso e di osservare nella scena del racconto il proprio ruolo affidato ad altre creature, quale specchio del proprio comportamento. Questo è la funzione che hanno avuto i capolavori tramandati per secoli, del cui genere siamo ancora alla ricerca per rinnovare il dialogo con l’umanità. La perugina Edizioni Corsare ha presentato questa novità editoriale firmata dal talentuoso Fabian Negrin, qui traghettatore di lettori verso il lido della favola. Attorno a questo racconto si apre lo sguardo che da sempre l’essere umano rivolge a se stesso. L’autore sceglie un animale selvaggio, un felino, per rappresentare l’aggressività, l’astuzia, la sensualità e la prepotenza; e sceglie animali pavidi, gregari per antonomasia per rappresentare l’omologazione, le debolezze. Negrin narra di una tigre che si affaccia all’entrata di una miniera dove stanno al riparo le pecore; la tigre non riesce a varcare la stretta soglia, perciò fa ricorso alla persuasione e all’inganno. Con un indovinello incuriosisce le pecore, le attira fuori dalla miniera tutte, una ad una, e le divora. Il ritmo lineare del racconto viene spezzato da un finale a sorpresa, in quanto anche l’ingannatrice verrà a sua volta ingannata. Il punto di forza di questa narrazione ruota attorno all’indovinello, un gioco antico che muove la sfida, la curiosità. Qui, però, la proiezione positiva della lotta viene ribaltata perché lo sfidante non si confronta tra pari, ma con esseri più deboli, non rispetta i patti e imbroglia, come avviene nelle forme sociali più evolute, quelle edificate dall’uomo. L’indovinello della tigre è un libro cristallino nelle immagini e nella scrittura. La nitidezza del linguaggio è calibrata sulla potenza del messaggio, mentre le scene, su tavole monocromatiche, sono spogliate di ogni superfluo e caratterizzate dal tratto delicato, ma preciso, dell’acquerello. Come in tutte le favole che si conoscono, si fa strada la visione positiva di un incontro – con se stessi, con gli Altri – che invita alla riflessione, che dedica del tempo alla storia dell’umanità.
Adolfina De Marco (da LiBeR 135)
L’indovinello della tigre
Fabian Negrin
Edizioni Corsare, 2022, 72 p.
€ 18,00 ; Età: da 5 anni
L’anatomia esperienziale afferma come nominare il corpo, visualizzarlo, immaginarlo, abbia un profondo effetto sul modo in cui lo percepiamo, lo viviamo, lo muoviamo. In questa chiave, legata al lavoro della studiosa, coreografa e danzatrice Andrea Olsen, Fluidoteca appare un importante contributo a una educazione embodied, cioè che torna e si centra, al corpo. Il corpo è strumento di relazione, radicamento, movimento, il luogo primario della nostra esperienza del mondo. Si parte, sempre, dal corpo, dal proprio, perché esso è la nostra appartenenza cosmica, stellare e acquatica. Autentica urgenza – dopo distanziamento sociale, isolamento, frequentazione massiccia e quotidiana di schermi e “non cose” anche nella vita dei bambini – e insieme risorsa pedagogica, un’educazione che metta oggi al centro il corpo può trovare alleati importanti fra i libri per bambini e nutrire consapevolezze utili per nuovi cittadini globali. La direzione suggerita da questo volume è quella di esplorare il nostro corpo a partire dall’elemento fisico che più lo caratterizza, in percentuale: l’acqua, nella sua forma diversa di fluidi corporei. Scanditi da scelte cromatiche, i capitoli sono dedicati alle sue successive “declinazioni”: cacca, lacrime, muco, pipì, salive, sangue, sudore e altri fluidi.
Giocoso, visivamente interessante, puntuale e approfondito in termini informativi e scientifici, Fluidoteca è il primo volume di Berta Paramo come autrice totale – ha ricevuto infatti una menzione speciale nella categoria Opera Prima del Bologna Ragazzi Award 2022 nell’edizione originale della casa editrice spagnola Literatura. Berta Paramo, talentuosa illustratrice e grafica, in questo libro garbatamente dissacrante e ricco di humor, gioca con i registri linguistici e grafici, da quello più prosaico a quello tecnico-scientifico. Nella traduzione italiana si producono effetti a volte un po’ calcati in un senso o nell’altro, più sfumati forse nel testo originario. Nell’insieme il libro è felice e inventivo, esplora in modo interessante la forma grafico-narrativa dell’albo di divulgazione scientifica, nelle sue inevitabili derive e fioriture narrative e poetiche, e invita a dedicare attenzione al corpo umano e ai misteriosi e complessi percorsi acquatici che lo animano.
Marcella Terrusi (da LiBeR 137)
Fluidoteca
Berta Páramo;
trad. di M. Romeo
Quinto quarto, 2022, 144 p.
€ 18,00 ; Età: da 6 anni
Lo chiarisce bene il prologo: la storia narrata in questo libro è sospesa tra due mondi. Il primo, sprofondato in un imprecisato “c’era una volta” remoto e pre-tecnologico, è reso attuale e credibile dal secondo: il mondo interiore dei personaggi che lo abitano, con sentimenti e urgenze perfettamente riconoscibili dal lettore.
Nella prima parte del romanzo c’è Tomek, ragazzo orfano e dagli occhi sognanti che vive nel suo negozio, una drogheria dove vende di tutto agli abitanti del paese. Una ragazza straniera si presenta un giorno al bancone. “Se davvero hai tutto – gli dice – devi avere almeno qualche goccia del fiume Qjar, un’acqua che non fa morire chi la beve.” La ragazza (Hannah) prosegue per la sua strada e Tomek, che ne è già perdutamente innamorato, decide di seguirla nella sua ricerca. Il punto di partenza per il viaggio di Tomek è l’anziano Icham, che conosce la storia del fiume: leggenda vuole che le sue acque fluiscano al contrario, dall’oceano a una minuscola fonte sperduta ai piedi della Montagna Sacra. La seconda parte del libro segue la storia di Hannah, che ambisce alla magica sorgente per garantire vita eterna a una creatura che le è profondamente cara.
Le due storie scorrono parallele e convergono in più punti, e grande merito di questa edizione è proporle in un corpo unico (i due romanzi in origine erano pubblicati separatamente), ricomponendo l’immaginario poliedrico di due opere che condividono gli stessi spunti tematici, pur con esiti stilistici diversi.
La scrittura visionaria di Mourlevat si ispira ancora una volta alla fiaba e stupisce per la capacità di gestire a tutti i livelli la densità della narrazione. Ci sono viaggi in mondi magici – al limite dello stato allucinatorio –, una natura immersa nel mito, l’esplorazione di un altrove e la scoperta del sé, l’abbandono dell’infanzia. Come nella fiaba, per i personaggi il viaggio è lungo, le svolte si ripetono incessanti e le occasioni di ristoro non sono mai un approdo definitivo. Ogni incontro è prova d’iniziazione e fonte di crescita, contiene già in sé un’ulteriore partenza e prelude a una nuova separazione, in una sequenza senza fine che sconcerta e rigenera, i protagonisti e il lettore.
Fausto Boccati (da LiBeR 135)
Il fiume al contrario
Jean-Claude Mourlevat;
trad. di B. Capatti
Rizzoli, 2022, 324 p.
€ 17,00 ; Età: da 11 anni
Mi piace immaginare che l’autrice Agnès Mathieu-Daudé, che oltre a scrivere si occupa di restauro di beni culturali per il Museo di Francia, sia stata un’appassionata lettrice di Asterix, perché a questo esilarante fumetto sembra ispirarsi Dagfrid, storia inserita nella collana Superbaba, il ben riuscito progetto editoriale di Babalibri per accompagnare in modo “gentile” i bambini di 6-7 anni verso le prime esperienze di lettura autonoma. Esplicita e senza peli sulla lingua, accigliata e disillusa, Dagfrid si racconta tutta d’un fiato e nulla salva degli usi e costumi del suo popolo, che la costringono in un vestito troppo lungo “che ti si attorciglia alle gambe e ti impedisce di correre sugli scogli”, o a trecce arrotolate in modo ridicolo come pagnotte sulle orecchie. Non si salva la casa di torba, “umida e buia, con dell’erba sul tetto che cresce alla stessa velocità dei tuoi capelli”; e non si salva certo il cibo, lo schifosissimo pesce che tutti i santi giorni deve mangiare o annusare, perché è l’olio di pesce che fa funzionare le lampade. L’unica speranza è ribellarsi: niente capelli a pagnotta ma solo trecce perché comode, niente vestitone ma pantaloni e vestito corto, più pratico per l’avventura e anche più bello. Dagfrid scappa a bordo di una piccola barca alla scoperta di una terra vergine. Una volta approdata vorrebbe battezzare la nuova terra con il suo nome, ma scoprirà che l’isoletta è già abitata da un branco di bambine tutte con capelli a pagnotta e vestito lungo, quasi a ribadire una ineluttabilità della tradizione. La sorpresa e delusione iniziale lasceranno il posto all’incontro e a nuove opportunità inaspettate.
Se la lingua palleggia il lettore da una risata all’altra, in parallelo, come in un doppio di tennis, le illustrazioni giocano la stessa partita. Olivier Tallec, con il suo grande talento, non diverge, non omette ma illustra in modo didascalico, amplificando, attraverso piccoli dettagli, la portata ironica della storia. Si termina il libro con un piacevole senso di benessere, stupiti che una piccola prima lettura possa racchiudere così tante risate, sapientemente veicolate da testo e immagini.
Cristina Busani (da LiBeR 135)
Dagfrid
Agnès Mathieu-Daudé,
ill. di Olivier Tallec;
trad. di D. Feroldi
Babalibri, 2022, 43p.
(Superbaba)
€7,50; da 6 anni
Lorenzo, il protagonista, nel giro di poche pagine dal ritmo serrato, fugge dalla sua famiglia per provare a capire chi è e chi desidera essere, scegliendo un nuovo nome: Cris. E immediatamente “si rende conto che non sorrideva da tempo. Non i sorrisi tesi che fa ogni giorno per confermare al mondo che ha tutto quello che si possa desiderare, e nemmeno i ghignetti sexy studiati per le foto. No, un sorriso vero, che gli passa dal cuore alla faccia al cervello in uno zum di energia. L’azzurro lo invade. Gli sembra di essere tutto azzurro adesso, come il cielo che ha sopra di sé”
L’immagine di copertina è di Hilde Atalanta, illustratrice e pittrice che vive ad Amsterdam esplorando artisticamente temi come identità di genere, sessualità e inclusione. Manuela Salvi deve aver pensato, nel vedere questa sua opera, che raffigurasse perfettamente l’emersione di Cris dalla gabbia in cui si era ingessato Lorenzo, diciannove anni vissuti con la sorella più piccola all’ombra di una madre onnipresente e di un padre trasparente. Il volto di Lorenzo compare, infatti, in secondo piano rispetto a una pennellata corposa e scura che in sé trattiene la luce e l’ombra, rendendo tutto possibile.
Che operazione compie l’autrice?
Contrappone la ricerca personale del protagonista alla rappresentazione sociale che lo sovrastava. A tratti l’autrice ricorre al grottesco per marcare la dimensione asfittica della famiglia “bene”. Non si tratta di una tipica famiglia italiana, ma piuttosto dello scarto tra i sogni di una generazione cresciuta rivendicando i suoi spazi e che ha poi finito per erodere drammaticamente quelli dei figli: una sorta di fallimento collettivo che l’antropologo David Lancy ha analizzato individuando 45 consuetudini educative dei paesi occidentali ricchi che non trovano riscontro in popolazioni in cui i rapporti genitori-figli sono condivisi in forma allargata dalla comunità. Lode a Fandango per aver accolto questo romanzo nella collana Weird young poiché Manuela Salvi è una scrittrice di talento e lo ha dimostrato ancora una volta, confermando quanto sia meritato il successo che riscuote, anche all’estero. Questo libro, molto atteso, ha sciolto alcuni tabù, dando spazio a sex-working e poliamore. Intelligente, appassionante, lucido.
Francesca Romana Grasso (da LiBeR 135)
Cris
Manuela Salvi
Fandango, 2022, 237 p.
(Weird young)
€17,00 € ; Età: da 16 anni
Coraline compie vent’anni e un’edizione speciale festeggia l’anniversario di un personaggio che in realtà è ormai un’icona che ha raggiunto l’immortalità letteraria, come Alice, Peter Pan, Pinocchio, Pippi Calzelunghe, Harry Potter. Nella breve nota finale Aurélie Neyret, che sostituisce più che degnamente Dave McKean, ne parla come di un “classico”, definizione impegnativa, che, come ci hanno insegnato Calvino ed Eco, ha valore solo se il libro dura nel tempo e ha sempre qualcosa da dirci. Coraline ne ha tutti i requisiti: la durata, la qualità, il successo fra ragazze e ragazzi, oltre che di critica, e soprattutto quell’elemento iconico della protagonista.
La storia è nota. Coraline si può considerare una Alice del XXI secolo nel Paese degli Orrori. Esplorando la sua nuova casa scopre una porta che dà su un muro di mattoni dietro il quale c’è un’altra casa simile alla sua e un’altra madre e un altro padre identici, ma con bottoni neri al posto degli occhi. Che la accolgono con affetto, la coccolano, altro che pizza scongelata e genitori sempre occupati e distratti: “Resta qui con noi…ti presteremo ascolto, giocheremo e rideremo con te…ogni giorno sarà più bello e luminoso”. Basta che si faccia cucire bottoni neri sugli occhi, le dice l’altra madre. Coraline (ri)fiuterà le promesse da spot commerciali, lotterà con l’aiuto di un gatto che parla come quello del Cheshire, libererà altri bambini derubati dell’anima e ridotti a gusci vuoti e anche i suoi veri genitori imprigionati.
“È una storia che i bambini leggono come un’avventura, ma gli adulti vivono come un incubo” dice Gaiman nella nota finale. Infatti, “io non ho paura” – si ripete più volte Coraline mentre si muove entro un’atmosfera malsana e repellente, orrifica e ansiogena, cui Neyret contribuisce con splendide illustrazioni con pennino e pennelli, a colori o al tratto. Sono gli incubi che i grandi proiettano sui piccoli promettendo loro un luna park dove si entra e non si esce più. Ma l’infanzia, come dice Stephen King, ha un terzo occhio meraviglioso capace di squarciare il velo illusorio della realtà per entrare dentro lo specchio: peccato che questa vista si offuschi crescendo.
Fernando Rotondo (da LiBeR 135)
Coraline
Neil Gaiman,
ill. di Aurélie Neyret;
trad. di M. Bartocci
Mondadori, 2022, 170 p.
(I grandi)
€ 18,00 ; Età: da 10 anni
Un albo illustrato per nominare il mondo. Una storia di gioco, amicizia e collaborazione in attesa di svelare un finale esplosivo. Tomoko Ohmura riprende le fila di Tutti in coda!, edito nel 2011 sempre da Babalibri, e torna con un albo dove troviamo una lunghissima fila di animali. 50 specie di pesci e mammiferi marini ci scorrono davanti agli occhi mentre sfogliamo le pagine di questo albo che farà impazzire i più piccoli che amano elencare, nominare e rinominare gli animali, ma riuscirà a sedurre anche i più grandi, che avranno modo di scoprire tanti nomi di pesci meno conosciuti (voi conoscevate l’idolo moresco o il berice splendente?)
La lettura inizia dalla copertina: ambientazione nei fondali marini, una fila di pesci che si chiedono l’un l’altro proprio: “Che succede in fondo al mare?”. Entriamo nel vivo della storia già dal frontespizio, dove un’aragosta rossa con in mano un cartello esortativo “Abbiamo bisogno del tuo aiuto!” invita a seguirla lungo la fila per “dare una mano”. Non sveliamo chi o cosa vada aiutato: la situazione verrà chiarita con un bellissimo impiego di doppia pagina ripiegata che, aprendosi, inquadrerà finalmente a tutto campo l’ambientazione. Notiamo subito dalla prima pagina che ogni pesciolino è numerato, da 1 a 50, con sotto riportato il suo nome scientifico. La nostra amica aragosta è l’unica ad accompagnarci in ogni doppia pagina e a parlare direttamente al lettore, instancabile esortatrice e trascinatrice. Non tutti gli altri personaggi parlano. Alcuni emettono versi, altri giocano tra di loro o litigano, innescando una spassosa serie di storie parallele, che richiede sicuramente diverse letture. Piccoli drammi e grandi avventure si consumano in fondo al mare, mentre ogni creatura collabora con pazienza per risolvere un grande impiccio. Il colpo di scena finale è ben studiato per colpire il lettore, che rimarrà incantato nell’osservare tutti i dettagli dell’illustrazione. In fondo non manca l’elenco numerato della “squadra di salvataggio”, un invito a giocare per riconoscere e ricordare i tanti personaggi incontrati lungo la storia. Colori vivaci, netti e adatti anche ai più piccoli, personaggi buffi e affascinanti, Che succede in fondo al mare è perfetto per tutti i curiosi piccoli esploratori!
Giulia Romualdi (da LiBeR 135)
Che succede in fondo al mare?
Tomoko Ohmura;
trad. di E. Scantamburlo
Babalibri, 2022, 40 p.
€12,00 € ; Età: da 3 anni
Per raccontare il mondo abbiamo sempre avuto bisogno delle storie. Con le parole scambiate e spesso cambiate, abbiamo capito qualcosa e intuito quello che nelle storie le parole nascostamente dicono. Non c’è nulla come la realtà che ha bisogno di sotterfugi per potersi raccontare. Da sempre gli uomini ricorrono a visioni e simboli per mediarla, per mostrare la luna cercando di portare gli sguardi oltre quel dito dietro cui è nascosta. In C’era la taiga, c’era un incendio tutto scorre lentamente, con una pacatezza che aiuta a fermare lo sguardo e i pensieri. Non c’è un punto, non c’è una virgola. È una storia senza segni di interpunzione.
Matteo Meschiari è un antropologo e geografo, che ha scelto di utilizzare un registro narrativo diverso da quelli che solitamente utilizza nella sua professione. Ha chiesto aiuto a Rocco Lombardi, che non si è limitato a dare un vestito a quelle parole, ma fa sentire il respiro e lo sguardo degli esseri viventi, che non chiedono nulla, ma domandano muti il perché della furia a un uomo che sta distruggendo il suo e il loro ambiente.
Raccontare l’antropocene cambiando il punto di vista, ascoltando chi da quell’enorme impronta è schiacciato, è stata la formula scelta da Meschiari. Le illustrazioni di Rocco Lombardi spingono il lettore a guardare negli occhi gli animali, in uno sguardo che si fa insieme domanda e scelta.
Quello che sta accadendo non vede qui l’ombra dell’uomo, se non in un breve passaggio in cui viene mostrato quell’unico rapporto che la maggior parte degli uomini ha realizzato con gli animali: il cacciatore pronto a cacciare, il predatore e la preda. Gli animali, esopianamente, si radunano per discutere. Il saggio gufo e il burbero orso sono del parere che ci sarà certamente qualcuno che non c’è la farà. La cinica rana ride delle illusioni degli altri animali. Arriverà l’incendio e non ci sarà un’arca. Solo dalla piccola arvicola arriverà il consiglio a restare uniti: “qualunque cosa accada bisogna farcela insieme”. Ecco la parola magica di questa storia: insieme. Una parola pronunciata da un essere piccolo e improduttivo. Una scelta questa di Meschiari che conferma anche il suo invito a guardare all’infanzia con occhi diversi, se vogliamo guardare alla luna senza nasconderla con un dito.
Agata Diakoviez (da LiBeR 135)
C’era la taiga, c’era un incendio
Matteo Meschiari,
ill. di Rocco Lombardi
Logos, 2022, 48 p.
€19,00 ; Età: da 6 anni
Elliot, 13 anni, è un fragilissimo, da sempre calato in un permanente stato di panico che non gli permette di vivere un’esistenza normale. Da quando ha coscienza dei suoi stati d’animo è inspiegabilmente preda di una bestia totalizzante, la paura: le persone (eccetto la madre, zia Shirley e il dottore) gli appaiono come orribili “cavernivori” dai quali fuggire terrorizzato, ed è lo stesso per le cose, gli animali, i rumori e gli eventi che hanno il loro corso fuori dalla sua casa e soprattutto dalla cameretta insonorizzata dove passa le giornate, aiutato in questa lotta estenuante da un potente ansiolitico. È d’aiuto anche l’amica immaginaria Ellamay, la gemella non nata, con la quale negozia ogni più piccolo atto di coraggio, necessario anche per muoversi all’interno del suo micromondo. Allora, cosa potrebbe mai spingere Elliot a rompere l’isolamento e il precario equilibrio per compiere un’uscita fino a casa della zia, ignorando i ruggiti della bestia? L’incomprensibile assenza della madre e l’esaurimento delle scorte di Moloxetina, il farmaco che non lo fa sbroccare. Purtroppo, le due donne sono sequestrate in casa da due scalcinati rapinatori, in attesa del rientro di Gordon, il figlio di zia Shirley, bancario che ha le chiavi della filiale e l’accesso al gruzzolo che li renderà finalmente ricchi. Siamo alla vigilia di Natale, in un pomeriggio gelido e innevato, quando comincia l’avventura di Elliot, che si muoverà fino a notte fonda verso l’impossibile meta, passando attraverso un calvario di grottesche visioni, che rendono i campi, i fossi e il bosco luoghi di ancestrale terrore e i pochi “cavernivori” che incontra, mostri gettati alla sua caccia. Nel coacervo di emozioni e stati d’animo, che la voce narrante del ragazzo rappresenta, Brooks dipana il filo di una vera e propria fenomenologia della paura che si paleserà attraverso incredibili trasformazioni, fino ad approdare a un atto estremo di coraggio. Cantore, ancora una volta, della violenza contemporanea (Bunker Diary, L’estate del coniglio nero, iBoy) vissuta e sopportata dai giovani protagonisti, Kevin Brooks qui sviluppa in brevi e densi capitoli, sapientemente intrecciati, un plot che garantisce la suspense necessaria a rendere questa storia un thriller impeccabile.
Riccardo Pontegobbi
La bestia dentro
Kevin Brooks;
trad. di B. Reale
EDT-Giralangolo, 2022, 234 p.
€ 14,00 : Età: da 14 anni
Non sono sopravvissuti, loro non ce l’hanno fatta. Hanno toccato il fondo e visto la Gorgone – per ricordare le parole di Primo Levi. Sono Anne e Zef, “testimoni veri”, i sommersi in eterno che qui entrano in scena, nell’opera che porta il loro nome, per raccontare, per raccontarsi. Entrambi quindicenni, si incontrano in un altrove sospeso, senza spazio e senza tempo, nel quale non si invecchia e non c’è bisogno di diventare adulti, poiché – spiega Anne – “qui tutti sono uguali”.
Un comune destino ha consacrato Anne e Zef all’eterna adolescenza, nell’istante in cui il cielo ha oscillato, la terra ha girato vorticosamente, gettando ovunque lampi di luce, e il vento si è trasformato in acqua, il respiro in acciaio. Anne è Anne Frank, ebrea deportata ad Auschwitz e a Bergen Belsen, morta di tifo e stenti nel 1945. Uccisa da un mondo adulto perverso e crudele. Zef Bunga, adolescente immaginario di origini albanesi, rimane rinchiuso per due anni, proprio come Anne; si nasconde in casa, nella sua stanza, perché là fuori c’è qualcuno che lo vuole uccidere. L’assurda e folle legge del Kanun regola un’altrettanto insensata faida familiare, che infine consegna il giovane Zef all’aldilà.
Con incredibile slancio immaginativo e una profonda delicatezza, pur nella complessità e drammaticità delle tematiche affrontate, Ad de Bont compone una pièce teatrale dalla straordinaria potenza narrativa, esaltando la condizione sospesa di due vite spezzate durante il passaggio decisivo, il momento per eccellenza liminale del percorso esistenziale di ogni essere umano. Anne e Zef fluttuano “tra gigli di luce”, galleggiano nell’eterno che li accoglie – non già come il mondo – senza condizioni, e in tale dimensione funerea conversano, a poco a poco si conoscono, scambiandosi narrazioni di sé e donando l’uno all’altra le proprie forme di resistenza silenziosa. Parole scritte sulle pagine di un diario e poi sui sassi, sulla sabbia, per aria, nella propria mente. O parole recitate, per nessuno, per se stessi. È la resistenza dell’immaginazione, la potenza salvifica dell’atto creativo che, nel profondo, li salva. Anche oltre la vita.
Elena Guerzoni (da LiBeR 135)
Anne e Zef
Ad de Bont;
trad. di V. Freschi
Primavera, 2022, 108 p.
(I gabbiani)
€ 10,00 ; Età: da 11 anni.
Elena Guerzoni
È di carta ma lo puoi ascoltare, lo tieni in mano ma lo puoi “inquadrare”. Sembra un oggetto impossibile, invece è un libro all’apparenza come tanti altri. Ma basta sfogliare qualche pagina e arriva, perentorio, l’avvertimento: “questo libro parla!”. Proprio così. La casa editrice Emons, specializzata in audio libri, nella collana emons!raga sperimenta la formula del libro cartaceo che ha al suo interno un QR Code con cui ascoltare la storia una volta scaricata l’app. Tra gli ultimi titoli con questa doppia veste è da poco approdato in libreria La banda della zuppa di piselli della giovane scrittrice tedesca Rieke Patwardhan. Protagonista della narrazione una banda come le molte che fioriscono in una classe o online o in uno scampolo di vacanza estiva. La nostra banda ha, però, alcune caratteristiche particolari. Innanzitutto è fatta, in termini molto approssimativi, dagli “scartati”; da Nils, ragazzino di terza elementare escluso dalla banda di classe per un eccesso di timidezza scambiata per asocialità, e da Evi, esclusa per ragioni opposte. La banda nasce così per reazione e si ingrandisce con la dolce e impaurita Lina, rifugiata siriana, arrivata a anno scolastico già iniziato. Anche lei un’esclusa. Fatta la banda, serve una missione per il nostro trio mal assortito che si ritrova quasi ogni giorno a casa dei nonni di Nils, due anziani arzilli e comprensivi. Saranno proprio loro, i nonni, a fornire, involontariamente e inaspettatamente, la missione. Tutto inizia con un inusuale acquisto di grandi quantitativi di zuppa di piselli, finché i barattoli invadono ogni spazio della casa. Poi compare una valigia e diventano sempre più bizzarri i comportamenti della nonna. Un bel rompicapo per la banda che riesce comunque a portare a termine con successo la sua missione. La chiave starà nel passato della nonna: anche lei, da bambina, era stata una rifugiata e quel trauma, seppellito, era riemerso per colpa di una notizia di cronaca sui rischi di guerra. La storia recente e i traumi del passato si saldano cosi nella doppia figura della piccola Lina e dell’anziana nonna a ricordarci il dramma attuale ma non per questo nuovo dei milioni di rifugiati il cui bagaglio di sofferenze può essere rimosso ma mai cancellato.
Vichi De Marchi (da LiBeR 135)
La banda della zuppa di piselli
Rieke Patwardhan,
ill. di Regina Kehn;
trad. di V. Freschi
Emons, 2022, 160 p.
(emons!raga)
€ 14,00 ; Età: da 8 anni
Dopo l’esilarante Il muro in mezzo al libro (Il Castoro, 2019), Jon Agee continua a giocare con i punti di vista in maniera ironica e quasi parodistica. Questa volta ci porta direttamente nello spazio e più precisamente su Marte, dove il piccolo astronauta protagonista è assolutamente certo di trovare vita ad attenderlo. Il suo è un viaggio in solitaria e contro l’opinione comune, che lo considera matto a tentare questa impresa: il viaggio su Marte è carico di aspettative e tutti conosciamo quella sensazione di ansia mista a tenacia che ci assale quando crediamo fermamente in qualcosa e cerchiamo disperatamente di dimostrarla agli scettici. Il piccolo astronauta è solo un illuso? In effetti, a una prima perlustrazione, sul pianeta rosso non si vede anima viva. O forse è il protagonista a essere così concentrato sulla missione da non vedere lo strano personaggio che appare al lettore, prima facendo capolino da una roccia, poi in tutta la sua maestosità, già dalle prime pagine: un marziano in carne e ossa, alto come una montagna e sconcertato lui per primo nel vedere questo piccolo estraneo con in mano un pacco regalo, una torta pronta ad essere offerta agli abitanti del pianeta Marte. Il marziano segue il piccoletto pagina dopo pagina, innescando così con il lettore il gioco al quale si accennava all’inizio. Sarà proprio grazie allo strampalato gigante che l’astronauta, che non è proprio una faina e si è perso tra le rocce e la sabbia dopo pochi passi, riuscirà a ritrovare la sua astronave e anche un piccolo fiorellino giallo che sarà la controprova della sua tesi: su Marte c’è vita! Insomma, a volte non si vedono le cose anche quando si hanno davanti (o dietro) a sé, o meglio la realtà non è mai unica ma molteplice, perché è sempre una visione individuale e parziale della storia, a seconda di chi la racconta. La storia di Agee è leggera e divertente e ha un finale a sorpresa, i tratti netti e spessi del disegno e le campiture piatte contribuiscono a creare un’ambientazione semplice e lineare in contrasto con una narrazione visiva giocata su più piani, non lineare.
Giulia Romualdi (da LiBeR 134)
Viaggio su Marte
Jon Agee;
trad. di A. Zontini
Il Castoro, 2021, 32 p.
€ 13,50 ; Età: da 3 anni
Davide Morosinotto sembra candidarsi al titolo di scrittore delle meraviglie. Dal superpremio Andersen del 2017 vinto per Il rinomato catalogo Walker & Down ci ha abituato a ottimi titoli; nel momento in cui scrivo queste righe è fresco di premio Strega per La più grande. Non susciterà dunque meraviglia leggere qui che L’ultimo cacciatore è l’ennesimo romanzo riuscito. L’ultimo cacciatore, però, a mio parere, è un libro superiore anche ai precedenti. Morosinotto ci ha abituato ad ambientazioni storiche in cui si collocano avventure piene di azione, ritmo e colpi di scena. Questa volta ci spiazza portandoci però molto più indietro nel tempo, dove i giovanissimi lettori sono meno abituati a viaggiare tra le pagine. Il giovane protagonista, Roqui, si muove in un Pleistocene in equilibrio tra ricostruzione accurata e invenzione fantastica in attesa di scoprire il proprio talento, affrontare una Grande Caccia ed entrare così a far parte della comunità degli adulti. Proprio nel giorno in cui scopre il suo “talento di uccidere”, un incendio distrugge l’accampamento della tribù. Roqui si ritrova solo con cinque altri ragazzi e ragazze, nessun adulto a guidarli, in un contesto che ricorda e omaggia i tentativi di organizzarsi e sopravvivere dei ragazzi de Il signore delle mosche. Ama ha il “talento delle storie”, Ocho il “talento delle corde”, Cato “della pietra”, Beri “del fuoco”: con loro c’è la piccola Hona, ancora alla ricerca del suo e che va protetta. Le loro risorse di gruppo sono comunque limitate, ai ragazzi serve una tribù e devono provare a raggiungerne una. Ogni scelta da compiere è difficile, a volte spietata. L’ombra di una maledizione grava sul piccolo gruppo e Davide Morosinotto fa la più autentica e coraggiosa delle scelte, dimostrando un enorme rispetto dei suoi lettori: non salva in modo improbabile, non risparmia i suoi personaggi, non consola chi legge. Restituisce intera la crudezza di questa vita primitiva in un ritmo serratissimo, dove non c’è una riga di troppo. Ci si sente trascinati verso l’ultima pagina come da un torrente in piena, nessun appiglio per una sosta, e anche giunti lì, sbattuti contro una dura roccia. Ci si sente stremati e insieme si vorrebbe ringraziare per l’esperienza feroce, pronti a volerne ancora. Che potenza, gli scrittori che sanno farci questo.
Alice Bigli (da LiBeR 134)
L’ultimo cacciatore
Davide Morosinotto,
ill. di Fabio Visintin
Mondadori, 2021, 312 p.
€ 17,00 ; Età: da 12 anni
Esistono riscritture di romanzi e racconti, fiabe e storie, ed esistono riduzioni di “classici”. Le prima portano il sigillo del nuovo autore nella forma e/o nella trama, ad esempio con l’introduzione di personaggi nuovi e addirittura un diverso finale, ad esempio il Barbablù di Masini. Le seconde si limitano a riassumere la storia. Le une e le altre possono essere ottime o dignitose o cosucce alla buona, tirate quattro paghe per il lesso, direbbe Carducci. La nota fiaba di Perrault Il gatto con gli stivali, già presente nelle raccolte di Straparola e Basile, nella rivisitazione di Mariapaola Pesce presenta subito il biglietto da visita con la splendida e riassuntiva copertina di Lorenzo Carlacchiani: il gatto con scarponi, coppola e aria furbetta da mafiosetto e il padrone spaesato che gli chiede solo una minestra di piselli.
Ma l’astuto felino, seguendo la traccia del racconto originale, lo fa diventare Marchese di Carabas (a insaputa dell’interessato ovviamente), lo fa spogliare, immergere nel lago, gridare aiuto e recuperare da due tipi poco raccomandabili, i guardaspalle del boss della città. Il quale, a sua volta, per nobilitare la famiglia lo fa sposare (di malavoglia) con la figlia. Il finale è inatteso, spiazzante. Insomma, Perrault riveduto e corretto con molta ironia, con un senso dell’humour che può essere gustato dai grandi e anche dai piccoli, soprattutto.
In passato taluno ha accusato la fiaba di essere diseducativa perché esalta furbizia, mendacia, fraudolenza, arroganza. Ma Roberto Denti l’aveva difesa perché - diceva - in realtà il bambino si identifica con il gatto, che è piccolo e debole come lui davanti agli adulti, ma prevale sul gigantesco, fortissimo e cattivissimo orco, come dal basso vede i grandi che incombono dall’alto. In più, nel caso della brillante riscrittura di Pesce, che si avvale delle illustrazioni di Carlacchiani, nitide e con un tratto espressionista che si palesa via via che la storia procede, c’è il finale ironico e smitizzante che non lascia dubbi sulle intenzioni degli autori della nuova/vecchia narrazione: non vogliono essere educative e nemmeno trasgressive, ma volte a divertire con intelligenza e disincanto.
Fernando Rotondo (da LiBeR 134)
Tutta colpa di quel gatto
Paola Pesce,
ill. di Lorenzo Carlacchiani
Orecchio Acerbo, 2021, 28 p.
€ 13,00 ; Età: da 6 anni