Paolo De Benedetti; ill. di M. Ferri
MC, 2006, p. 56
€ 15,50
“Senza animali non c’è Paradiso”, almeno non un Paradiso che possa interessarci e meritare desiderio. Lo dicono insieme, con due voci ben concertate, senza mai forzare gli alti e i bassi dell’ottava, le elegie in rima di De Benedetti e quelle in immagine di Ferri, in questo tenero, affettuoso Gatti in cielo. In copertina un gatto ad arco, a evocare l’arcobaleno, quell’arco di guerra deposto da un Dio pentito, dopo il diluvio universale, e messo nel cielo a ricordargli l’impegno a non distruggere più. Arcobaleno, arc-en-ciel, chat-en-ciel: gli animali meritano per noi ben più di noi, agli occhi del creatore. Per questo la loro sofferenza è inaccettabile e la loro morte una perdita, che Paolo de Benedetti elabora con toni dolentemente fraterni e giunge a rimproverare a Dio. E se la morte avrà la meglio sui nostri angeli quadrupedi, Paolo De Benedetti la canta schietta al creatore: “Se non prometti che vedrò anche loro / ti restituisco la resurrezione / e resto nel mai più dello sheol”, come dire morto tra i morti, senza alcun interesse per un Paradiso solo per “devoti antropocentristi”. Saremo in compagnia, nel mai più dello sheol. Dalla stessa casa editrice (M di movimenti e C di cambiamenti) è stato pubblicato anche Le mappe degli adinkra. 20 simboli per raccontarsi. Anche questo un arcobaleno sulla terra, a cercare incontro e conciliazione; un ponte per far passare storie e vite. Henri Olama, musicista scrittore e animatore culturale, narra le proprie, tra Camerun e Italia, ritmandole sugli echi e le suggestioni che gemmano dai simboli impressi sui tessuti adinkra, destinati a cerimonie ad alto tasso di ritualità come i funerali e i matrimoni; come dire l’andare, l’accompagnare, il perdere, il ricongiungere e il ricongiungersi. Olama ne evoca 20, ma sono ben 400 questi segni, e in elaborazione continua: un alfabeto vivo, del vivere - convivere - morire, dicendone e simbolizzandone i sensi più profondi: la solidarietà (Funtunfunafu, più coccodrilli con lo stomaco in comune); la libertà dall’ansia di capire tutto (nkyinkyim, zigzag, groviglio, questo è la conoscenza); gli affetti che lasciano tracce (akoko nan, l’impronta della chioccia); la resistenza e il movimento (wawa aba, il seme di wawa). E tamfo bebre: se non sai dove stai andando, puoi sempre tornare al punto di partenza. Per questo è necessario averlo.
G. Quarenghi
(da LiBeR 72)