Pietro Albì
Uovonero, 2018, 276 p.
(I Geodi)
€ 16,00 ; Età: da 12 anni
Un volume robusto, severo, anche inquietante, per via di una profetica traccia rossa, che rompe l’omogeneità dell’insieme, disegnando il titolo. I caratteri svolazzanti sovrastano la foto di un bambino, Micù, cupo, piccolo, sghembo, vestito con l’unico vestito buono, un po’ luttuoso. Accanto, leggermente spostato all’indietro, inequivocabile, seppure in un’immagine sfocata, un minuscolo diavolo, il Farfariel del titolo. Sono loro, questi personaggi, che ci guideranno per le vie di un paese reale, Canzano, poco più di un borgo d’Abruzzo, nella sua storia ferma al fascismo del 1938, animato da personaggi che forse adombrano persone reali o tipi umani che si incontrano in quelle contrade. E sono sempre loro, che ci faranno attraversare luoghi in cui la ragione non può niente, accantonata dal delirio dell’incubo, del dolore, della superstizione. Un romanzo di formazione in un’Italia contadina, soffocata dalla miseria, dall’ignoranza, dalla prepotenza dei signori del luogo, in una Canzano reale che avanza nelle fotografie d’epoca, preposte a ogni capitolo, per una celebrazione della terra dei natali di chi scrive, presa a pretesto per introdurre una visione del mondo in cui rintracciare motivi di riflessione, forse anche sull’oggi. E una Canzano immaginaria, slittata in un altrove infernale non si sa per quale malia, che sembra cancellare la realtà in cui Micù, piccolo poliomielitico, vessato dal destino, dai compagni, da un padre frustrato e violento ma confortato dalla grandezza di un nonno, è aggrappato al suo vivere, alla sua volontà di emanciparsi con lo studio, alla ricerca disperata di un ubi consistam che gli dica chi è e chi non dovrebbe essere, in tanta confusione. Accanto a Micù, Farfariel. Cosa rappresenta il diavolo Farfariel, personaggio determinante ai fini della complessa costruzione del libro e della storia di un Libro? Coscienza critica del personaggio Micù o alter ego dello scrittore? O, a fasi alterne, entrambe le cose? Di certo, è il solerte tessitore di una trama rossa che interpunta, in note a margine del testo o in cassature di pagina inappellabili, quella ufficiale. Campione di una lingua barocca, ricca, debordante, che fonde il bel parlare con il dialetto e una più libera invenzione, a maggior gloria di questo sorprendente romanzo.
Rosella Picech
(da LiBeR 122)
(da LiBeR 122)