Kevin Brooks;
trad. di M. Salvi, G. Salvi
2018, Piemme, 408 p.
€ 20,00 : Età: da 13 anni
Jeet è un figliodicane, uno di quei giovani cresciuti e educati dai branchi di cani che popolano le desolate Terremorte. Dopo essere stato catturato e sottoposto a un periodo di riumanizzazione, vive in un’antica città fortificata, perennemente in guerra con il popolo dei Dau, stanziato nelle vicinanze della città. I due popoli si contendono le scarse risorse idriche. Il comandante della città, il generale Gun Sur, ha incaricato Jeet di scrivere la storia del suo popolo e di annotare le vicende che lo porteranno allo scontro finale, ma quando Chola Se, un’altra figliadicane, viene rapita in circostanze misteriose, il suo coinvolgimento diventa più profondo: nulla sarà più come prima.
A una prima lettura l’ultima fatica di Kevin Brooks, autore inglese tanto amato dagli adolescenti quanto discusso dalla critica adulta, vincitore della Carnegie Medal nel 2014, mostra un’evidente discontinuità rispetto alla produzione precedente, soprattutto nell’ambientazione: in luogo degli scenari urbani e contemporanei, un universo postapocalittico desolato e rarefatto.
A un’osservazione più profonda, però, non è complicato ritrovare in filigrana temi e stilemi della poetica brooksiana. Ancora una volta un adolescente racconta, in prima persona, la brutalità del reale, attraverso una scrittura asciutta, diretta, spesso dura. Jeet, poi, è l’ideale successore di Raymond, Linus, Tom nella galleria di protagonisti maschili dei suoi romanzi: adolescenti outsider, emarginati dal gruppo, osservatori del circostante da una situazione liminale, come se Brooks riconoscesse a questo punto di vista una condizione privilegiata rispetto a chi si trova immerso nella situazione che viene descritta e all’interno della quale si verifica un evento traumatico. Come i predecessori, poi, Jeet sembra incarnare una dimensione etica spesso tradita dagli adulti. Infine, anche Dogchild conferma uno dei pregi principali di Brooks: parlare di temi importanti – l’appartenenza, l’ipocrisia del potere, la ricerca dell’identità – senza che questi risultino prevaricanti rispetto alla forza evocativa della storia raccontata.
Matteo Biagi
(da LiBeR 122)
(da LiBeR 122)